9.0 Istinto.
Si mordicchiò ancora le unghie, per poi sputarle subito dopo. Sbuffò, e il suo respiro si spanse in nuvolette bianche tra il vento che le scompigliava i capelli. La luna era piena, quella notte. Quella era stata una giornata a dir poco stressante. Chiuse gli occhi, ricordandosi della notte prima.
Si trovava nella Torre Nord, faceva un freddo cane. Strofinò le mani tra loro... Il coprifuoco sarebbe scattato di lì a qualche minuto. Era venuta lì su per pensare, d'altronde lo faceva spesso... Canticchiò una melodia dolce, che sua madre soleva cantarle quand'era piccola.
Quando il buio avanzerà
Sempre qualcuno ci sarà
Quando non saprai il tuo nome
Sarà facile l'amore
Non temere ciò che sai
Temi solo chi non hai
Non avere mai paura
Sarò lì ed avrai fortuna
Probabilmente non era allegra come le filastrocche babbane, ma il ricordo di quella melodia l'aveva accompagnata in quegli anni bui.
Ne erano successe, di cose. Lei era sempre stata una ragazza forte, lo sapeva. Sapeva anche di essere bella, ma non ci aveva mai badato molto. Tutto sembrava relativo in quel mondo fatto di fronti e schieramenti, di battaglie e di perdite. Ogni tanto ancora ricordava il colpo al cuore che aveva ricevuto quando la McGranitt, quella notte del 2 maggio, aveva detto a Gazza di portare via tutti i ragazzi della sua Casa. Fare di tutta l'erba un fascio era sempre stata un'abitudine dei maghi, dei Grifondoro in particolare. Non riuscivano a capire chi era diverso da loro, perciò si limitavano a giudicare le azioni delle persone che li circondavano. I grifoni erano ottusi e testardi, egocentrici e primedonne. Ce n'era una che però aveva giudicato diversa... La Granger. Aveva sempre pensato che fosse più adatta ai Corvonero, sprecava troppa della sua intelligenza appresso alla sete di pericolo di Potter e Weasley.
Ed era proprio lei che osservava, in quei giorni. Lei e Draco. Quel ragazzo sembrava guardare il Trio d'oro un po' troppo spesso... Non sapeva cosa stava succedendo nella testa del suo amico, e non voleva dare ascolto alle ipotesi che si creavano nella sua mente di astuta serpe.
Quando Draco era tornato, quella sera in Sala Grande, non ci aveva pensato due volte: si era alzata e l'aveva raggiunto, seguita subito da Blaise e Theo. Nonostante si fossero un po' persi da quando erano andati tutti e quattro ad Hogwarts, il legame che c'era tra loro non si era mai spezzato. Draco si era lasciato trascinare dal padre in una vita che non capiva, e parte della colpa era stata anche loro: non avevano tentato di riprenderselo.
Si rammaricava del suo essere stata cieca, del suo aver lasciato che il tempo cambiasse il suo modo di vedere le cose. Draco era sempre lo stesso bambino che l'aveva rincorsa e consolata quando Blaise l'aveva presa in giro per le trecce. Era sempre lo stesso bambino che l'aveva accompagnata a spiare gli elfi domestici, nella cucina della villa Greengrass. Era sempre lo stesso bambino con cui era cresciuta, e se l'erano dimenticati tutti, persino lui.
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani. La pelle diafana era arrossata, colpa sua che non si era portata i guanti. Si torceva le dita e mangiava le unghie, un vizio che aveva cercato di correggere sin da piccola, sotto i rimproveri di sua madre. Una donna complicata, Druella Greengrass.
Sbuffò, e pensò che lo faceva davvero troppo spesso. Era vero che la sua natura di serpeverde la portava ad osservare e analizzare le cose, ma sembrava una corvonero, così. Pensava davvero troppo.
Proprio mentre alzava ancora lo sguardo verso la luna, sentì un fruscio dietro di sé. Si girò di scatto, e colse Theo a guardarla con un sorrisetto a incurvargli le labbra piene. Erano sempre stati simili, loro due, eppure così diversi. Non sapeva perché, ma nessuno considerava mai più di tanto Theo. Forse proprio perché osservava in silenzio.
Sorrise anche lei, sollevata.
«Mi hai fatto prendere un accidenti» sospirò.
«Un accidenti te lo prenderai di sicuro, se continui a venire così tardi quassù» ribatté lui.
«Ma dai, non cominciare.»
Lui le andò vicino, e le prese una mano. Si tolse un guanto e toccò le sue dita affusolate con le sue. Il calore delle sue mani la spossò; non ricordava di avere così freddo.
«Merlino, Daphne, sei gelata.»
Lei lo stava guardando. Theo sembrava guardare tutto come lo fa un vecchio mago che non si sorprende più di nulla: era un'animo antico. Lo caratterizzava la sua serietà, tra tutti loro era quello che si sapeva prendere più responsabilità. Sorrise ripensando a come, quando erano piccoli, si prendesse sempre le colpe dei loro scherzi. Nonostante fosse il più piccolo dei quattro, anche se di qualche mese, c'era semplicemente sempre stato.
Lo guardò togliersi i guanti e infilarli a lei, esattamente come faceva quando da piccoli si facevano male e non potevano ancora usare la magia per guarirsi. Chiamava qualcuno, ma prima ancora che arrivassero gli aiuti metteva fazzoletti a vanvera sulle ginocchia sbucciate dei suoi amici.
Sentì il calore dei guanti, e chiuse gli occhi. Quando li aprì vide che Theo la guardava con uno sguardo giocosamente esasperato, come a dire "se non ti stessi appresso ti scorderesti anche la testa, in dormitorio".
Fece un piccolo sorriso e non disse nulla, nemmeno quando lui la esortò a tornare in Sala Comune.
«Dai, sta per scattare il corprifuoco. Abbiamo tutto il tempo per pensare, no?»
Una volta varcato il muro che si apriva sulla loro Sala Comune, Theo la prese per mano con lo sguardo basso.
«Hai il naso tutto rosso, come al solito» sorrise, sfiorandole il naso con le dita. La sua mano si spostò verso la guancia, e lì si aprì, restando col palmo ad accarezzarle la gota. Gli occhi di Theo brillavano, e la ragazza si chiese perché.
Lui si avvicinava sempre di più al suo volto, tra loro c'erano solo pochi centimetri. Poco prima di arrivare alle sue labbra, Theo sussurrò il suo nome e la baciò.
Fu un bacio dolce e pieno di lentezza, le labbra di lui erano calde contro quelle fredde di lei. Daphne era restata a dir poco basita. Teneva gli occhi sbarrati a guardare i suoi chiusi, quando alla fine si fece trasportare dal bacio: l'istinto vinse lo shock.
Socchiuse gli occhi mentre la sua lingua accettava quella del suo amico d'infanzia, finché non sembrò più così strano.
Gli si fece più vicina, gli mise le braccia intorno al collo. Era guidata da puro istinto... Ma una serpe sapeva che l'istinto non faceva che fregarti.
Vedendo che ricambiava il bacio, Theo fremette, e si avvicinò ancora a lei, fino a farle toccare il muro con la schiena. Si staccarono per riprendere fiato, e lui tenne gli occhi ancora chiusi, col respiro corto.
Daphne restò immobile, ed era sicura che se solo Theo li avesse aperti avrebbe letto sul suo volto lo sconcerto: cosa era appena successo?
«Io...» cominciò, senza sapere cosa avrebbe detto. Una frase coerente stava per formarsi nella sua testa, quando, come per riflesso, spostò lo sguardo da gli occhi chiusi del moro di fronte a lei, ad un paio blu come l'oceano.
Blaise se ne stava lì in piedi e li guardava, la bocca semi-aperta e gli occhi sgranati. Quando lei lo vide, lui chiuse le mani in due pugni e assottigliò lo sguardo.
«Oh mio dio... Blaise...» sussurrò Daphne, e Theo si girò di scatto, notando per la prima volta il suo amico. Lui prese e girò i tacchi, andandosene di gran carriera molto meno silenziosamente di come era arrivato.
Daphne e Theo si scambiarono un sguardo, poi lei corse d'istinto dietro a Blaise, ma non riuscendolo a raggiungere tornò nel suo dormitorio: non poteva tornare da Theo, era troppo sconvolta.
Lo stesso pensiero di poco prima le si catapultò in mente, quando fu di nuovo da sola.
Cosa é appena successo?
Sbuffò, passandosi una mano sulle tempie. Blaise era stato strano tutto il giorno, e d'altronde non gli dava torto... Anche lei era rimasta sconvolta dalle azioni di Theo. Insomma... Theo era Theo. Non avrebbe mai pensato a qualcosa del genere.
Conoscendo Blaise, era arrabbiato per essere stato tenuto fuori da quella cosa, ma persino lei non aveva avuto il tempo di capire.
Un paio di mani le si posarono sulle spalle, e lei pregò che la scena della sera prima non si ripetesse ancora. Sospirò di sollievo non appena riconobbe la presa di Draco, e si voltò.
«Ehi» le disse lui.
Lei sorrise spontaneamente.
«Ehi.»
«Possibile che sappiate sempre dove trovarmi, tra te e Theo?» domandò più a sé stessa che a lui. Quella sera era andata al quarto piano, si era rifugiata davanti ad una finestra aperta.
«Non ti preoccupare, in quanto a prevedibilità ancora non batti i grifondoro. Passavo di qui per caso.»
Lei tacque, e voltò di nuovo la testa a guardare la luna. Anche Draco fece lo stesso, osservato con la coda dell'occhio dalla bionda accanto a lui. Le venne da sorridere: Draco sapeva sempre come starle vicino, senza parole. Non era come Blaise, lui era molto più rumoroso, si faceva notare. Alcune volte Daphne si chiedeva come avesse fatto Zabini a finire in Serpeverde, se era così vanitoso e impulsivo.
«Daphne, quello che ho visto stamattina non mi é piaciuto» le disse Draco, senza distogliere lo sguardo dal cielo.
«Quando hai visto cosa?» gli domandò lei ingenuamente.
«I tuoi occhi.»
«Cos'hanno i miei occhi?» Draco si voltò verso di lei e incatenò lo sguardo al suo.
«Perché eri così confusa? Tu non sei mai confusa.»
«Nemmeno tu lo eri, se é per questo» nella sua voce si poteva leggere un velo di sarcasmo: stava cercando di evitare la domanda, ma sapeva che lui non glielo avrebbe lasciato fare. La conosceva troppo bene.
«Andiamo Daphne, lo sai che con me non funziona.»
«Questo é vero, ma tu non sei nemmeno il tipo da insistere così tanto per qualcosa» lo guardò.
«Sono seria, Draco, non capisco cosa ti stia succedendo ultimamente. Sei ancora più strano di prima, e questo é tutto dire.»
«Parleremo di me più tardi» disse lui.
Daphne capì che anche lui stava scappando da qualcosa, nella sua mente, e capì anche dai suoi occhi che era peggiore del suo caso. Così gli raccontò tutto, d'altronde l'avrebbe fatto comunque.
-
«É ovvio che veniamo con te!» urlò Harry, e Hermione gli lanciò un sguardo omicida.
«Non é ovvio neanche un po', Harry, e abbassa la voce! C'é chi sta dormendo» ribatté.
Si trovavano nella Sala Comune dei Grifondoro, e il coprifuoco era scattato: tutti gli studenti si erano ritirati nelle loro camere, mentre il Trio d'oro discuteva animatamente.
In piedi, Hermione si trovava di fronte ad Harry, mentre Ron aveva uno sguardo serio e non li guardava, seduto su una poltrona lì accanto.
«Puoi scordarti di andarci da sola, Hermione» Harry la guardò, gli occhi verdi preoccupati e testardi. Soprattutto testardi, a dire il vero.
«Harry James Potter, non pensare nemmeno di comportarti come se fossi mio padre! Io un padre ce l'ho, e si trova in un'altro continente! Tu dovresti essere mio amico, Harry, mio amico! Non un patriarca del cavolo!»
«Un patri-che?» Ronald alzò per un momento gli occhi, sentendo un'ennesima, incomprensibile parola babbana.
«Lascia stare, Ron» disse Harry «E io non mi comporto come un patriarca! É proprio perché sono tuo amico che voglio venire con te, Merlino!»
«Non voglio farvi perdere le lezioni per qualcosa che non vi riguarda» disse Hermione.
«Ma chi se ne frega delle lezioni!» sbottò Harry «Tu mi hai accompagnato ovunque, Hermione, in sette anni mi hai sempre aiutato, assecondando qualsiasi folle idea avessi e aggiustandone i difetti. Perché non mi permetti di fare altrettanto?» Harry aveva un tono quasi disperato, ora, e ad Hermione si strinse il cuore. Lo capiva, ma era una situazione completamente diversa.
«Perché non ce ne è bisogno» rispose, abbassando notevolmente la voce. Si avvicinò al moro, che studiava le sue azioni.
«É diverso. Non devo salvare il mondo, questa volta, ma solo me stessa. Non c'é più Voldemort, non ci sono gli horcrux e io non sono in pericolo, Harry, io non sono in pericolo. Non lo siamo più» allungò una mano e gli toccò la spalla, mentre lui chiudeva gli occhi e sembrava riflettere. Aspettò qualche secondo, convinta che finalmente avrebbe voluto ragionare.
Aprì le palpebre, e si ritrovò delle pietre verdi a fissarla.
«Non sono convinto.»
Lei sorrise.
«Lo so, ma fidati di me.»
Harry la abbracciò, e lei lo strinse a sé. Sapeva bene ciò che provava Harry: in sette anni avevano sempre dovuto guardarsi le spalle, ma adesso era finita, e se non se ne convincevano loro non sarebbe mai stato pienamente vero.
«Se avete finito, io andrei a fare le valigie» Ronald si alzò dalla sedia, ed Hermione restò a guardarlo interdetta, scioltasi dall'abbraccio.
«Ma Ron, non hai sentito Harry?» protestò.
«Certo che l'ho sentito, non sono ancora sordo. Vi ho seguiti benissimo. Tu non vuoi che Harry faccia l'iperprotettivo, d'accordo. Ma io sono il tuo ragazzo, Hermione, e non ti lascio, chiaro? D'altronde Harry é d'accordo se io vengo con te.»
Hermione ed Harry erano ammutoliti.
«Cosa...» tentò di dire la ragazza. Da dove veniva fuori quel Ron serio?
«Sì! Certo, sono d'accordo» Harry sembrò aver trovato la soluzione, ed Hermione si sentì messa in trappola davanti al sorriso a trentadue denti dell'amico.
Alzò gli occhi al cielo, trattenendosi dall'imprecare.
«Tra tutti e due avete la testa più dura del marmo!» sbottò, per poi andarsene di gran carriera verso il suo dormitorio: ne aveva abbastanza di quei due, per stasera.
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