43 - La Torre (parte 3)
NOTA AUTRICE
Quello che segue è un lungo capitolo, ma fondamentale per la svolta della storia. Un bellissimo momento vissuto con Natan e poi l'arrivo di Morgan. Spero lo leggerete in un momento di calma, perché secondo me ne vale la pena. Un grande bacio a tutti voi!!
#
AVVISO
#
Si avvicinano i momenti più importanti e passionali della storia, ma con essi anche la fine della pubblicazione. Sono per correttezza tenuta a dire a chiunque stia leggendo o vorrà aspettare la fine per leggere la storia senza pause, che Selina Middle Ground non resterà su wattpad, per cui, dato che c'è già parecchio vantaggio, prima della fine della storia consiglio a chi volesse iniziarla, di farlo, e ringrazio tutte le persone che fin qui mi hanno seguita senza mai lasciarmi sola.
(la storia è stata protetta da Copyright per via della futura pubblicazione ufficiale di cui in seguito vi dirò!)Intanto BUONA LETTURA!!!!
#
Selina 16
- 4 giorni al Middle Ground
La mia generatrice? Questa donna è mia madre?
«Tu lo sapevi?» mi rivolgo a Natan con occhi rabbiosi.
«In realtà no» mi guarda colpevole. «Sono stati i genetisti che ho salvato e che si trovano nei nostri sotterranei a mettermi in contatto con lei, dicevano che poteva aiutarci, ma non che fosse la tua generatrice.»
«Questo non lo sa nessuno» replica la donna. «E non abbiamo tempo per sprecare parole.»
«Sono d'accordo» isso lo zaino sulle spalle con un sospiro nervoso.
La verità è che ho scoperto solo due giorni fa cosa sia una famiglia, o almeno, come fosse nel vecchio mondo. Sapere che i generatori di ognuno di noi siano vivi e che abbiano mire su di noi, anche dopo anni, mi agghiaccia. Non riesco a provare affetto o compassione per queste figure comparse all'improvviso nella mia vita, non sono stata educata a convivere con fratelli, madri e padri. Ho letto di loro nei libri della grande biblioteca, ma la loro esistenza non mi scalfisce affatto. Al contrario di me, loro sembrano così presi, assorbiti, tenaci nel volermi aiutare o uccidere a seconda delle circostanze. Forse i generatori non si separano mai nel profondo dai loro generati. Ma, a differenza di loro, tra i miei coetanei non ho mai scorto neanche vagamente un sentore di bisogno. Noi non abbiamo la necessità di averli accanto.
La donna incalza solerte: «Stiamo perdendo tempo, dovete andare, adesso.» Allunga di nuovo l'oggetto scuro e grande come un elettrificatore verso di me. «Devi prendere questo oggetto, ti aiuterà a contrastare Adamo.»
«Senta, signora» replico senza la minima sfumatura di commozione, «io sono qui per vedere i genetisti anziani, e per trovare con loro una soluzione che aiuti i colleghi e i compagni della City a eliminare le anomalie che li stanno condannando uno dopo l'altro. Non sono venuta qui per salvare me stessa. Fatto questo, io mi autodenuncerò.»
Subito lo sguardo della signora si apre a una smorfia d'incredulità, le sue sopracciglia pettinate e bionde si allargano di sconcerto e le sue labbra piene si aprono insieme agli occhi, e per qualche momento mi fissa a metà tra interdetta e inorridita. Ma dura poco, ne segue una risata fragorosa. Adesso sta ridendo. Ride. Con vera enfasi. Assurdo!
Alla fine della sua risata dice affabile: «A chi vorresti autodenunciarti? Al Consiglio supremo? Loro non hanno l'autorità di condannarti, tu sei una privilegiata con un ruolo dinastico successorio nella scala gerarchica del Regno, e nessuno dei Gran Maestri può decidere per il tuo destino.»
Mai sentito nulla di più ridicolo. Io non posso essere destinata, possibile?
Cerco nei suoi occhi un appoggio morale, ma Natan appare smarrito, non l'ho mai visto così. Forse non riesce a capacitarsi che suo padre voglia uccidere sua sorella, oppure nemmeno lui sapeva di avere una sorella privilegiata che a Pangea nessuno può destinare. Le due cose mi fanno sorridere, non credo né all'una e né all'altra, ma lui sembra davvero confuso e preoccupato. Vorrei essere empatica come lui, ma non provo il minimo fastidio, me ne infischio delle intenzioni di quel folle. E sono davvero stanca e assetata al punto che sbotto.
«Senta, signora» ripeto con più energia, sul punto di mettermi a urlare.
Vengo interrotta dal cigolio di una porta che si apre piano e da cui si fa avanti un uomo. Avanza verso di noi, e mi saluta.
Apro lo sguardo a un sorriso sincero. «Io ti conosco, sei stato deportato l'anno scorso, eri un biologo» dico entusiasta di incontrare finalmente un Crescente anziano.
«Ciao Selina 16, sì, dici bene, sono Ilan 7» si avvicina. «Mi fa piacere che tu abbia già conosciuto la nostra Mentor, la più anziana Crescente genetista ancora di stanza alla Torre» indica la signora. «La nostra Vera 2.»
A me non fa piacere. E ho qualcosa di molto più urgente da capire.
«Senti, Ilan, noi dobbiamo aiutare i Crescenti della City a spegnere le anomalie.»
Il suo sguardo vira immediatamente sulla signora. «Non glielo hai spiegato?»
Lei sospira. «Provaci tu. Ho idea che darà retta più a te che a me. È molto testarda, e a dispetto di chi vuole salvarla, preferisce salvare le sue convinzioni.»
«Ma come si permette! Lei neanche mi conosce!»
Ilan indica l'oggetto elettronico tra le mani della signora, e mi esorta apprensivo: «Devi prenderlo, Selina. Questo eliminerà le tue anomalie e ti proteggerà dalle interferenze».
«Prendilo, Selina» interviene Natan.
«Coraggio» sorride Vera 2.
Li osservo sconvolta. Tutti e tre.
«Ma non capite che non sono qui per me? Io voglio aiutare tutti gli altri.»
Sfilo lo zaino dalle spalle, mi chino a terra e lo apro, nella tensione che mi assale rovescio il contenuto sul pavimento alla ricerca dei pezzi di carta su cui ho annotato le formule che ho elaborato alla City, le ipotesi sulla regressione cellulare. Li afferro come una bambina che trova il tesoro, e nel tornare dritta e in piedi, con occhi fieri, li dispiego nelle mani e li allungo verso Ilan.
«Guarda, ho fatto delle ricerche, tutti insieme, qui, possiamo provare a...»
La sua mano cala sulle mie e le chiude. «Non serve, Selina. La questione non è genetica, è informatica. Si tratta di un bug che attacca il sistema nervoso centrale di tutti noi innestati che siamo interconnessi attraverso un microchip alla rete neurale di Pangea. Lo ha generato attraverso un algoritmo e solo lui più disinnescarlo.»
«Lui... intendi...»
«Il Creatore. Adamo 3.»
Natan interviene solerte: «Selina, io ho provato a dirtelo, ma sei fuggita come una furia...» si avvicina premuroso. «Quando ho capito che non mi avresti mai ascoltato e che avresti creduto solo a una voce autorevole, ho deciso di accompagnarti dai tuoi colleghi.»
Deve esserci un modo. Non posso arrendermi.
«Sentite, dobbiamo aiutare i Crescenti della City, loro si sono autodenunciati e fra tre giorni finiranno giustiziati durante il Middle Ground...»
Ilan si acciglia. «Ma questo non è possibile, Selina. A meno che tu non metta le mani sull'intera rete neurale della City, non li potrai aiutare. E di questi ne abbiamo uno solo.» Lo afferra e me lo allunga.
Indietreggio inorridita. «No... no... non è vero... deve esserci una soluzione...»
«Selina, ti prego» Natan si avvicina, ma lo spingo via. «Selina!» mi aggredisce esasperato. «D'accordo, alcuni di loro sono finiti in questa trappola, ma molti altri li ho già salvati io. E lui li ha curati. Sono sicuro che Adamo non voglia farti del male, ma non possiamo rischiare. Prendi quell'oggetto, per favore.»
«Non capisci che Adamo, o Giosuè, per portare avanti il suo piano, potrebbe generare queste interferenze su tutti gli abitanti della City in qualunque momento? Tu non hai salvato nessuno, te lo ha solo fatto credere. Ha sistemato i loro innesti? E cosa ti fa credere che non li danneggerà di nuovo quando avrà un'altra scusa per arrabbiarsi? Loro devono potersi difendere da soli. Devono essere liberi!»
«Possibile che tu sia più preoccupata per gli studenti dei laboratori che per tutta la tua famiglia?»
«Natan, ma lo capisci che sono sempre stati loro la mia famiglia? Sono l'unica famiglia che abbia conosciuto e con cui ho condiviso tutto!»
Sto per andare nel panico, quando la voce della donna esclama: «Un modo c'è. Dico per aiutarli tutti.»
Prima che l'iperventilazione mi appanni anche i pensieri, la esorto: «Quale? Farò qualunque cosa.»
«Innanzitutto devi prendere coscienza che i tuoi colleghi presenti in questa Torre non possono fermare Adamo. Solo tu puoi farlo.»
«Io?»
«Per legge sei l'unica che può prendere il suo posto, e avrai accesso al libro sacro e alle password e potrai gestire l'intera rete neurale di Pangea. In questo modo aiuterai tutti i ragazzi della City. Ma, tieni presente che Adamo ha due terribili difetti: prima di tutto non applica le leggi su sé stesso, e in secondo luogo le rigira a suo favore.»
«Non vuole morire e sta armando una rivolta» concludo sconvolta, ripensando alle parole che Morgan pronunciava quando mi credeva svenuta. Perciò diceva il vero. Non avrei dovuto lasciarlo e dirgli che non mi fido più di lui, ho idea che abbia sempre cercato di aiutarmi, fin dall'inizio, e che io, col mio comportamento, lo abbia sempre ostacolato.
Lei conferma. «Una rivolta. Esattamente.»
«Se anch'io sono innestata, può farmi del male anche da lontano.» Fisso Natan, dopo aver ripetuto le sue parole.
«A questo è servito che Sasha 10 ti abbia condotta da me» si affretta a spiegarmi. «Con gli scienziati abbiamo costruito questo per te. Purtroppo, se lo perderai non sarà servito a niente. Ma devi prenderlo. Con questo addosso non potrà colpirti nemmeno a distanza.»
«E non potete costruirne altri? Se questo affare è in grado di fermare Adamo, basterà distribuirne uno per ognuno dei ragazzi della City, e loro...»
Ilan scuote la testa. «Selina 16, nella City vivono oltre trecento ragazzi innestati. Non abbiamo la strumentazione, i mezzi e le risorse per costruire centinaia di accumulatori di massa, questo è l'unico prototipo.»
Mi spegne immediatamente l'entusiasmo.
Che senso ha salvare me stessa, mentre tutti gli altri muoiono?
La signora riprende possesso dell'oggetto dalle mani di Ilan e me lo mostra ancora. «Se assorbirai le cariche elettromagnetiche, sarai schermata. In questo modo lui non potrà farti del male e tu potrai prendere il suo posto. Quando sarai eletta Creatore, l'intera rete sarà nelle tue mani e allora li salverai tutti.»
«Ma succederà quando i miei colleghi saranno già morti. Anche se tutto andasse secondo i piani, e anche se io decidessi di piegarmi a un destino simile, la mia elezione avverrebbe dopo il Middle Ground. E io non voglio che muoiano!»
«Tu ora devi solo pensare a prendere il suo posto!»
Continuo a non afferrare l'oggetto. «Io non riesco a pensare in questi termini.»
«Lui quest'anno ha finito il suo tempo. È condannato al Middle Ground, ma come ho detto, su sé stesso non applica le leggi. Devi accertarti che accetti il suo destino.»
«Accertarmi? Accertarmi come?»
«Deve morire?» chiede Natan sconvolto.
So quanto tiene a quell'uomo che vede come un generatore, un mentore, una guida.
«Sasha, ogni uomo che raggiunge i sessant'anni di età muore. È la legge. E vale anche per Vadis e per Adamo» dice la donna, senza nessuna pietà.
«Non posso crederci» sospira Natan, scuotendo la testa. «Quel dannato cacciatore aveva ragione su tutto.»
Mi fa scattare di nuovo. «Ma si può sapere, tu e Morgan, quando avreste scambiato tutte queste informazioni?»
Natan incurante del mio legame con Morgan, risponde schiettamente: «Ero andato nella sua cella a ucciderlo, e lui mi ha persuaso a liberarlo.»
«Eri andato a fare cosa?» ringhio a occhi spalancati.
«Non faceva che gridare, mi stava innervosendo. Ma non lo avrei mai fatto, lo so che lo ami.»
Mi irrigidisco all'istante. Lo amo?
La signora interviene serafica: «Mi auguro di aver capito male. Non c'è posto per queste mere reazioni chimiche, nel nostro ordinamento. Sono solo debolezze momentanee che spingono sovente a scegliere strade senza uscita. E noi, qui, abbiamo il compito di sollevare le sorti di Pangea.»
Ora il mio sguardo cala su di lei malevolo. Riconosco in questa donna me stessa. Il mio raziocinio, le mie convinzioni. La mia assoluta devozione alla legge. E per un momento vacillo. Sono davvero anch'io come questa donna? Ho ereditato il cinismo e il distacco? È in questo modo che appaio all'esterno? Probabilmente, mi dico, se non avessi dovuto affrontare questo viaggio, un giorno sarei diventata come lei, ma per buona sorte, non accadrà.
Sbotto: «Bene. Datemi questo affare» lo strappo dalle sue mani e lo infilo in tasca. «E datemi un mezzo di locomozione, anche un cavallo, se lo avete, noi dobbiamo tornare indietro. E l'unica cosa che mi rinfranca, è di non aver dovuto salire altri settanta piani di scale, per sentirmi dire queste sciocchezze. Andiamo, vieni, Natan.»
Lo afferro per la manica e lo costringo a muoversi con me verso la porta.
Vera 2 mi supplica alle spalle: «Selina, aspetta. Che cosa farai?»
Le riservo un'ultima occhiata accigliata e sussurro: «Io li salverò tutti».
#
#
Lo ammetto, osservare un drone mobile biposto, concepito per il trasporto umano, mi provoca riflessioni di sconcerto. Ma Natan è già a bordo e aspetta lamentandosi che io salga.
«La storia si ripete. Prima il cavallo e ora il drone. Non abbiamo tempo per questo, Selina. Ti muovi?» cantilena esasperato.
«Un due posti volante e scappottato, senza schermature, verrà abbattuto dal primo drone di controllo che incontreremo in volo. E allora tutta questa fatica non sarà servita a nulla» urlo isterica.
«Selina, è la sete che ti fa parlare così. Se non Sali, io vado via da solo» preme il pulsante del propulsore e la testata del motore si innesca generando un rombo che emette scintille.
«No, aspettami» balzo al suo fianco, preoccupata e distrutta. «Perché non ci hanno dato da bere? Quella diceva di essere la mia generatrice e non mi ha neanche dissetata.»
«Allaccia la cintura.»
La mini-navetta parte a razzo guadagnando potenza in pochissimi secondi, e io resto incollata al sedile per la spinta di propulsione che questo aggeggio biposto riesce a generare.
Natan urla per contrastare il rumore del vento che ci assorda durante il viaggio. «Primo, hai trattato quella donna con una tale freddezza, che capisco non abbia pensato a dissetarti» ridacchia. «Secondo, avevi ragione, lo riconosco. I tuoi colleghi scienziati anziani sono dei veri talenti. Questo lo hanno costruito da soli e senza mezzi. Spero solo che non precipiti, dicono che non lo avevano ancora testato. A quanto pare tutti credono in te.»
Adesso sento addosso il peso di una responsabilità enorme. Se fallissi, li trascinerei tutti con me nel baratro. Poi ci ripenso e deglutisco sconvolta: «Hai detto testare? Nemmeno un collaudo prima di questo volo?».
Natan ride come un pazzo.
Sorte benevola vuole che, in breve tempo e a una velocità inspiegabile, anche se ormai a notte fonda, senza che nessuno ci abbia abbattuti o fermati, facciamo ritorno a Vadis, e Natan fa atterrare il drone nella steppa, proprio al confine tra Vadis e Stallo.
«Questa è una zona franca. Neutrale. Qui nessuno la ruberà. Così un giorno potrai restituirla ai tuoi futuri sudditi» mi strizza l'occhio.
«Non sei divertente.» Smonto con la testa che gira e la pelle a fuoco dopo le sferzate di vento che ci ha schiaffeggiati durante il volo. Ho un bisogno disperato di acqua, addosso e in gola. Andrebbe bene anche un diluvio. Ma in questo caso, niente sorte benevola, il freddo è pungente ma più asciutto della mia lingua.
Ci incamminiamo verso gli alloggi e lo prendo sottobraccio. «Cosa racconterai a Giosuè? Sarà arrabbiato per la tua disobbedienza.»
Natan scrolla le spalle avvilito. «A lui interessa che tu sia tornata qui. Basterà fargli credere che ti abbia convinta a tornare, e che la Torre non l'abbiamo raggiunta.»
«Se controlla la rete, lo sa che ci siamo stati, al ritorno non abbiamo incrociato nessun drone, e qualcosa mi dice che sia stato lui a permetterci di tornare sani e salvi.»
Natan ammutolisce pensoso. Vorrei scusarmi per il mio solito scetticismo, ma ho troppa sete per farne un dramma. E credo anche di essere sul punto di crollare addormentata per la stanchezza. In effetti sono sveglia solo perché ho sete.
Natan mi fa entrare da una porta di servizio, furtivo come un ladro, mi fa cenno di non fare rumore e mi spinge a seguirlo lungo un corridoio oscuro che culmina con una porta blindata. Si fruga nelle tasche in cerca di un gran mazzo di chiavi legato a un bracciale di ferro, e sceglie la più lunga e consumata. Gira la chiave nella toppa con movimenti lenti e silenziosi per impedire agli scatti di rintoccare tutt'intorno.
Sussurra nel mio orecchio: «Non dirlo a nessuno, ma qui ci sono le cucine.»
La parola cucina mi ridesta, e per un momento l'entusiasmo di stare per bere e sciacquarmi il viso sotto a un rubinetto mi carica.
Poi lo strattono, e ringhio sottovoce: «Non dicevi che voi Reminiscenti mangiate solo al Pub e che non avete altro modo di consumare un pasto?»
La porta si apre cigolando pianissimo, e Natan mi dà un colpetto tra le scapole facendomi finire all'interno con un balzo, richiude la porta alle sue spalle e senza neanche preoccuparsi di rispondermi, si precipita sul lavello e apre l'acqua. Il solo sentirla scrosciare spinge anche me a correre come un'assiderata e a ficcare subito la fronte sotto al getto, e le nostre teste si scontrano, colpendosi a vicenda. Iniziamo una lotta a chi, a bocca spalancata, riesce per primo a ingollare quanta più acqua possibile. Andiamo avanti così per un bel po' di tempo, fino a ingerire un quantitativo d'acqua sufficiente a dissetarci per un mese.
Finiamo fradici a ridere sottovoce.
Più tardi, mentre passo le mani umide tra i capelli, per tirarli indietro, seduta sotto al lavello a occhi chiusi, sussurro: «E c'è anche da mangiare, qui?».
Sento la sua voce vicino al mio orecchio che bisbiglia: «Questa è la sua cucina privata. Di sicuro c'è di tutto, in quella credenza, ma cerchiamo di non mangiarci il suo arrosto di vitella, lui ne va matto e sarebbe disposto a uccidere per quello.»
Uccidere. Smettiamo di ridacchiare all'istante e i nostri occhi si incontrano muti.
Di certo vorrà uccidermi, penso, ma non sarà per l'arrosto.
Mi metto in piedi e sdrammatizzo: «Dimmi due cose, fratello: primo, cos'è una credenza, e secondo, dov'è».
Mi fissa allibito, e il suo dito indica sulla destra, appena dietro di me. Seguo con lo sguardo la direzione fino a notare un grosso mobile di legno a quattro ante. Senza indugio, mi dirigo a spalancare le prime due.
«Che vuoi fare?»
«Mangiargli l'arrosto di vitella.»
Natan non trattiene una risata molto più sguaiata della mia, e subito soffochiamo i singhiozzi nelle mani. Due bambini.
In verità cerco verdure, non ho il coraggio, dopo aver visto quel grosso bue vero e vivo, di mangiare la sua prole. Sempre che un vitello sia generato da un bue. In effetti questo dato mi manca.
Ce ne stiamo così, a masticare e a ridere, illuminati solo da un paio di candele, e seduti tra il tinello e il lavello. Per quasi tutta la notte, restiamo accomodati sulle maioliche di un pavimento costruito con materiale reperito alla Risacca, e che proviene da cucine del 1900 italiano, mi racconta Natan. Divoriamo insalata non sintetica, pomodori non sintetici e pane non sintetico. Ci fa colare sopra persino vero olio di olive spremute. E chiama questa preparazione bruschetta al pomodoro. Dice però che si chiama in questo modo perché il pane andrebbe bruschettato, ovvero scaldato fino a renderlo croccante in superficie, tuttavia non possiamo usare il fuoco, qualcuno potrebbe accorgersene e noi saremmo puniti. Sono affascinata dalla conoscenza dei Vadisiani sulle cose del passato, deve essere la ragione per cui sono stati chiamati Reminiscenti. Quando tornerò dai miei colleghi e amici alla City, spiegherò loro che non sono reminiscenze, e che dobbiamo smettere di esaminarli, loro hanno fatto delle scoperte e le hanno studiate. Sono come noi, sono degli studiosi, anche se l'ordinamento non consente loro di frequentare l'accademia ufficialmente. Una legge che, fosse per me, cambierei subito.
«A cosa stai pensando?» mi domanda sazio, mentre appoggia la schiena contro la superficie del lavello.
Continuo a osservare le briciole sparpagliate sulle maioliche e le piccole gocce d'olio di oliva vero che costellano il fazzoletto con cui mi sono pulita, e mi sembra di essere a casa, nel posto, sì, il posto di cui parlava Natan.
«Mi viene in mente» dico piano, «che non serve che arrivi fino alla casa spagnola semiaffondata, per avere un posto tuo. Anche qui, insieme, è un posto tuo, no?».
Il suo viso si apre a un'espressione d'incredulità. Viene avanti con la schiena e allunga la sua mano per prendere la mia. «Tu mi emozioni. Pensavo volessi andartene, ma se resti, sì, questo può diventare il nostro posto.»
Dopo un istante lo sento aggiungere: «Hai abbassato lo sguardo appena ho detto nostro.»
Mormoro pianissimo: «No, è che stavo pensando a Morgan. Anche lui potrebbe stare qui con noi, no? E con Selina 11. Noi quattro.»
Lo sento emettere un respiro profondo.
«No?» insisto.
Diventa polemico: «Sarebbe bello, sì. Ma è impossibile che due Reminiscenti, una Crescente e un Cacciatore di Vite possano convivere. Il tuo amato ordinamento non ce lo permetterebbe mai».
Insorgo a mento alto e voce sostenuta: «Allora cambiamolo!».
Per un istante lo sguardo di Natan mi osserva fiero, e si illumina di felicità, ma subito si sposta oltre la mia spalla e si spegne, consegnando la sua pelle a un pallore istantaneo. Si mette in piedi velocemente, aggrappato al piano del lavello.
«Padre» dice in un fiato.
Mi volto di scatto e osservo la figura di Giosuè avanzare fissando corrucciato il pavimento, in perlustrazione.
Subito puntualizzo: «Il suo sacro arrosto è salvo, stia tranquillo».
Sorrido di sottecchi nel notare che la faccia di Natan si è spalancata al disagio per la mia battuta. È buffo, mi fa tenerezza.
«Di sacro ho solo un libro, figlia. Un arrosto può essere condiviso.»
A quanto pare ha impiegato meno di un giorno per analizzare il mio DNA e appurare che sono sua figlia.
Mi metto in piedi e lo affronto spavalda. «A dire il vero, sarebbe più saggio condividere un libro.»
«A stomaco pieno si pensa meglio» replica.
«Se la mente è vuota, il pensiero resta digiuno.»
«Che cosa vuoi dimostrare, Selina 16?»
«Che lei è un bugiardo.»
Giosuè cammina intorno a noi e ci scruta accigliato, ma resta calmo nel suo incedere, e anche la sua voce è un sospiro leggero quando domanda: «Perché sarei un bugiardo, sentiamo.»
Non temo affatto questo suo atteggiamento di superiorità, e a mani sui fianchi lo provoco: «Lei ha costruito le sue cucine nel mezzo di un dormitorio per Reminiscenti a Vadis, quando alla sua età, e se fosse davvero il Creatore come afferma di essere, lei dovrebbe avere il suo laboratorio tra i Crescenti che vivono nella Torre, a Ingranaggio.»
Ora ferma i suoi passi e schiocca la lingua divertito. «Possiedi la stessa bellezza e la stessa saccenza della tua generatrice. L'hai conosciuta oggi, Vera 2, avrai notato che avete un'arroganza e un fascino eguali.»
Mi spiazza.
Lui sa.
Sento il respiro di Natan farsi veloce. Vorrei proteggerlo, ma il ricordo di quella donna mi fa perdere tempo, e Giosuè approfitta di questa esitazione per avvicinarsi e osservarmi come un animale che annusa la sua preda.
Faccio subito un passo indietro e di getto mento malissimo. «Non so di cosa stia parlando.»
«Ma certo che lo sai» replica torvo. Orienta la sua ira su Natan e lo indica: «Tu. Non avresti dovuto disobbedirmi.»
Il silenzio di Natan genera in me un moto di rabbia, va bene, desidera avere una famiglia più di qualunque cosa al mondo, ma quest'uomo non può definirsi la cosa migliore per lui, lo comanda a bacchetta. Sarebbe questo il rapporto che genitori e figli avevano nel vecchio mondo?
Alzo la voce: «Natan non è un suo servo!».
Mi ignora, e seguita a rivolgersi a Natan con severità. «Ora vai a dormire, è quasi l'alba.»
Mi volto rassegnata verso mio fratello e so che siamo stanchi, e che non è il momento di intavolare una discussione, e poi vederlo così remissivo mi fa male.
Allungo una mano verso di lui e confermo: «Andiamo, Natan.»
Sta per prendere la mia mano, quando Giosuè si infila tra noi spezzando la presa.
Sibila solenne: «Tu, no, ragazzina. Tu sei libera.»
Sussulto.
Per la prima volta Natan si oppone: «Che significa?»
Adesso Giosuè ignora lui, e si rivolge a me: «Fuori c'è qualcuno che ti aspetta.»
«Se è una trappola...»
«Osserva tu stessa» indica la finestra.
Deglutisco e mi faccio coraggio. Avanzo piano fino alla finestra dietro al lavello, e il giardino ancora avvolto dall'oscurità è appena illuminato da una torcia crepitante infilzata nel terreno. Poco alla volta metto a fuoco una figura imponente che emerge dalla boscaglia confinante ed avanza nella steppa, finché la sua marcia rallenta e il viso osserva in alto.
«Morgan» sussurro sconvolta.
Non appena il suo sguardo arriva su di me, i suoi passi si fermano in attesa.
Alle spalle, la voce di Giosuè mi esorta: «Ti sta aspettando. Puoi andare.»
Mi volto di scatto e so di essere confusa. «Mi lascia andare via con lui?»
«Non è quello che volevi?»
Natan si avvicina a me e scruta fuori. Nel farlo bisbiglia nel mio orecchio: «Qualcosa non quadra.»
Prendo la sua mano, e senza preoccuparmi di abbassare la voce, lo tranquillizzo: «Ci vediamo più tardi.»
Non se lo aspetta, ma d'impulso lo abbraccio così forte da avvertire il suo tremore. Impiega qualche istante a ricambiare la stretta, ma poi le sue mani si incatenano a me. Restiamo abbracciati a dondolarci in mezzo a questa stanza piena di energia e di ricordi e di storia, e so che tiene a me e che è preoccupato, ma voglio che capisca che non ha nulla da temere e che ora che ci siamo trovati, noi non ci perderemo.
«Molto commovente. Ma ora basta» esclama stizzito Giosuè. «È l'alba. Devi andare, Selina.»
Non so perché quest'uomo abbia tanto a cuore che sia l'alba, lo ha ripetuto due volte. Intanto, lascio andare mio fratello, condividiamo un sorrido muto, poi mi volto e marcio rapida verso la porta, passando accanto a questo profeta senza degnarlo di uno sguardo o di un saluto, e ignorandolo, mi defilo, chiudendomi dietro la porta. Il mio cuore esplode non appena mi trovo sola lungo il corridoio, e una falcata alla volta, allungo il passo e corro per raggiungere Morgan.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro