18.3 Il sapore di un'ossessione.
Spesso Daphne osservava la polvere danzare nel fascio di luce che filtrava dalla finestra della sua stanza. Lo faceva quando Millicent non c'era, quando restava sola con sé stessa e cominciava a notare le cose minime. La polvere entrava nel fascio di luce e poi ne usciva subito, talmente velocemente che non ce ne si sarebbe mai accorti senza farci attenzione. E, ogni volta, Daphne si chiedeva come ci si sentisse ad essere uno di quei granelli di polvere, ammantati dal calore del sole per un solo e fugace attimo. Be', bastò quella notte per farglielo capire.
Ci furono un paio di secondi, dopo che le labbra di Blaise si posarono su quelle di Daphne, in cui la ragazza rimase completamente immobile. La sorpresa e la confusione dei suoi pensieri l'avevano paralizzata e avevano paralizzato il suo cervello, dando forma ad un attimo governato dall'assenza di pensiero, un attimo molto simile a quello in cui i granelli di polvere restavano alla luce del sole: subito dopo, era stata solo frenesia.
Le labbra di Blaise erano così familiarmente estranee che lei si sentì travolta. Le mani di lui le cinsero con decisione la vita e salirono piano fino alle spalle di Daphne, poi verso le braccia. Lei assecondò il suo movimento e gli mise gli arti intorno al collo, aumentando la loro vicinanza, mentre Blaise portava di nuovo le mani intorno a lei, con ancora più decisione. Si ritrovarono attaccati e, non appena lei chiuse gli occhi, cominciò a baciarlo davvero.
Eccolo. Quel momento in cui cominci a non pensare, pur notando ogni piccolo dettaglio. L'aria intorno a loro, la fretta febbrile nei movimenti di Blaise, che era la stessa che si poteva avere nel divorare un pasto dopo aver fatto la fame.
Tutto era silenzio e rumore, lotta e ricerca, potere e resa. Tutto era talmente travolgente che davvero Daphne non percepì più niente a parte lui.
Le mani di Blaise erano calde nel freddo invernale, e le sue labbra morbide come mai se le sarebbe aspettate. Fu notando questo che a Daphne tremò un labbro, mentre prendeva un respiro. Il ragazzo se ne accorse e, lentamente, passò dal fuoco all'acqua. Le baciò il labbro superiore e poi quello inferiore, passò la lingua su di essi mentre le respirava sulla bocca.
Dentro Daphne cominciò a montare l'eccitazione, che fece preda il nervosismo. Gli accarezzò il volto con una mano e gli prese la nuca con l'altra, poi scese con un dito a delineare la sua mascella fino ad arrivare alle sue labbra. Lo allontanò di pochi centimetri guardando quest'ultime, poi alzò gli occhi. Le pupille di Blaise erano puntate su di lei e andavano quasi ad inghiottire l'iride, mentre tutti gli occhi gli brillavano.
Quella vista le fece mancare un battito, inspiegabilmente, poi il suo cuore se ne perse un altro quando notò che le mani di Blaise torcevano la sua camicia, all'altezza della vita, proprio dove erano posate. L'unico segno di nervosismo che gli si potesse leggere addosso. L'aria era calda e calma, adesso, ma le sue budella erano ancora annodate.
I loro volti si avvicinarono, lentamente. Quando arrivarono ad un centimetro di distanza, Blaise sorrise.
Che sto facendo? Si chiese Daphne, poco prima di baciarlo ancora.
-
Hermione si trovava nel suo letto, con la coperta addosso e lo sguardo fisso sul baldacchino sopra di lei. Quella notte il cielo era limpido, ma lei non riusciva a guardare le stelle come avrebbe fatto solo qualche tempo prima.
Aveva preso la pozione da appena mezz'ora, perciò non riusciva a dormire... Eppure aveva la sensazione che non ci sarebbe riuscita lo stesso.
Non si spiegava la reazione di Malfoy quel pomeriggio... Aveva visto qualcosa di strano in lui.
Si sentiva in preda a una spirale di eventi, persa, come se non fosse più sé stessa. Mai le era successo di non sapere davvero cosa fare per qualcosa che all'apparenza sembrava così semplice: non doveva avere niente a che fare con Malfoy, lo sapeva, eppure sembrava come se qualcosa la portasse sempre da lui. Non voleva chiamarlo istinto, si rifiutava di credere che fosse quello il nome della causa dei suoi problemi... Insomma, lei si era sempre fidata di ciò che il suo cervello le diceva come prima cosa, ma aveva il forte sospetto che quella volta non ci si potesse appoggiare come aveva fatto prima.
La verità, lo sapeva, era che era cambiata... Si sentiva difettosa e inutile, e detestava che solo Malfoy fosse riuscito a rompere quello stato di equilibrio che aveva creato dopo la guerra.
La sua mente andò a Ron. Ricordò il suo tocco sulla propria pelle. Lui era riuscito a farle credere che tutto potesse andare bene, dopo quei giorni in cui quella cosa chiamata "futuro" sembrava una favola per bambini. Amava Ron. Lo amava davvero, non era semplicemente la prima persona che le si era parata davanti, non era una cotta infantile.
Le venne da sorridere quando un ricordo le venne alla mente: il primo giorno delle ricostruzioni di Hogwarts Ron non le aveva quasi parlato. La sera, dopo aver faticato tutto il pomeriggio, lo aveva incontrato nella sala comune dei Grifondoro, che guardava il fuoco.
Hermione gli si era seduta accanto e, quando gli aveva chiesto cosa non andava, lui l'aveva stretta tra le braccia.
Trovarsi in mezzo a tutti quei ricordi lo aveva riportato indietro: aveva pensato a tutto quello che aveva perso. Le aveva detto, per la prima volta, che non aveva idea di cosa avrebbe fatto se avesse perso anche lei.
Ricordava quel giorno come perso tra la nebbia, come se fosse stato secoli prima, non solo mesi. Da lì in poi ci avevano messo tanto, ma erano riusciti a trovare una fragile felicità... Poi lui era tornato.
Hermione davvero non riusciva a spiegarselo: ogni volta che lo vedeva, qualcosa in lei cambiava. Arrivava a sapere di lui sempre di più, ed era pienamente consapevole di non doverlo affatto conoscere. Lei era Hermione Granger, insomma. La faida tra lei e Draco Malfoy l'avrebbero scritta in un libro, prima o poi, l'avrebbero narrata come parte di una leggenda... Ma non riusciva a smettere.
Ogni piccola presa di coscienza, ogni piccola caratteristica che scopriva la portava a farsi nuove domande. Ma quella mattina di pochi giorni prima, tutto in una volta, aveva trovato la risposta, e mai le era successo di non volerne.
L'aveva visto, l'aveva sentito. Nel momento in cui Malfoy aveva guardato la sua cicatrice, per un solo attimo, aveva avvertito un velo cadere, un muro infrangersi rivelando ciò che davvero la legava a quell'uomo.
Malfoy era rotto, totalmente e definitivamente spezzato... e si era resa conto che quelle sue cicatrici erano diventate bianche, si era resa conto che c'era una parte nascosta, ripudiata ma radicalmente instaurata in lei, che era esattamente uguale a quel vetro in frantumi.
Lo odiava, davvero. Odiava il potere che sembrava aver acquistato su di lei, odiava il modo in cui la guardava. L'intensità del suo sguardo la faceva sentire di nuovo una ragazzina che non aveva imparato nulla sulla vita, la faceva sentire nervosa, pudica ma, nello stesso tempo, dove doveva essere.
Odiava il fatto che solo lui fosse riuscito a farle ammettere con sé stessa che, dentro di lei, si era rotto qualcosa. E tutto senza fare assolutamente nulla; le era bastato guardarlo e mesi, mesi di quella che credeva guarigione erano diventati insignificanti, erano diventati mesi di inutile e superficiale cura.
Odiava tutto di lui, odiava la sua faccia e odiava i suoi modi: odiava addirittura d'odiarlo, avrebbe preferito che non avesse alcun effetto sulla sua persona, com'era prima. Avrebbe preferito che la parola odio non avesse più un significato così complicato e confuso.
Hermione si mise le mani tra i capelli, mentre una lacrima le solcava il volto e cadeva tra le lenzuola. Maledetto serpeverde. Si alzò, mentre una rabbia improvvisa si mischiava alla sua disperazione. Il battito del suo cuore accelerò di colpo, e una stilla di sudore le imperlò le tempie... Afferrò la colonna del letto quando le venne una capogiro, poi, tutto d'un tratto, ogni cosa diventò sfuocata.
-
Draco si rigirò nel letto per quella che gli parve la milionesima volta. La luna splendeva attraverso il vetro della finestra, e il cielo quella notte era chiaro e limpido come la sua mente non lo era da secoli.
Nella sua testa dominava il pensiero di poche ore prima, del nome di Potter tra le labbra della Granger, mentre voci che dicevano cose diverse facevano a gara nel suo cervello in una corsa senza premio.
Sbirciò di nuovo dalla finestra, osservò la Foresta Proibita come se fosse un'isola sicura... Non riusciva a stare lì.
Si alzò e rivestì, prese il mantello, la bacchetta, uscendo da quella stanza che sembrava succhiargli via l'aria.
Arrivò nella sala comune e, proprio mentre saliva le scale che portavano all'uscita, sentì un rumore.
Impugnò la bacchetta e rallentò, uscendo dal Dormitorio.
Nei corridoi sotterranei era buio e faceva un freddo che pungeva la pelle: pensò "Lumos" e la sua bacchetta si accese di una flebile luce fredda. Camminò per nemmeno tre metri, quando vide una ragazza lanciare incantesimi a caso contro un muro. Restò esterrefatto: quella era la Granger.
Aveva indosso una camicia da notte rossa e i piedi nudi. I capelli erano sciolti, le andavano davanti al viso... Ma fu qualcos'altro a colpirlo. La Granger si dimenava nell'aria come se stesse colpendo qualcuno, impugnava la bacchetta in modo violento e non sembrava nemmeno sapere quali incantesimi stesse lanciando.
La sua figura era a stento illuminata dalla luce della sua bacchetta.
«Granger?!» disse Draco, e lei si immobilizzò. Riusciva a sentire il suo respiro accelerato e che stava tirando su col naso... Stava piangendo, per Salazar, e lui non aveva la più pallida idea di cosa stesse accadendo.
«Tu!» gridò la Granger, girandosi di scatto. Gli venne incontro, ma non sembrava nemmeno lei.
«È colpa tua, tutta colpa tua...» gli lanciò un incantesimo, ma era talmente debole che non ebbe nemmeno bisogno di innalzare un muro di protezione, si spostò semplicemente.
Quando si rese conto che era inutile continuare a usare la magia, la Granger gli si scaraventò contro. Provò a colpirlo e, per fermarla, Draco le afferrò le spalle, portando così la propria bacchetta molto più vicina al volto di lei... Quando i suoi capelli si scostarono, vide che i suoi occhi erano opachi, spenti, di una sfumatura simile al grigio.
Non sapeva cosa diamine stesse accadendo, ma la Granger non era in sé.
«Granger...» sussurrò sul suo volto, e lei si immobilizzò. Cominciò a scivolargli tra le braccia, così lui la seguì a terra accanto al muro.
Non lo guardava, semplicemente si appoggiava alle sue braccia dondolando leggermente, come se pochi secondi prima non stesse cercando di sfondare un muro, probabilmente pensando che fosse l'accesso al Dormitorio Serpeverde.
«Perchè, Malfoy?» sussurrò, il suo sguardo ancora a terra.
«Perché cosa?» rispose lui, e la Granger alzò lo sguardo su di lui. Aveva il volto pieno di angoscia, e lui tentò inutilmente di trovare quella sfumatura dorata nei suoi occhi, ma erano ancora opachi come il fumo di una candela.
«Che cosa vuoi? Non capisco, non capisco...» spiegò, e la sua sembrava più una litania, un ragionamento interno che non credeva nemmeno di star dicendo a voce alta.
«Cosa mi hai fatto... Perché non te ne vai?» aveva una punta di disperazione nella voce, e Draco non riusciva a capirla.
«Granger, sono praticamente appena tornato» disse lui.
Lei scosse il capo.
«No... No» disse, mettendosi una mano sulla testa «Perché non te ne vai... da qui dentro?» si diede due colpetti con l'indice sulla tempia, come se ciò stesse ad indicare la sua mente.
Draco non aveva parole e, mentre la donna davanti a lui lo guardava aspettando una risposta, a lui sembrava di essere in un mondo parallelo. Pensò che quella notte non sarebbe valsa niente, perché la Granger sembrava un'ubriaca dalle idee confuse. E spesso, agli ubriachi, che vedono le cose in modo più semplice, si dice solo la verità. Respirò profondamente.
«Perché ti odio tanto da volere che anche tu conosca il sapore di un'ossessione» rispose, e la Granger aprì la bocca come per controbattere... Ma non fece in tempo, perché gli occhi le ruotarono e gli svenne tra le braccia.
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