Capitolo Ventidue - Un enorme idiota
«Willow!» qualcuno chiamò il mio nome, costringendomi a fermarmi. Mi voltai, portandomi una mano davanti agli occhi per ripararmi dal sole.
Benjamin aveva aumentato il passo, per potermi raggiungere il più velocemente possibile. Ero appena uscita dal palazzo che ospitava il mio appartamento, con l'intenzione di godermi uno dei miei rari giorni liberi e dedicarmi un po' a me stessa.
Dopo aver dormito, miracolosamente per otto ore consecutive, la telefonata di Brandi mi aveva svegliata. "Cara ci ha invitate a cena a casa sua." mi aveva informata, con il suo solito tono squillante.
E quando, una volta dopo essermi alzata, avevo notato che il mio frigorifero era ancora vuoto e non si era magicamente riempito da solo durante la notte -come avevo sperato- la decisione di andare a fare colazione fuori era arrivata in modo spontaneo.
Entrando nella mia cabina armadio, avevo poi notato quegli scarponcini verde salvia, che avevo comprato qualche qualche anno addietro, ripromettendomi che prima o poi li avrei utilizzati. Avevo deciso che in quella giornata sarei stata più produttiva, anche con le mie tanto amate scarpe.
Indossato un outfit casual, composto da una felpa oversize e dei pantaloncini da ciclista, avevo lasciato il mio appartamento con l'intenzione di farmi una bella camminata fino allo Stanley Park e consumare la colazione con la vista su quello scorcio d'oceano che la montagna regalava.
Il che mi era anche sembrata un'ottima idea per riordinare un po' i pensieri e allentare la tensione dopo quella lite con Ashton. Era passata una settimana da quell'episodio, sette giorni nei quali non ci eravamo sentiti e io avevo evitato anche solo di incrociare il suo sguardo ogni qualvolta lo incontrassi in aeroporto.
Quindi, ritrovarmi Benjamin sotto casa mi aveva lasciata alquanto sorpresa.
«Ciao, che ci fai da queste parti?» gli chiesi, volendo subito sapere il perché della sua visita.
«Ho bisogno di parlarti» mi rispose semplicemente, grattandosi il capo in modo un po' imbarazzato.
Sapevo già dove volesse andare a parare. Da una parte non mi andava per niente di ascoltare qualsiasi stupidaggine avesse da dirmi riguardo il suo amichetto. Ma dall'altra, la curiosità di sapere cosa stesse accadendo era prevalsa, spingendomi a spronarlo per continuare quel discorso.
«Se si tratta di Ashton, hai cinque minuti prima che me ne vada» lo avvisai, notando come la sua bocca carnosa si aprisse in un sorriso divertito. Benjamin indossava la sua solita divisa mimetica, caratterizzata da un mix di verdi chiari, segno che doveva essere passato da me proprio prima di recarsi al lavoro o subito dopo aver staccato da un turno.
«Credo che dovresti seriamente parlare con lui» rivelò, facendosi scrocchiare le dita delle mani le une contro le altre.
«Io non ho niente da dirgli. Se mai, sarebbe dovuto venire lui a cercarmi per chiarire la sua posizione. Ma vedo che anche questa volta ha preferito scappare, mandando qui te» commentai amareggiata, mentre scuotevo la testa e accennavo a incamminarmi.
Benjamin mi afferrò prontamente l'avambraccio, fermandomi e puntando i suoi occhi marroni dritti nei miei. Lo sguardo era serio e lasciava trasparire ben poche emozioni. «Non sa che sono venuto a cercarti. È talmente testardo che non è in grado di chiedere aiuto a qualcuno, in nessuna situazione» puntualizzò e fu a quel punto che decisi di ascoltare per davvero ciò che aveva da dirmi. Quando sentii la preoccupazione vibrare assieme alle sue corde vocali e fuoriuscire dalle sua labbra sotto forma di parole.
«Ashton non ha voluto rivelarmi il perché della vostra litigata. Si è semplicemente chiuso in se stesso, tornando a comportarsi esattamente come i suoi primi giorni qui a Vancouver» Benjamin iniziò a spiegarmi quale fosse la situazione e io mi ritrovai inevitabilmente a ricordare nostri momenti passati assieme.
Da quel pessimo primo incontro, al nostro romantico e pazzo weekend a Parigi. Per tutta quella settimana avevo semplicemente evitato di rivolgere i miei pensieri a quel militare. Non volevo tormentarmi, cercando di capire il perché mi avesse trattata in quel modo così scorretto, dopo che le cose tra di noi sembravano aver iniziato a ingranare.
Perciò avevo semplicemente preferito distrarmi, buttandomi a capofitto nel lavoro e proponendomi sempre per i viaggi più lunghi. Uscendo, ogni qual volta potessi, assieme a Brandi, facendo il giro dei più famosi locali di Vancouver, per poi ritrovarci al Roxy Bar. E chiacchierando, di tanto in tanto, con Harold, in aeroporto, davanti a una tazza di caffè.
Era incredibile come il nostro rapporto, da quando avevamo messo da parte sesso e sentimenti, fosse migliorato in maniera esponenziale. E la cosa sembrava far contenti entrambi.
«Non mi piace vederlo così. In più, questa è una situazione in cui io sono completamente impotente. Non mi permette di aiutarlo, non mi parla e io non posso convivere con questa cosa. Non un'altra volta» Benjamin aveva abbassato lo sguardo, portandolo sui suoi scarponi beige stringati.
«Quei mesi dopo l'incidente in Iran mi sono bastati e avanzati» aggiunse, sospirando pesantemente. Mi sembrava incredibile essere ancora all'oscuro del passato di Ashton, quando lui di me ormai sapeva praticamente tutto.
Sapeva da dove venivo, perché la mia relazione passata era finita, cosa facevo nel tempo libero e aveva perfino conosciuto i miei genitori.
E io? Io di lui cosa sapevo?
Un bel niente, perché non voleva parlare. Se non mi raccontasse niente per timore o per sfiducia, ancora non mi era chiaro.
L'unica cosa di cui ero certa era che quel non parlare, quel non sapere, non avrebbe portato a nulla di buono in un possibile rapporto. E l'avevo imparato a mie spese con Harold. Con lui mi ero fatta andare bene il fatto che non volesse raccontarmi del suo passato e guardate dove eravamo finiti. Guardate il male che ci eravamo fatti.
«Io non so nemmeno cos'è successo in Iran. Non so un bel niente» risposi, alzando un po' il tono della voce. «Con me non vuole parlare, non sono io la persona giusta che sarà in grado di aiutarlo» ammisi, più a me stessa che a Benjamin, scrollando le spalle e assumendo un'espressione rassegnata.
«Ti sbagli!» esclamò il ragazzo di fronte a me. «Non ho mai visto Ashton così sereno come nei giorni in cui avete iniziato a frequentarvi seriamente. Non l'ho mai visto così sinceramente felice come dopo averlo costretto a raggiungerti a Parigi» mi rivelò, fissandomi in modo serio.
Erano cose che non avrei potuto sapere, perché non vivevo con lui, non lo conoscevo come Benjamin ed Edwin. Non potevo immaginare che fossi stata proprio io a portare della luce nella sua vita. Ma sentirmelo dire, mi tolse quel peso che avevo sulla coscienza, annientò quella voce che mi ripeteva di aver sbagliato tutto ancora una volta.
«Per la sua tristezza, dopo la missione in Iran, non c'era nulla che avrebbe potuto rimediare e cancellare ciò che era successo» mi disse, poggiandomi una mano sulla spalla. «Ma so che questa è una cosa che si può aggiustare. E so anche che sareste due stupidi se doveste preferire davvero il vostro ego al chiarimento» concluse quel discorso, sorridendomi appena. Un bagliore di speranza attraversò i suoi occhi, quando anche io ricambiai quel sorriso.
«Dì ad Ashton che se vuole parlare con me mi trova allo Stanley Park» risposi per tanto, dandogli poi le spalle e iniziando a incamminarmi lungo quella strada già gremita di gente.
ꨄꨄꨄ
Quel giorno avevo deciso di provare qualcosa di nuovo anche per quanto riguardava la colazione. Così, appena arrivata al piccolo chiosco in legno dipinto, invece che prendere il mio solito cappuccino al caramello avevo ordinato un London foggy.
Una bevanda calda, che consisteva in tè con un po' di latte ed essenza di lavanda. E devo dire che poteva rientrare tranquillamente nelle mie colazioni preferite.
Con il bicchiere d'asporto in una mano e un croissant alla marmellata appena sfornato nell'altra, avevo iniziato a incamminarmi per quel sentiero ripido. La luce del sole veniva filtrata dai rami di quegli alberi secolari, che avevano già iniziato a riempirsi di grandi foglie verdi.
Un forte odore di terriccio e resina caratterizzava tutta la zona circostante, mentre proseguivo la mia salita su per quella piccola montagnetta. Il silenzio di quei boschi era spezzato solo dai miei passi e dal canto di qualche uccellino che si udiva in lontananza.
Mi sembrava davvero incredibile poter avere dei posti del genere, completamente immersi nella natura, nel mezzo di una città metropolitana come Vancouver.
Una decina di minuti dopo avevo raggiunto il punto più alto ed ero contenta che finalmente quei costosissimi scarponcini mi fossero tornati utili. Inutile dire che per tutto il tragitto l'unica cosa alla quale ero riuscita a pensare erano state le parole di Benjamin.
Esse non sembravano voler uscire dalla mia testa nemmeno quando presi posto su alcuni massi sporgenti, che fungevano da comoda seduta. Iniziai a consumare la mia colazione, beandomi della vista che quel luogo mi stava regalando.
I miei occhi passarono sull'acqua limpida dell'oceano, che si insidiava in quella rientranza, fino ad arrivare al porto. Osservai poi il resto delle montagne che circondavano quel canale, una grande massa verde che non perdeva occasione per ricordarti la sua imponenza e magnificenza.
Mi ritrovai a domandarmi più volte se davvero Ashton si fosse deciso a presentarsi. Avrebbe scalato una montagna dopo una giornata di lavoro solo per venire a parlare con me?
I dubbi erano tanti e non sembravano volermi lasciare in pace. Tutte le domande e i pensieri che avevo evitato durante quella settimana si stavano ripresentando in quel momento, conditi dalle parole di Benjamin. Parole che avevano iniziato a farmi dubitare della mia reazione, di ciò che avevo detto ad Ashton fuori da quell'aeroporto.
Ma era anche vero che io non potevo immaginare quello che il suo amico mi aveva rivelato. Ancora non lo conoscevo come lo conoscevano loro e non sapevo nemmeno cosa fosse successo in Iran per tormentarlo tanto. Perciò, davanti a quel suo comportamento assolutamente scorretto, la reazione più normale per me era stata quella di arrabbiarmi e sbattergli in faccia quello che mi aveva fatto provare.
E proprio quando credevo che i miei pensieri tristi non mi avrebbero mai più abbandonata, una voce riuscì a zittirli completamente.
La sua voce.
Essa bastò per far fermare il tempo attorno a me.
«Ehi, Will» era dietro di me, lo sapevo, ma decisi comunque di continuare a dargli le spalle. Osservai l'orizzonte, mentre ogni muscolo del mio corpo si tendeva agitato.
«Benjamin mi ha detto che ti avrei trovata qui» aggiunse, come per giustificarsi di quella visita. Non so se pensasse di avermi disturbata o se volesse solo puntualizzare di non essere uno stalker.
«A me ha detto che avevi qualcosa da dirmi, quindi, forza, parla» risposi prontamente. Non avevo ancora ricevuto una spiegazione logica che giustificasse i suoi comportamenti, quindi la mia rabbia non si era attenuata e traspariva tutta dalle mie parole.
Lo sentii respirare pesantemente e poi avvertii le suole delle sue scarpe scricchiolare su quel terriccio. In pochi secondi si affiancò a me, sovrastandomi con la sua altezza. «Posso sedermi?» domandò cortese. Annuii e mi spostai poco più in là su quel masso.
Si stava comportando come se fossimo due sconosciuti al primo incontro. Era così impacciato e il suo tono di voce lasciava trasparire uno strano senso di preoccupazione, anche se cercava di non darlo a vedere.
Prese posto accanto a me, eravamo vicini ma distanti. Entrambi attenti a non sfiorarci nemmeno con un dito. Io per rabbia, lui per timore.
Notai subito che non indossava la divisa da militare. Al suo posto c'erano un paio di pantaloncini da basket blu e gialli dei Golden State, che gli arrivavano poco sopra al ginocchio. E una semplice felpa bianca con il cappuccio, che gli copriva il busto.
Si stava sfregando il palmo della mano sinistra con il pollice, come se stesse combattendo contro se stesso su quale mossa fare dopo. Era nervoso, chiunque avrebbe potuto capirlo.
Dal canto mio, non me la stavo passando meglio. Fremevo dalla voglia di prendergli le mani e tranquillizzarlo, ma la mia disastrosa passata storia d'amore mi impediva di dare ascolto al mio cuore.
«Io... io ci sono venuto all'aeroporto» confessò di getto, facendomi voltare la testa verso di lui e aggrottate le sopracciglia. Quella mia espressione confusa bastò per farlo continuare. «Ma poi ti ho vista, lì con Harold, stavate parlando e sembravate così... così felici» disse, portando lo sguardo dritto davanti a sé, evitando il mio.
«E quindi? Stavamo solo parlando, non credo ci fosse nulla per cui ingelosirsi e andarsene via» puntualizzai, non riuscendo davvero a capire cos'avessi potuto fare di tanto sbagliato per scatenare in lui quella reazione.
«La gelosia non c'entra niente!» esclamò, quasi infastidito dal mio commento. «È sempre così tutto fottutamente difficile per me. Non riesco mai a spiegarmi e far capire alle persone cosa voglio dire in realtà. E ogni decisione che prendo in buona fede si rivela la peggiore scelta che potessi fare» era arrabbiato, ma non con me, con se stesso.
Aveva abbassato la testa, ponendosi le mani sul viso e poggiando i gomiti sulle ginocchia scoperte. «Me ne sono andato perché so di non poter essere come gli altri. Willow, io non posso darti quello che ti dava lui... ho così tanto casino in testa e non è giusto che anche tu debba entrare a far parte delle mie sofferenze» spiegò, lasciandomi con la bocca semiaperta.
«Non puoi essere tu a decidere queste cose per me» dissi, quasi in un sussurro.
«Io non ho la sua sicurezza, i suoi soldi o-» lo interruppi immediatamente, sinceramente arrabbiata per quello che stavo sentendo.
«Si tratta di questo? Di soldi?! Cazzo, Ashton, non me ne frega niente di quelle cose!» esclamai sconcertata. «Se avessi voluto Harold, se le cose tra noi fossero andate bene e intendo davvero bene, non come facevamo credere dall'esterno, sarei rimasta con lui» speravo davvero che potesse capire ciò che stavo cercando di spiegargli, ma soprattutto che potesse comprendere quanto aveva sbagliato a comportarsi così.
«Ma vi siete baciati... è stato a quel punto che mi sono convinto di non essere la persona giusta per te» rivelò quel dettaglio, lasciandomi ancora più perplessa.
«E tutto questo casino per un semplice bacio sulla guancia?!» non potevo credere che ci eravamo ignorati per una settimana solo per quella stupidaggine. Fu quando portò, per la prima volta da quando era arrivato, lo sguardo su di me che capii.
«Pensavi che ci fossimo baciati per davvero?» gli domandai, notando la sua espressione confusa.
«Beh, a me sembrava di aver visto un bacio sulle labbra» disse quelle parole con un tono incerto, quasi come se anche lui avesse già capito da tempo di essere stato uno stupido. E ammetterlo ad alta voce ne era solo la conferma.
«Non so cosa cavolo tu abbia visto, ma ti assicuro che non è successo nulla di quello che pensavi. Io e Harold abbiamo parlato, ci siamo chiariti e da adulti, quali siamo, abbiamo deciso di mantenerci in buoni rapporti» spiegai ciò che era realmente successo quel giorno. Guadagnandomi uno sguardo smarrito da parte sua.
«Sono un idiota» ammise, scrollando le spalle e poggiando la schiena a quel masso grigio. Sorrisi inevitabilmente, scuotendo la testa.
«Un enorme idiota» ribadii il concetto, afferrandogli finalmente la mano. Gli accarezzai il dorso con il pollice, rendendomi ulteriormente conto di quando le mie dita sembrassero minuscole in confronto alle sue.
«Ashton» richiamai la sua attenzione, che in quel momento era riposta tutta verso il mio gesto. Era una delle poche volte in cui non lo vedevo irrigidirsi sotto un tocco inaspettato e decisi di prenderlo come un buon segno. «La prossima volta non scappare. Se hai dei dubbi parlamene, per favore» gli dissi, fissandolo dritto in quei suoi occhi scuri. Sperando veramente che quello spiacevole episodio fosse servito da lezione per entrambi.
Lui annuì, fissandomi come se fosse un bambino che era appena stato sgridato dai genitori. Ci scambiammo un tenero e casto bacio sulle labbra, poi mi accoccolai vicino a lui, poggiando la testa sulla sua spalla possente.
Restammo così per un tempo indefinito.
Io e lui, a fissare lo stupendo paesaggio che ci circondava.
🌟🌟🌟
Eccomi con il nuovo capitolo!
Avevate paura che le cose tra i due fossero finite per sempre e che non si sarebbero mai chiariti eh?😈
E invece ho deciso di fare la brava per questa volta.
Io direi di fare un applauso a Benjamin, perché senza di lui quei due si starebbero ancora ignorando.
Cosa ne pesante del discorso che hanno fatto?
Sarà davvero il punto di svolta che determinerà l'inizio vero e proprio della loro relazione?
Ma soprattutto, Ashton le racconterà mai cosa gli è successo in Iran?
Lasciate una stellina nel caso il capitolo dovesse esservi piaciuto e non dimenticatevi di commentare facendomi sapere cosa ne pensate.
Per qualsiasi cosa non esitate a contattarmi.
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XOXO, Allison 💕
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