Capitolo 3 (parte prima)
John Reyes non era mai stato un uomo di molte parole; da sempre preferiva ascoltare. Spesso, però, il suo essere così taciturno lo aveva spinto a classificarsi come il soggetto di numerosi processi alle intenzioni. Venire frainteso era diventato quasi un gioco; i suoi colleghi sembrava quasi che si divertissero a male interpretare tutto quello che faceva.
C'era chi lo accusava di essere troppo severo e chi, invece, lo definiva poco professionale. Insomma, ne aveva sentite di tutti i colori.
Adesso, spoglio di ogni etichetta, si ritrovava a tremare leggermente di fronte a quel telefono che, di punto in bianco, gli sembrava essere diventato un mostro a tre teste.
Avrebbe potuto affidare a qualcun altro quell'arduo impiccio, ma in cuor suo sapeva che – presto o tardi – se ne sarebbe pentito, trascinandosi quel nocivo senso di colpa fin dentro alla tomba. Il suo migliore amico, d'altro canto, avrebbe fatto lo stesso.
Stephen, pur essendo John di parte, meritava di vedere il proprio cuore venir spezzato da una mano amica, non da quella di uno sconosciuto. Non che questo lo rendesse meno doloroso, ma era la cosa giusta da fare.
Il Dottor Reyes ricordava molto bene la loro ultima conversazione; il Signor Torres lo aveva supplicato di non rivelare niente a Sophia, non prima di essere giunti ad una conclusione certa circa le condizioni in cui giaceva.
Con il cuore in gola, John scosse la testa; era un uomo e un uomo doveva sempre assumersi le sue responsabilità. Così, dopo aver preso in mano la cornetta – e il toro per le corna – compose il numero che, ormai, avrebbe saputo digitare anche ad occhi chiusi.
«Pronto? John, sei tu?» Stephen rispose, non dando al telefono nemmeno il tempo di squillare. Il Signor Torres, dal giorno dell'incidente, non se ne era più separato; dormiva con il cellulare sotto al cuscino, la suoneria impostata al massimo.
«Stephen» la voce del Dottor Reyes era flebile; le parole sembrarono quasi morirgli in gola. Si passò distrattamente una mano sul viso stropicciato, segnato dalla stanchezza e dall'ammontare di stress di quegli ultimi giorni.
Deglutì, prima di proseguire. La verità era che non sapeva nemmeno lui da che parte cominciare. «È successo qualcosa? Sophia sta bene?» Stephen, visibilmente agitato, iniziò a fare avanti e indietro nel soggiorno di casa sua, nella speranza di riuscire a mantenere una parvenza di lucidità.
«Sì e no. Nadia è lì con te?» chiese John, nonostante conoscesse già la risposta. Il suo migliore amico, onde evitare un ulteriore crollo psicologico della moglie, aveva insistito affinché non le fosse riferito nulla. «No, sono solo. Per l'amor di Dio, non tenermi sulle spine»
Stephen cominciò a sudare freddo, mentre davanti ai suoi occhi si susseguivano immagini di alcuni tra gli scenari peggiori di cui sua figlia si sarebbe potuta rendere protagonista.
«La buona notizia è che sta bene; complessivamente, tutto sta procedendo come previsto» affermò il Dottor Reyes, abbandonandosi contro lo schienale della poltrona di pelle nera. «La cattiva notizia è che non si ricorda assolutamente nulla. Quello che temevamo, purtroppo, si è avverato» il suo tono di voce risuonò come ghiaccio che si scagliava sul vetro; avrebbe giurato di poter sentire il rumore del formarsi su di esso di tante piccole venature, destinate a farlo scoppiare in un milione di pezzi.
Stephen trasalì, chiudendo per un istante gli occhi. Quando li riaprì, la sua disperazione era tangibile; gli sarebbe bastato allungare una mano, per poterla stringere. «Quanto è grave?» chiese, la voce ridotta ad un sussurro.
«È ancora presto per dirlo, ma ti terrò aggiornato» John, nel frattempo, aveva cominciato a scarabocchiare nervosamente su di un foglio. Quel groviglio di linee e cerchi rispecchiava il suo umore. «Mi rincresce dovertelo chiedere, credimi... ma come intendi procedere?» aggiunse, dopo una piccola pausa.
«Teniamola all'oscuro di tutto ancora per un po', almeno fino a quando Nadia non starà meglio. Non voglio che la follia di sua madre la trascini a fondo con sé; è già finita in ospedale una volta, non ricapiterà una seconda»
***
Sophia, scombussolata dall'incubo appena avuto, impiegò più tempo del necessario per rendersi conto di dove si trovasse. Si guardò intorno, muovendo rapidamente gli occhi da una parte all'altra della stanza. Il suo respiro non ne voleva sapere di tornare regolare; le sue guance erano ancora inumidite dalle lacrime versate.
Nel momento in cui il suo sguardo incontrò quello di Dominik, deglutì, allontanandosi – di riflesso – dal suo corpo. Si portò una mano sul viso, passandosela sulla fronte.
«Ssh, respira. Vuoi un po' d'acqua?» Dominik cercò di rassicurarla; il suo tono di voce si addolcì, assumendo la forma di una carezza. Sophia si lasciò cullare dal suono di quelle parole, annuendo poi in risposta.
Il ragazzo si avvicinò nuovamente, così da poterle porgere il bicchiere traboccante; inavvertitamente, lei sussultò di fronte a quel contatto mancato, tanto innocuo quanto indesiderato. In quel momento, avrebbe voluto soltanto scomparire.
«Meglio?» chiese Dominik, premuroso. "Gran bella domanda", pensò fra sé e sé Sophia, adesso intenta a tirare su con il naso, sul quale passò poi la manica del pigiama. I fanatici del bon-ton, se l'avessero vista, si sarebbero messi le mani fra i capelli.
«Più o meno» ammise, non sapendo lei per prima verso quale direzione pendesse l'ago della bilancia; la verità era che si sentiva svuotata. Nonostante il cuore le battesse all'impazzata, aveva riposto le emozioni – dalle più brutte alle più belle – in un cassetto, chiudendole a chiave.
«Ne vuoi parlare?» Dominik, d'altro canto, non sapeva come comportarsi. Lui che non era mai stato un impiccione, le aveva appena chiesto di svelargli i suoi più reconditi segreti. Ripensò a quando, anni orsono, aveva sofferto di terrori notturni.
Ripensò anche a quanto fosse stato difficile non avere avuto nessuno con cui poterne parlare; non aveva avuto nemmeno la pretesa di potersi rifugiare fra le braccia della sorella – all'epoca – tredicenne.
Dominik aveva sfiorato le mani della Morte così tante volte, da averne perso il conto; e solo chi si era spento nell'anima ed era resuscitato poteva sentire l'eco di chi, invece, aveva appena cominciato a perdersi.
Sophia scosse il viso; non era pronta a concedersi, tantomeno a concedergli. Come se non bastasse, era piuttosto sicura che, anche se ci avesse provato, mettere ciò di cui si era fatta testimone – e ciò che aveva sentito – in parole sarebbe stato impossibile.
«Sophia...» Dominik avrebbe voluto dirle di provarci, di non tenersi tutto dentro. Eppure, si limitò a chiamarla per nome, un sussurro che si perse nel silenzio di quella notte.
«Vattene» disse la ragazza; le sue labbra carnose si erano appiattite, diventando sottili come uno spago. La sua espressione severa vacillò, lasciando intravedere uno scorcio di quella Sophia che, adesso, sembrava non esserci più. Non aveva bisogno della sua pietà.
Dominik inarcò un sopracciglio, domandandosi – per un attimo – se avesse capito bene. Al muro che li separava erano stati aggiunti degli spilli; un passo e sarebbe stato fregato, se non ferito.
Risentito e infastidito, si infilò entrambe le mani nelle tasche del camice. «A domani» si limitò ad aggiungere acido, lasciando trapelare parte del suo umore.
La mole di adrenalina, se prima era diminuita, ora aveva superato i livelli di guardia; era così che Sophia si sentiva, carica come una molla. Chiederle perché sarebbe stato inutile, non lo sapeva neanche lei. La verità era che la presenza di Dominik iniziava a starle stretta.
Un peso crescente le opprimeva il petto, supplicandola di lasciarlo sfogare. Si morse la lingua una, due, tre volte; litigare con lui l'avrebbe fatta solo stare peggio.
***
Sophia era riuscita a riprendere sonno soltanto con le prime luci dell'alba; si era rigirata nel letto fino alle cinque e mezza di mattina, continuando a chiedersi se fosse stato il caso di farsi prescrivere una o due compresse, da assumere soltanto nei casi d'emergenza.
Quando si svegliò, nulla era cambiato, se non per il mal di testa che – a tratti – le causava fitte tanto pungenti da costringerla a chiudere gli occhi.
Con la bocca ancora impastata, si alzò dal letto e – dopo aver avvicinato a sé, con una mano, la sedia a rotelle – si lasciò scivolare su di essa; si diresse, tra uno sbadiglio e l'altro, verso il bagno. Sentiva l'urgenza di darsi una rinfrescata, come se l'acqua avesse potuto cancellare ogni suo tormento, lavare via il dolore che, ormai, l'aveva fatta sua prigioniera.
Si appuntò di doversi scusare con Dominik; i suoi ricordi, per quanto vaghi, le avevano fatto ripercorrere gli attimi di quella loro non-discussione.
Il culmine era stato raggiunto quando, indirettamente, lo aveva mandato a quel paese; un lato di sé – quello fumantino – che fino a quel momento non aveva ancora avuto l'onore di conoscere.
Sophia lanciò un'occhiata alla sua immagine riflessa nello specchio; due enormi occhi verdi la scrutavano, visibilmente stanchi a causa delle notti insonni. Il suo viso era magro, leggermente scavato sui lati; l'appetito, insieme a molto altro, non le era ancora tornato del tutto. Scuotendo il viso, si rimproverò per la sua stessa negligenza.
Si sciacquò, sfregandosi con vigore le guance e gli occhi. Quando si asciugò – di nuovo – si guardò allo specchio, rimanendo delusa non appena si accorse che la ragazza, adesso intenta ad osservarla, era la stessa di prima.
***
Erano le due di pomeriggio e di Dominik neanche l'ombra. Sophia si era ritrovata, più di una volta, a chiedersi dove si fosse andato a cacciare; quella mattina, i suoi pensieri indisciplinati non ne avevano voluto sapere di prendere una piega diversa.
Era passata dall'architettare mille congetture su quali fossero i suoi turni all'immaginarsi quali fossero le sue passioni; cosa gli piaceva? Cosa non gli piaceva?
Soltanto Ines era riuscita a destarla dai suoi pensieri; ignara di tutto, le aveva comunicato che il giorno seguente sarebbe arrivata una nuova ragazza.
La mora cominciò a mordicchiarsi nervosamente l'unghia del pollice. Essendosi riscoperta un'amante della solitudine, le preoccupazioni – causate dalla sua futura compagna di stanza – erano alle stelle.
Qualcuno bussò alla porta, cogliendola alla sprovvista; di solito, a quest'ora tutto taceva. «Sophia, ti disturbo?» esordì il Dottor Reyes, accennando poi un piccolo colpo di tosse. Accanto a lui, si stagliava la figura slanciata di un uomo, anche lui sulla cinquantina.
I suoi capelli erano di un biondo così chiaro che Sophia non poté fare a meno di paragonarli a tanti piccoli filamenti d'oro, ingarbugliati fra di loro per assumere la forma di un cespuglio riccioluto che dava l'idea di non essere di semplice gestione.
«No, si figuri. Entrate pure» il suo tono di voce era sorprendentemente accomodante. Gli occhi di Sophia saettarono da John all'uomo misterioso; lo guardarono incuriositi ma, al tempo stesso, diffidenti. «Sophia, lui è il Dottor Ortega. È lo psichiatra a capo dell'Ordine di questa struttura; è qui per fare la tua conoscenza»
Il Dottor Reyes, nel pronunciare l'ultima frase, sollevò leggermente l'angolo della bocca; il termine conoscenza era un eufemismo. Nel corso degli anni, aveva imparato ad inquadrarlo; aveva raccolto i frutti del suo lavoro, tutti impeccabili. Secondo il suo modesto parere, il Dottor Ortega superava l'eccellenza.
Proprio per questo, quando era stato forzato dagli eventi a prendere seri provvedimenti, aveva deciso di mettere Sophia nelle mani di un esperto.
La ragazza dagli occhi verdi, frastornata, li guardò senza proferir parola; il sangue le si ghiacciò nelle vene. Tante domande – forse troppe – le affollavano la mente, rendendole ancora più difficile andare alla ricerca di quel filo conduttore che, secondo lei, le avrebbe permesso di aggiungere un tassello mancante a tutto quel disastro.
Tra una semplice diagnosi di amnesia retrograda ed un possibile attestato di insanità mentale c'era di mezzo il mare; le doveva essere per forza sfuggito qualcosa. Una parte di lei si rifiutava di scendere a patti con il mostro con il quale era destinata a convivere.
Sophia, dopo aver cambiato idea due volte e – soprattutto – dopo aver approfondito fin nei minimi i dettagli i pro e i contro di una circostanza capitatele fra capo e collo, annuì. «Va bene» la sua espressione trascese la sfera della circospezione, definendo quella che sarebbe stata – d'ora in avanti – la sua linea di gioco.
«Ottimo; dunque, vi lascio. Sono certo che avrete tanto di cui parlare» il tono di voce del Dottor Reyes era risoluto, i suoi occhi brillavano di una luce strana. Si avviò verso la porta, rivolgendo a entrambi un cenno con la mano prima di uscire.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro