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13.1 Peccato.

«Ti avevo detto di andartene» gli disse, e a Draco venne quasi da ridere. Pensava davvero di poter essere presa sul serio, rannicchiata contro un masso e col naso rosso dal freddo, gli occhi ancora pieni di lacrime e le spalle che tremavano? No, ma provarci era molto da lei.
Perché diamine le era corso dietro, ancora una volta? Aveva solo pensato che sarebbe impazzita, senza la sua bacchetta... Sì, era così. E le sue lacrime l'avevano turbato. Non sapeva dire perché, per quale dannatissima ragione, sapeva solo che ormai seguire la Granger quando glielo diceva il suo istinto era diventata un'abitudine. E guarda dove mi ha portato. Studiava il volto della Granger: i suoi occhi, il suo naso, le sue labbra. Per Salazar, solo il giorno prima le aveva baciate, quelle labbra. E il pensiero gli faceva ancora girare la testa di confusione.
I suoi occhi lucidi erano ancora più marroni, sotto la luce del sole filtrata dagli alberi della Foresta Proibita. Restò qualche secondo a fissarla, godendosi quel silenzio. Era stato circondato dal silenzio, in quel periodo, ma quello era diverso e stranamente piacevole. Aveva imparato ad associarlo alla solitudine nella sua vita, eppure con la Granger era pieno di parole e lo faceva sentire bene. Persino l'aria aveva assunto un significato diverso, era diventata atmosfera. Odiava il modo in cui la Granger stesse cambiando, anche se impercettibilmente, molte cose del suo modo di pensare.

«Oh, Granger» alzò gli occhi al cielo «non ti saresti presa sul serio nemmeno tu» disse, sperando che non si offendesse come suo solito... Gli piaceva davvero quell'aria.

Lei aggrottò le sopracciglia, distolse lo sguardo e sembrò pensarci addirittura.
«Ma io dicevo sul serio» disse poi, riportando lo sguardo nel suo, e Draco ci rimase male come un ragazzino. Si diede uno schiaffo mentale, cosa Merlino stava pensando?
Il silenzio divenne di nuovo silenzio. Era teso, stavolta, e lui non poté più evitare di pensare al bacio del giorno prima, e alle sue conseguenze.

«Sono stanca, Malfoy» disse ad un tratto la Granger.

«Io non ho detto nulla» rispose lui, come a difendersi.

«É questione di tempo» sospirò lei, quasi ridendo «tu dirai qualcosa di cattivo, io farò altrettanto e finiremo col discutere. Discuteremo, facendo finta che tu non mi abbia baciata ieri e che non sia cambiato niente da quando ci siamo conosciuti. Ma sono stanca, sono davvero stanca.»

«Aspetta, io ti ho baciata?!» esclamò Draco, incredulo. Questa poi...

La Granger alzò le sopracciglia.
«E chi altrimenti?»

«Tu! Sei stata tu a baciarmi, Granger!»
Draco la guardò. Teneva gli avambracci sulle ginocchia, le maniche della camicia tirate su, e le sue labbra erano spalancate. Era anche sorpresa?

La Granger fece una risatina un po' isterica, e si tirò indietro i capelli con la mano sinistra, lasciando le dita tra le ciocche sul punto più alto della testa. E fu in quell'istante che Draco vide lo strapiombo davanti a sé, più vero e spaventoso che mai. Fu in quell'istante che nemmeno il calore della Granger riuscì a scaldarlo più. Il gelo si appropriò delle sue membra e il suo corpo si irrigidì. In un angolo della mente Draco si rese conto di quanto prima fosse rilassato, ma ora riusciva a pensare solo una cosa, e gli sembrò di sprofondare di nuovo nell'incubo, fino al collo.
Sulla pelle color miele della Granger, a spiccare sulla superficie altrimenti perfetta, c'era l'unica cosa in grado di sotterrarlo: il segno ruvido del suo peccato.

-

Hermione smise un attimo di pensare all'assurdità che Malfoy sosteneva o a quanto calore avesse in corpo, quando l'uomo davanti a lei impallidì d'un tratto, diventando di marmo.
Le sue iridi, prima possessori di una fiamma blu, ora erano come pietrificate, e guardavano un punto poco più su della sua testa. Hermione rimase interdetta per un attimo, poi capì all'istante. La cicatrice.
Ritirò velocemente il braccio, meravigliata di ritrovare in sé stessa ancora un briciolo di quell'antica paura. Con mano impacciata, tentò di tirare giù la manica della camicia, operazione che non le era mai sembrata più lenta e difficile.
D'un tratto si rese consapevole dei loro respiri accelerati, del suo cuore rumoroso e del nodo alla gola. Si rese conto delle sue dita tremanti, e del freddo che era piombato nel suo corpo, della vicinanza tra loro.
Non riusciva a tirare giù quella maledetta manica, e pregò che quella sulla sua guancia non fosse davvero una lacrima.

Perché era così sconvolta? Sarebbe dovuta essere arrabbiata. Non avrebbe dovuto vergognarsi. Avrebbe dovuto... Non sapeva cosa avrebbe dovuto fare, riusciva solo a sentire quella voce nella testa che le diceva che il civile equilibrio costruito con Malfoy non doveva essere spezzato dal ricordo di tutto l'odio tra loro.
Si affannò ancora, ed aveva quasi finito di tirare giù la manica che il suo avambraccio venne afferrato all'improvviso dalla stretta ferrea di Malfoy. La sua pelle era pallida e le vene in rilievo e la mano, Hermione restò sconvolta nel notarlo, tremava impercettibilmente.
Alzò timorosa lo sguardo sul suo volto, e vide che non la guardava. Fissava la scritta sotto le sue dita, e contraeva la mascella in modo spasmodico, gli occhi leggermente sbarrati. Sembrava spento e freddo, come l'aveva visto solo una volta. Al sesto anno.

«No...» sussurrò Hermione, ma ciò che uscì dalle sue labbra sembrò a metà tra una supplica e un rantolo. Non sapeva cosa fare, era pietrificata e aveva paura. Non sapeva di cosa, forse quello era il ricordo ancora vivido di una paura che era stata vera e terrificante, ma riconosceva il sapore metallico in bocca e il formicolare delle gambe, il battito nella cassa toracica e i brividi.
Malfoy non staccava gli occhi dalla scritta incisa per sempre sulla sua pelle. Le sue iridi sembravano offuscate da delle immagini e, quando lentamente portò lo sguardo nel suo, Hermione vi riconobbe una scintilla di panico e disperazione che la lasciò senza aria nei polmoni. Era la stessa scintilla che lei seppelliva dentro di sé, e in quel momento avvertì la folle e malsana sensazione di essere legata a quell'uomo, a Malfoy, al nemico che disprezzava.
Poggiò una mano sulla sua, come ad invitarlo a lasciarla andare, ma lui tirò il suo braccio a sé, avvicinando di conseguenza Hermione. La grifondoro ricominciò a sentire calore, e abbassò per un solo, lunghissimo attimo lo sguardo sulle sue labbra. Ma fu abbastanza. Non seppe chi avesse fatto cosa, fatto stava che si ritrovò attaccata a Malfoy, con gli occhi chiusi e le labbra appiccicate alle sue. Lo baciò, e questo bacio assomigliò a quello nel suo sogno: famelico, necessario. Sentiva un bisogno primordiale sciogliersi ad ogni contatto, e liberarla dal nodo di paura che le attanagliava le viscere. Baciarlo la rendeva libera e schiava allo stesso tempo, e la faceva sentire come se il peccato fosse l'unica cosa per cui non dovesse sentirsi in colpa.

-

«Oh, certo, e io sono Mirtilla Malcontenta!» esclamò Daphne, agitando le mani in aria per poi portarsele sui fianchi.

«Be', il carattere é lo stesso» ribatté Blaise, stringendo i pugni. Daphne poteva vederlo contrarre la mascella, ma lei era altrettanto furibonda: non ricordava precisamente come fosse iniziato quel litigio, ma fatto stava che ora Blaise riteneva di essere una persona migliore di lei.
Spalancò la bocca, indignata.

«Parli tu?! Sei così egocentrico e idiota, letteralmente ti manca qualche neurone!»

«Ma per favore, signorina "sbatto le ciglia e siete tutti miei"»

«Non osare darmi della puttana, Blaise!»

«A-ha, io non l'ho mai detto, sei stata tu a pensarlo subito!» le puntò il dito lui. Quello era troppo.

«Certo, se lo dici tu dovrebbe essere vero allora» sputò Daphne «il puttaniere senza standard, poveretta quella Margherita, la ragazza di turno!»

«Il suo nome é Maya» puntualizzò Blaise, stringendo i denti con aria minacciosa. Daphne scoppiò a ridere.

«Oh per Salazar, Blaise, non dirmi che ti sei innamorato...» gli disse, in tono canzonatorio.

«Ma ti prego, non essere ridicola.»

«Oh, certo, il serpeverde per eccellenza Blaise Zabini non può di certo perdere il suo nome!»

«E tu parleresti di amore, a me? Ho sentito che Albury vuole uscire con te, cosa intendi fare?»

«Questi non sono affatto affari tuoi» digrignò i denti lei.

«Ah, ho capito, vuoi giocare con lui come hai fatto con Theo, vero? Non ti importa davvero niente delle persone attorno a te?»

«Spero tu stia scherzando! A me non importa delle persone? Perché tu invece come tratti gli altri, a partire da me?»

«Ha! Certo, come no, ti stai veramente giocando la carta "mi trattano tutti male"?»

«No, Blaise, solo tu. Io davvero non capisco, sai? Cosa diamine ti ho fatto perché tu sia così odioso?»

«Non é qualcosa che hai fatto, é solo quello che sei! Sei così dannatamente insopportabile! Sei stupida e sì, sei bellissima, e ti comporti come se sapessi tutto ma non é così! Magari ti serve qualcuno che ti tratti male, Daphne, ti farebbe scendere da quel piedistallo!» Daphne era basita.

«Non puoi star veramente parlando di piedistalli, Blaise, non tu. Sin da quando eravamo piccoli ti sei sempre reputato migliore di me, non sprecando occasione per deridermi, ma sei solo un'idiota pallone gonfiato, a tratti cattivo, che non si rende conto dei sentimenti delle persone intorno a sé!»

«Be' sai una cosa, Daphne? Forse siamo esattamente uguali» disse Blaise, e nel suo tono c'era talmente tanto rancore che lei non riuscì a trovare nulla da replicare. Restò a guardarlo mentre sentiva il suo respiro regolarizzassi, e ad un tratto le venne da piangere. Gli occhi di Blaise erano accesi da una rabbia che la sconvolse e la ferì... le sue iridi blu erano come un mare in tempesta.

«Adesso smettetela» si sentì la voce di Theo, ed entrambi loro gli dissero di stare zitto.

Ad un tratto sentì la voglia di rendergli pan per focaccia, così si avvicinò sempre di più al suo viso, dopo averlo guardato ancora negli occhi. Arrivata ad un paio di centimetri dal suo volto, si avvicinò al suo orecchio e si mise in punta di piedi, sentendo un odore di legno e sandalo che rischiò di distrarla.
Una volta vicinissima al suo lobo, gli sussurrò con la voce più cattiva che sapesse fare:
«Non mi paragonare mai più a te» poi si allontanò, e vide nell'espressione di Blaise ciò che le diede soddisfazione. L'aveva colpito, questo era certo, lo vedeva da qualcosa nei suoi occhi, e lo sguardo duro che gli rivolse fu solo il colpo di grazia. Blaise si irrigidì, e sembrò di guardare il riflesso del suo amico in uno specchio rotto.
Daphne se ne andò, sentendo Theo sospirare quando gli passò accanto. Si accasciò dietro il primo muro, mentre cercava di far smettere il cuore di sfondarle il petto. Sbirciò da dietro la parete come la sé bambina, e i ricordi si intrecciarono al presente, mentre un Theo e un Blaise alti un metro e venti parlavano dopo un suo litigio con quest'ultimo.

Sporse la testa dal muro di mattoni nella cucina della Villa Greengrass, guardando Theo che, ancora una volta, l'aveva vista litigare con Blaise perché non voleva dargli dei biscotti rubati dagli elfi domestici. Daphne sapeva che sarebbe bastato chiedere a Stoody, il suo elfo preferito, ma era una questione di principio: le dava fastidio che Blaise non la includesse mai nei suoi piani.

«Dovevi trattarla per forza così?» disse Theo, avvicinandosi al furfante cattivo.

«Ne vuoi uno?» lo interruppe Blaise, porgendogli un biscotto, e a Daphne venne voglia di prenderlo a calci.

Theo allungò la mano e prese l'offerta, "traditore!" pensò Daphne, e restò a guardarlo un attimo.
«Non sei stato gentile» riprese la sua predica, e la piccola bionda gli volle bene di nuovo.

«E dai Theo, non rompere anche tu» si lamentò Blaise.

«Dovresti scusarti» replicò Theo, andandosene.

Inutile dire che non si era affatto scusato, ma ora Daphne guardò il meno bellicoso dei due avvicinarsi all'altro.
«No» lo precedette Blaise prima che potesse parlare «no, Theo» sospirò.
«Va' da lei. D'altronde lo fai sempre» disse, e il suo tono ora era solo stanco. Si passò una mano tra i capelli e, proprio mentre Daphne scappava per non farsi vedere, sussurrò: «...e come darti torto

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