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Capitolo Undici - Baby Sitter

«Vattene, non provare nemmeno a venire qui con quella faccia da cane bastonato. Mi fai schifo» pronunciai quelle parole con tono deciso e poi continuai la mia camminata verso il bagno.

«Willow... ti prego, aspetta... lasciami parlare» Harold provò, per l'ennesima volta, a fermarmi e placare la mia rabbia. Ma non avevo intenzione di ascoltarlo, di farmi intortare nuovamente da lui.

Ero delusa, perché l'ultima cosa che mi sarei aspettata era proprio quella, sapere che avesse una figlia. E poi era venuto da me, avevamo discusso e io mi ero presa il mio tempo. Mi aveva cercata e fatto quella magnifica sorpresa all'aeroporto, facendomi credere che tutto fosse perfetto tra di noi.

Ma non era così.

Non era così e io l'avevo sempre saputo, mi ero lasciata distrarre da quei suoi gesti romantici e dalla sua premura. Ma avevo avuto l'ennesima conferma quando l'ex moglie e sua figlia si erano presentate a quella serata.

Che stupida ero stata a non ascoltare ciò che mi diceva il cervello, a lasciare indietro la mia razionalità per prediligere l'istinto. Ero uscita dai miei soliti schemi, avevo mandato al diavolo tutti i miei propositi e le mie regole, credendo di poter far funzionare ancora le cose tra di noi. Credendo che quella volta saremmo stati solo io e lui in quella relazione.

L'ennesima delusione era arrivata e sapevo che avrebbe fatto più male del solito, perché ero stata io, anche se inconsciamente, a buttarmela addosso.

«Ah, adesso ti va di parlare? Strano, perché prima sembrava proprio che qualcuno ti avesse mangiato la lingua» gli dissi, voltandomi di scatto e alzando il tono della voce.

In quel punto della villa, lontano dal salone dei ricevimenti, sembrava non esserci nessuno e quindi mi lasciai andare alla rabbia.

«Mi hai sempre chiesto di non difenderti» provò a giustificarsi lui, grattandosi il retro della nuca, visibilmente confuso dalla situazione.

«Lo so, non ho bisogno di qualcuno che mi difenda. Abbiamo cinque anni di differenza, non sono una bambina!» esclamai, esponendo un'altra delle cose che mi recava fastidio.

Harold aveva sempre avuto la tendenza a viziami, non che mi dispiacesse, ma c'erano momenti in cui esagerava. Senza rendersene conto mi trattava come se fossi una ragazzina incapace di comprendere quello che fosse meglio per me.

«Non volevo che ti mettessi a urlare in mezzo a tutti. Avrei semplicemente apprezzato un minimo gesto di sostegno, mentre la tua ex moglie mi dava della puttana» spiegai, sperando vivamente che quella volta capisse il motivo della mia rabbia.

«Che poi, ex moglie solo secondo voi due, perché su carta non c'è scritto nulla. E questa è l'ennesima cazzo di bugia che mi regali» gli ricordai, facendogli notare che non mi ero lasciata sfuggire quel particolare degli inviti.

Rimase in silenzio per qualche secondo, spostando il suo sguardo dai miei occhi al pavimento. «Mi dispiace» disse poi semplicemente. Due parole che gli avevo sentito dire fin troppe volte ormai.

Non mi guardò, rimase fisso sulle sue scarpe e fu a quel punto che un ulteriore dubbio avvolse la mia mente, mettendomi davanti a una consapevolezza che non ero pronta ad affrontare.

«Non saremo mai solo noi due, vero?» gli domandai di botto. Non ero pronta ad affrontare quel discorso, ma non potevo più rimandare.

Il suo silenzio e il suo timore nell'incrociare i miei occhi, mi fecero venire una fitta allo stomaco. Iniziai ad avvertire la gola bruciare e gli occhi pizzicare.

«Se non ci saranno altre donne di mezzo, la tua ex moglie e tua figlia saranno comunque sempre presenti, in un modo o nell'altro?» la voce tremolante e quella che ormai era diventata una semplice domanda retorica, sapevo già la risposta, sapevo già che non saremmo mai potuti essere solamente noi due.

Harold si morse la lingua, schiudendo leggermente le labbra e passandosi una mano sul viso in modo frustrato.

«Willow... io... io ci sto provando» fu quasi un sussurro, non ero la sola a starci male per quella situazione. Sapevo che Harold ci teneva a me, a noi. Separarci definitivamente ci avrebbe fatto male, ma sarebbe stato peggio continuare a prenderci in giro e fingere che tutto andasse bene.

Bisognava strappare il cerotto e dovevamo farlo velocemente, altrimenti sarebbe stato ancora più doloroso per entrambi.

«Lo so, ma io non posso aspettare, non posso più fare da spettatrice della mia vita» la prima lacrima aveva solcato il mio zigomo sinistro. Harold mosse qualche passo verso di me, allungando il braccio, ma io indietreggiai istintivamente.

«Non complicare ulteriormente le cose» lo pregai, tirando su con il naso.

«Spero che tu possa trovare quello che stai cercando ed essere felice» conclusi, voltandogli le spalle e andandomene.

Non aspettai una sua risposta e non gli rivolsi più nemmeno uno sguardo. Dovevo andarmene da lì, se mi fossi fermata a riflettere sarei sicuramente tornata sui miei passi e non avremmo concluso niente.

Una volta arrivata in uno dei tanti corridoi presenti in quella villa, mi guardai attorno, cercando una via d'uscita. Tutto era bianco, dalle pareti al soffitto, persino gli accessori. L'unica cosa che dava colore era il pavimento in piastrellato scuro.

Da una delle vetrate notai la spiaggia. Era deserta, un posto tranquillo, esattamente ciò che mi serviva in quel momento. Decisi di raggiungerla.

Dopo aver girato a vuoto ancora per qualche minuto, finalmente trovai un'uscita che mi avrebbe portata alla meta stabilita. Mi diressi fuori da quella villa storica e venni subito investita da un venticello freddo.

Dopotutto eravamo a Vancouver, era il ventuno di dicembre e io mi trovavo su una spiaggia, di sera, con un vestito scollato come unica stoffa a proteggermi dalla temperatura bassa.

Ma non ci diedi tanto peso in quel momento, perché ero troppo presa dai miei pensieri e arrabbiata con me stessa, per aver permesso che tutto ciò accadesse. Perciò presi un lungo respiro, godendomi l'odore pungente della salsedine.

Mi tolsi i vertiginosi tacchi a spillo e li tenni ben stretti nella mia mano destra. Misi i piedi direttamente su quella sabbia umida e soffice, beandomi della sensazione piacevole che quel contatto mi diede.

Iniziai a muovere qualche passo verso la riva, lo sguardo puntato sulla luna. Quella sera era quasi piena e donava una tenue luce a tutto il paesaggio circostante.

Avvertii l'acqua dell'oceano toccarmi i piedi, senza nemmeno essermene resa conto avevo camminato fino a lì e ora dei brividi si stavano diffondendo per tutto il mio corpo. L'acqua era gelata e fui costretta a indietreggiare.

L'ennesima lacrima solcò il mio viso e decisi di lasciarla scorrere in pace, lungo la guancia e poi giù per il collo. Non mi interessava di dove fossero tutti gli altri, di cosa stessero facendo. In quel momento non mi interessava di nulla, solo di me stessa.

Non volevo pensare a nessuno, desideravo concentrarmi solo su di me, per tutto il resto della serata. Brandi, Cara e tutti gli altri se la sarebbero cavata anche da soli.

Avevo bisogno di prendermi del tempo per analizzare i miei pensieri e provare a riordinare le idee. Mi sedetti su quella sabbia, fregandomene del fatto che quel costoso vestito potesse rovinarsi.

Iniziai a giocare con quei granelli, facendo dei piccoli disegni e poi cancellandoli. Ero completamente assorta nel mio mondo, talmente lontana dalla realtà che non sentii nemmeno che qualcuno stava chiamando il mio nome.

Sussultai quando una mano calda si poggiò sulla mia spalla scoperta e mi voltai di scatto per controllare chi fosse.

«Mi spieghi cosa stai facendo? Si gela qui fuori» il viso di Ashton si trovava a pochi centimetri dal mio. Il ragazzo se ne stava accovacciato poco dietro di me e mi scrutava con sguardo curioso. Decisi di non rispondergli e limitarmi a sostenere quel contatto visivo.

«Non credo che sia il posto migliore per piangere in questo momento» aggiunse poi, notando i miei occhi gonfi e arrossati. Le lacrime mi si erano ormai seccate sulle guance, perché sentivo la pelle iniziare a tirare, e probabilmente avevo anche il trucco degli occhi sbavato, ma non mi importava.

Ashton si tolse la giacca, rimanendo in camicia bianca, e me la poggiò sulle spalle. «Questa è la seconda volta che ti salvo da una probabile influenza» scherzò e per un attimo non lo riconobbi.

Dietro quel sorriso genuino e quello sguardo compassionevole, non riconobbi lo stesso uomo freddo e distaccato che era solito pararmisi davanti tutti i giorni al lavoro.

Mi lasciai scappare un sorriso e poi scossi la testa, come per cercare di riprendermi e rimettere assieme tutti i miei pezzi. «Hai ragione, ormai sei diventato il mio baby sitter» mi lasciai scappare quella battuta, sperando che non gli scatenasse alcuna strana reazione.

Ogni cosa con lui andava detta e fatta con le pinze, perché non sapevi mai come avrebbe potuto reagire. E l'ultima cosa che volevo in quel momento era imbarcarmi in un'altra litigata.

«Ah, allora dovrò dire al colonnello che, a quanto pare, ho cambiato lavoro» quella risposta fu abbastanza inaspettata, era rimasto al gioco e stava continuando a sorridermi. Ma come spesso accedeva con lui, bastò un secondo, un bagliore illuminò i suoi occhi e la sua espressione cambiò radicalmente.

Il viso di Ashton si fece improvvisamente serio, mentre si sedeva accanto a me e puntava il suo sguardo verso l'orizzonte. L'osservai di sottecchi, cercando di capire cosa gli stesse passando per la testa.

Perché è venuto qui fuori?

E come se avesse sentito i miei pensieri, parlò, dando una risposta ai miei dubbi. «Ho sentito tutto quello che è successo» ammise, scrollando le spalle e abbassando la testa. «Non volevo origliare, ero in bagno, voi eravate lì fuori, non potevo fare altro» si spiegò.

«Fa niente, non è colpa tua. E sono certa del fatto che avresti preferito non sentire nulla di tutto ciò» commentai, ritornando a giocare con la sabbia.

«Sì, avrei preferito non trovarmi lì in quel momento, così avrei evitato di essere qui ora» disse con nonchalance. Mi voltai verso di lui, con entrambe le sopracciglia alzate e una smorfia dipinta in volto.

«Non ti ho chiesto io di venire qui fuori, potevi continuare a startene lì dentro. Alla fine sai essere sempre e solo uno stronzo» parlai con tono arrabbiato, sentendomi ferita per quanto aveva appena detto. E il tutto fu amplificato dalla delusione appena avuta.

«Aspetta» scattò lui, nell'esatto momento in cui mi mossi, pronta per alzarmi. «Non fraintendermi, non sono bravo a spiegarmi su queste cose sentimentali» continuò, mordendosi il labbro inferiore, visibilmente agitato.

Intuii che stavamo per addentrarci in un argomento scomodo per lui, ormai mi era chiaro che avesse problemi nell'esprimere le proprie emozioni, in qualsiasi ambito. Osservai i suoi occhi scuri e dalle ciglia lunghe, che per una frazione di secondo si incrociarono con i miei, per poi tornare a guardare lontano, verso l'oceano.

«Avrei preferito non sentire nulla perché non sono capace a far stare meglio qualcuno, non so nemmeno da che parte iniziare. Ma ti ho vista qui fuori, da sola, al freddo e anche io ho un cuore, dopotutto» concluse, passandosi una mano nei capelli castani e tirandoseli leggermente.

Le circostanze che ci avevano portati a ritrovarci da soli erano state tante ormai e ogni volta mi ero vista costretta ad ammettere a me stessa il fatto che quell'uomo non fosse poi così tanto sgradevole. Preso a piccole dosi e fuori da un contesto conviviale, risultava piacevole parlare con lui e scoprirlo piano piano.

Aveva tanto nascosto sotto quell'espressione dura e l'emozione che emergeva sempre era la tristezza. Non sapevo cosa potesse aver passato nella vita, se fosse legato al suo lavoro o ad altri eventi, ma ormai ero certa del fatto che qualcosa di grosso fosse accaduto. Un qualcosa che l'aveva segnato profondamente e portato a comportarsi in quel modo.

Perciò, lentamente, quell'astio che provavo verso di lui stava iniziando a scemare, lasciando spazio alla curiosità di conoscerlo.

«Grazie» dissi ed ero davvero sincera. Lui si limitò ad arricciare le labbra e guardarmi in modo enigmatico. «Allora, ti stavi divertendo?» domandai poi, cercando di cambiare argomento.

Io non mi sarei messa a parlare dei miei problemi con Harold e lui non me lo avrebbe di certo chiesto. Quindi tanto valeva trovare qualcos'altro da dire, prima che mi sentissi pronta a tornare a casa.

«Uhm, sì. Il cibo era fantastico... o almeno immagino, stavo andando in bagno quando hanno iniziato a servire la cena» rispose, voltandosi e portando il suo sguardo verso le vetrate, cercando di scrutare qualcosa.

«Sei carino quando provi a fare il simpatico» asserii, tirandogli un pugnetto sulla spalla. Ashton mi guardò spaesato, probabilmente non aveva capito appieno le mie parole e tanto meno il mio gesto. Ma non mi lasciai scoraggiare, la voglia di piangermi addosso era passata e avevo bisogno di svagarmi un po'.

Mi alzai in piedi di scatto, recuperando le mie scarpe, che avevo precedentemente abbandonato sulla sabbia accanto a me. Il suono della risata di Ashton mi arrivò dritto alle orecchie, facendomi aggrottare la fronte, sia per il fatto che fosse letteralmente la seconda volta in cui lo sentissi davvero ridere, che per la confusione nel non capire cos'avesse trovato di così divertente.

«Sei bagnata» mi informò, facendo riferimento alla parte del vestito che si trovava all'altezza del sedere, che, per via dell'umidità, si era bagnata e scurita. E poi tornò immediatamente serio.

Questi suoi sbalzi d'umore mi fanno uscire di testa.

«Lo sai che detta così è parecchio equivoca come frase, vero?» chiesi retoricamente, mettendomi io a ridere quella volta. Ashton si rese conto di come ciò che gli avevo appena fatto notare fosse vero e si portò una mano sul viso.

Successivamente si alzò anche lui, camminando con me fino a ritornare con i piedi sulla superficie dura e stabile del sasso che ospitava quel piccolo portico, dal quale avevamo entrambi raggiunto la spiaggia.

«Beh, grazie ancora e buona serata» gli dissi, alzando leggermente il mento, così da poterlo guardare negli occhi, era davvero alto. Poi mi voltai, decisa ad aggirare quella villa da fuori e farmi venire a prendere da un taxi.

«Willow, la mia giacca» mi richiamò, costringendomi a fermarmi e girarmi nuovamente verso di lui.

«Giusto» affermai, avvicinandomi. Tolsi quell'indumento dalle spalle e allungai il braccio, pronta a passarglielo.

Ashton, nel recuperarlo, poggiò la sua mano sulla mia. Ancora oggi non so se lo fece apposta o per un semplice sbaglio. Fatto sta che quella presa durò più del dovuto e i nostri occhi rimasero come incatenati.

Restammo così, fermi in quella posizione, per qualche secondo. Sarebbe stato un momento perfetto per una di quelle scene romantiche che si vedono nei film.

Un cliché fantastico, lui la richiama solo per la giacca, sembra tutto finito lì, ma poi i due si baciano.

Sarebbe anche potuto succedere se solo uno di noi si fosse sbilanciato.

E fui io a decidere di farlo, decisi di sbilanciarmi.

La scusa che utilizzo, con me stessa, ancora oggi, è che il mio odio per i cliché dei film romantici mi avesse portato a volerne sperimentare uno. Tanto per provarne l'ebrezza.

Ma la verità è che semplicemente mi ero fatta prendere dal momento, complice la tristezza e l'arrabbiatura per quanto successo, mi ero lasciata andare. Non pensando a chi avessi davanti e volendo solo dimostrare a me stessa di essere capace di ricominciare.

Con ancora la mano attaccata alla sua, lo tirai leggermente verso di me. Lui non oppose resistenza. Posai delicatamente la mia bocca sulla sua, in un bacio casto, nel quale riuscii a percepire la morbidezza di quelle labbra e il calore che esse sprigionavano.

Non realizzai immediatamente quello che avevo appena fatto e ciò che stava succedendo. E credo che non lo fece nemmeno lui, perché non si staccò, anzi, approfondì quel bacio, assaporando a sua volta le mie labbra.

Ma prima che le nostre lingue si potessero sfiorare, Ashton si staccò bruscamente, allontanandosi e ricomponendosi come se nulla fosse mai successo.

Non disse una parola, non mi guardò nemmeno, si limitò a voltarmi le spalle e tornare velocemente dentro quella villa.

Lasciandomi lì, come una perfetta deficiente.

🌟🌟🌟

Eccoci qui con questo nuovo capitolo!

Willow ha deciso di mettere una pietra sopra alla storia con Harold. Ha fatto bene?
Io penso propio di sì.

Ma secondo voi sarà davvero la fine tra loro due?

Intanto ci ha pensato Ashton a tirare la nostra protagonista un po' su di morale.
E direi che le cose non sono andate male, insomma, quel bacio sembra essere stato voluto da entrambi. Voi che ne pensate?

Ma soprattutto cosa pensate della reazione di Ashton?

Lasciate una stellina nel caso il capitolo dovesse esservi piaciuto e non dimenticatevi di commentare facendomi sapere cosa ne pensate.
Per qualsiasi cosa non esitate a contattarmi.

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XOXO, Allison 💕

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