17.0 Veleno e cura.
La luce del sole le accarezzava la pelle e, per quanto tiepida per le nuvole invernali, sembrava scaldarla dolcemente. Hermione se ne stava in piedi accanto al Lago Nero, con le braccia intorno al busto e il volto rivolto, con gli occhi chiusi, al cielo. Il suo corpo tremava leggermente e la sua espressione, se osservata con cura da qualcuno che la conosceva, sarebbe risultata sofferente. La borsa con i suoi libri giaceva qualche metro prima di lei, esattamente dove l'aveva gettata pochi minuti prima, e nessuno era lì a guardare la scena: era il cambio tra la seconda e la terza ora, tutti gli studenti stavano correndo da una classe all'altra.
In giardino, tuttavia, il frastuono del chiacchiericcio arrivava attutito e le orecchie della grifondoro sembravano non recepire altro suono se non quello del proprio respiro corto. La sagoma magra della ragazza se ne stava in mezzo al giardino, scura e solitaria contro l'atmosfera uggiosa del dicembre scozzese, e sembrava volersi piegare su sé stessa.
Non se lo spiegava, ma la mente di Hermione era un groviglio di sensazioni spiacevoli. Stava sudando freddo e aveva un nodo allo stomaco, si sentiva in preda ad un brutto sogno. Non le sembrava d'essere davvero dov'era, e l'inizio dei suoi malanni era stato lo scontro con la Greengrass. La pozione di Madama Chips sembrava non fare più effetto, tutta la stanchezza di mesi le era piombata addosso e la sua mente era piena di pensieri che non riusciva ad afferrare. Si sentiva sul punto di un crollo emotivo in piena regola.
«La Regina Grifondoro salta le lezioni?» una voce le giunse alle orecchie, amichevole. Aprì lentamente gli occhi, vedendo una figura alta entrare nel suo campo visivo e oscurare la poca luce del sole che le arrivava al volto e le scaldava il corpo.
Hans Fiegel se ne stava in piedi davanti a lei, con il suo sorriso mozzafiato stampato in faccia. Hermione non riuscì a dire niente, ma capì che concentrarsi su di lui la stava facendo piano piano tornare alla realtà.
Lo vedeva in controluce, e i dettagli che ricordava al buio della Biblioteca si fondevano con la sagoma oscurata che le si parava di fronte. Lentamente, fece cadere le braccia. Si rese conto solo in quel momento di quanto forte le stesse stringendo attorno a sé stessa, e le fece male la mascella: non si era accorta di star stringendo i denti.
«Hans Fiegel» sospirò, mentre abbandonava la sua postura, e un sorriso si formò sulle sue labbra, dapprima forzato.
«In persona» fece un piccolo inchino «credo che abbiamo una lezione insieme.»
«Ma non mi dire» replicò Hermione, mettendosi una mano davanti al volto per vederlo meglio. Si trattenne dall'aprire la bocca: alla luce del sole era ancora più bello. Ma c'era qualcosa di strano nella sua bellezza, che in quel momento lei non seppe identificare.
«Esattamente» disse.
«E sarebbe?»
«Quale lezione hai adesso?»
«Babbanologia» rispose divertita Hermione, continuando ad osservarlo.
«Allora è quella» fece spallucce lui, facendola scoppiare a ridere: lo shock di poco prima sembrava un ricordo. Fece una mossa con il braccio, e lei gli vide la sua borsa in spalla.
«La saltiamo insieme?» propose, con un sorriso malizioso da cattivo ragazzo che rischiava di farla ridere di nuovo, per quanto era esageratamente ironico.
«No» si costrinse però a dire.
«Oh, ma andiamo!» esclamò Hans, spalancando gli occhi grigi «a cosa ti serve andare a lezione di Babbanologia? Sei babbana di nascita!» scherzò, facendole aggrottare le sopracciglia.
«Mi stai dando della Mezzosangue?» domandò, e il suo tono era notevolmente più freddo. Non anche lui.
«Be'» rispose Hans, come se non avesse notato alcun cambiamento in lei «tu sei una Mezzosangue. Ma non è mica una cosa negativa: non fare quella faccia, piccola» sorrise caloroso, inclinando la testa verso di lei.
Hermione espirò, rendendosi conto di quanto sciocca fosse stata la sua reazione. Non tutte le persone erano Draco Malfoy. In un balenio di pensieri, il suo istinto decise per lei che avrebbe seguito Hans Fiegel. Non le andava davvero di andare a lezione, e poi era notevolmente avanti con il programma.
«Non chiamarmi così» disse e , mentre lui stava per replicare, lo interruppe «E va bene. Ma solo per questa volta.»
Un sorriso malizioso si allargò sul suo volto, piegandogli le labbra carnose. Le porse un braccio, che lei prontamente non accettò.
«Seguimi pure, Regina Grifondoro.»
-
Questo é ciò che metti in un nome, Malfoy, questo ciò che sentono le persone quando ti vedono. E non per pregiudizio, semplicemente per esperienza.
Draco se ne stava seduto in classe e guardava la lavagna attraverso il professore come se non fosse stato davvero lì. Le parole della Granger gli si riversavano in mente da giorni, e stavolta avevano cominciato a mischiarsi a quelle della professoressa Cooman. Si sentiva come se per la prima volta dal suo ritorno si fosse guardato e avesse visto il sé stesso di sempre, il Draco Lucius Malfoy che era stato per tutta la vita. Quello che credevano l'erede di Salazar Serpeverde, quello che si avventava con furia cieca contro una ragazza per il suo sangue, così come avrebbe potuto fare un cane addestrato ad uccidere. Ma la Cooman non sapeva, la Granger non sapeva. Non sapeva di quel primo giorno in cui aveva messo piede ad Hogwarts, non sapeva di come aveva guardato una ragazzina di undici anni palesemente babbana camminare verso il tavolo Grifondoro, con la testa alta e fiera, non sapeva della bile che aveva dovuto ingoiare ogni volta che la insultava. Ad un certo punto era arrivato a non saperlo nemmeno lui, troppo impegnato ad entrare a pennello nella parte che era ormai il suo nome. Si era dimenticato. Si era lasciato convincere da sé stesso che era davvero così, e fatto stava che forse lo era.
Persino tu... conoscerai la Vita, ma sarai incapace di trattenerla. Tornerai alla Morte che ora vedi ogni giorno allo specchio.
Persino tu. Era diventato un estremo, un colmo, qualcuno che poteva addirittura trovare la Vita. Si portò la mano davanti alla bocca, prima di sbadigliare, rendendosi conto che non stava seguendo nulla di quanto il professore di Storia della Magia stesse dicendo.
La testa era satura di mille pensieri, lo stomaco aggredito da una sensazione spiacevole. Non poteva continuare così, era mille volte peggio di prima... Doveva trovare un modo per risolvere quello scombussolamento che la Granger gli procurava, e la sua vera paura si fece di nuovo sentire, forte e chiara: e se quella grifondoro testarda fosse stata al tempo stesso veleno e cura?
-
Si trovavano in un angolo che Hermione non aveva mai visto, riparato da un groviglio di radici. Accanto a loro e dietro le loro schiene si ergevano i primi alberi della Foresta Proibita, lì dove ancora non cominciava la boscaglia fitta che le dava quel nome. A una cinquantina di metri sulla destra si trovava la capanna di Hagrid, e la mente di Hermione fu attraversata dall'immagine di sé stessa che tagliava il buio della notte passandoci vicino, scappando dalle proprie stesse lacrime come solo una vigliacca avrebbe potuto fare. Ingoiò il proprio orgoglio autocritico e continuò a rovistare nella borsa, finché ad un certo punto la carne dei suoi polpastrelli non toccò la superficie fredda del vetro della boccetta che cercava.
Hans Fiegel se ne stava accanto a lei e la osservava con un sorrisetto divertito che lei non capiva, a mezzo metro da lei e con la schiena appoggiata al tronco dello stesso albero. Se ne stavano seduti sull'erba gelida, e avevano detto sì e no qualche parola durante quei dieci minuti.
Hermione tirò fuori la pozione e ne ingurgitò due misurini senza nemmeno contare le gocce. Chiuse gli occhi, mentre il volto cominciava a formicolare e la stanchezza veniva risucchiata dalla sua pelle come se fosse stata trucco, mentre la sensazione di benessere si propagava lungo gli arti, il torace, la testa. Inspirò profondamente e l'aria fresca nei suoi polmoni sembrò renderla di nuovo viva... il peso che avvertiva dal proprio corpo cominciò a non esistere più, gli occhi non le fecero più male, la bocca smise di essere secca e le sembrò di aver appena fatto una doccia che l'aveva spogliata di ogni sensazione negativa. Il nodo al suo stomaco si sciolse, le sembrò di sentire ogni singolo centimetro della sua pelle come se fosse stata nuda con sé stessa, nemmeno il freddo riuscì a scalfire quella barriera che la separava da qualsiasi cosa negativa. Le labbra le si piegarono in un sorriso beato senza che nemmeno lo volesse, mentre il suo crollo di poco prima sembrava un'illusione lontana e ridicola... Persino i suoi stessi pensieri non erano più in grado di avvelenarla.
L'aria che aveva nei polmoni le uscì dalle labbra, e fu come se insieme ad essa se ne fosse andato anche l'ultimo brandello di ciò che la rendeva stanca e arrabbiata... Si sentì sé stessa al cento per cento, senza complicazioni o sensi di colpa. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sentirsi sempre così.
Una voce penetrò nella sua bolla di benessere e la riportò alla realtà, facendole sbattere le palpebre più volte per riportare a fuoco ciò che vedeva. Hermione si girò verso Hans, che le aveva evidentemente rivolto una domanda, con un'aria interrogativa che lo fece ridacchiare.
«Sei una persona strana, Hermione Granger» le disse.
«In che senso?»
«È sempre curioso scoprire la persona che c'è dietro il mito, sai, ma non ci avevo mai pensato più di tanto» si spiegò.
«Fino a ieri sapevo chi eri ma non ti avevo mai conosciuta» continuò «ed oggi salti le lezioni con me. Mi sento molto onorato» ridacchiò.
Hermione sorrise.
«Be', fai bene. Non sono molti coloro che possono godere della mia compagnia» ironizzò.
«Cos'era quello? Sarcasmo?» Hans fece una faccia ridicolmente sconvolta «Dentro quella boccetta dev'esserci il segreto dell'universo, se ti rende addirittura simpatica» disse, facendo un cenno verso la borsa di Hermione. Lei la nascose dietro di sé, impercettibilmente.
«È solo una pozione contro il freddo» si giustificò lei.
«Mmh» Hans la guardò per qualche secondo «ti dimentichi una cosa, Regina» le disse poi.
«È sarebbe?» domandò Hermione, mentre cominciava a convincersi che non era stata una buona idea tirare fuori quella boccetta, nonostante Fiegel desse l'aria di un ragazzo affidabile.
«Sono un corvonero» rispose, dandole un pizzicotto sul braccio. Le fece l'occhiolino, e ad Hermione sembrò che conoscesse tutto ciò che nascondeva... «e noi» continuò lui «non siamo tonti.»
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