16 - Io ti conosco!
Selina 16
-10 giorni al Middle Ground
La voce che mi chiama giunge dal terrapieno. Mi chino verso il braccio e cerco di capire da dove si sporge.
«Qua sotto, sbrigati!» sussurra.
Mi avvicino cauta. Potrebbe essere un inganno ottico? Una simulazione?
«Sei reale, tu?» domando sottovoce.
«Che diavolo di domanda è?»
Diavolo? Ma che lingua parla?
La sua mano si agita: «E muoviti, cretina, che tra un minuto ti taneranno.»
Mi faranno cosa?
Il mio indugiare indecisa lo spinge a emergere col busto e, ai miei occhi, si rivela la figura sottile di un ragazzo che dimostra non più di quindici anni e ha lunghi capelli scuri e scompigliati che si affollano sulla fronte incorniciando due occhi vispi e divertiti.
Ridacchia: «Cosa sei, sorda?».
Non sembra ostile. E poi non ho molto da scegliere.
«Ma dove vuoi portarmi?» domando cauta.
Mi avvicino ancora, e mentre mi domando se sia una buona idea seguirlo, il suo braccio mi arpiona la vita e mi trascina giù.
In un attimo osservo la radura sopra di noi richiudersi, come il sigillo di una botola ricavata nel terreno, e i nostri corpi scendono in rapidità risucchiati da un cunicolo verticale. La discesa è talmente rapida che la pelle s'increspa per il repentino calo di temperatura. Reprimo l'istinto di urlare fino a che i nostri piedi piombano a terra. O meglio: sottoterra. In una galleria scavata nella pietra. Umida e illuminata dalle torce di sette ragazzini che ora ci accerchiano a pochi passi.
Il braccio lascia andare la mia vita e la sua mano si allunga verso di me: «Piacere di conoscerti, fuggitiva. Io sono Francesco. Tu?»
Francesco? Ma è un nome arcaico. Forse sto sognando, oppure sono impazzita.
«Sono...» non posso dire né Selina e né Runa a uno che ha un nome arcaico. Penso a un nome arcaico... mi viene in mente solo questo anfiteatro. «Mi chiamo Flavia» gli stringo la mano.
Guadagno un'occhiata accigliata, sembra diffidente, non mi crede. Ripensandoci... forse sono nei guai.
Uno di loro si fa avanti e mi studia da sotto a sopra. «Perché quegli evasi ti inseguivano? Da dove venite?»
Devo evitare le domande. I Reminiscenti subiscono spesso lobotomie. Devo usarla come giustificazione, non ho altro modo per rendermi credibile. Non so dove mi trovo e non riesco a stabilire se sia finita di male in peggio. Devo guadagnare tempo.
«Non lontano da qui.»
«Hai fame?» chiede un ragazzo dall'aria misteriosa che ne sta appoggiato con la spalla alla parete di roccia e fa in modo di restare nell'ombra.
In effetti ho fame. Devono credermi una vadisiana, perciò niente ritrosia. Annuisco.
«Portiamo Flavia al Pub» dice ai suoi amici.
Pub?
«Non con quel camice» dice un altro.
Mi osservo la veste bianca e priva di elementi con cui noi Crescenti lavoriamo nei laboratori, perdere la mantella e il foulard nella corsa ha reso vulnerabile la mia identità, ho sbagliato a tenere il camice, avrei dovuto toglierlo subito. E in un momento rapidissimo avverto un brivido di sospetto insinuarsi nella mente e raffreddare la mia pelle: loro sanno? Sono stati analizzati più volte nei nostri laboratori, conoscono le nostre divise, mi avranno riconosciuta?
Eppure ridono tra loro, sono rilassati, si spintonano goliardici come ragazzini, non danno l'idea di sentirsi minacciati o di covare una vendetta. Rilasso il diaframma e sciolgo le spalle.
«Ci facciamo prestare qualcosa da mia cugina» replica il ragazzo misterioso.
Cugina? Sarà il suo modo per definire una compagna? Non posso domandare. Peccato.
«La taglia mi pare quella» mi esamina insistente, e ho l'impressione che non stia prendendo le misure ma facendo una radiografia.
Si fa avanti, e non appena il suo viso viene colpito dalla luce calda della torcia, noto che è alto e tonico, con spalle forgiate dal lavoro e un volto da ventenne arrabbiato, i lineamenti regolari lo rendono attraente ma lo sguardo cupo intimorisce. La cosa che mi spinge a indietreggiare, tuttavia, è un'altra: ho la netta sensazione di conoscerlo. Ma in questo sotterraneo la luce è troppo fioca per metterlo a fuoco.
«Noi abitiamo nel distretto sud» dichiara sicuro di sé, «Lì le simulazioni non ci sono, siamo fuori dal radar dei Condor.»
«I condor?»
Mi pento di aver chiesto. Ma il suo sorriso mi distende i nervi.
«Chiamiamo quei maledetti robot così. Vieni.»
Ci supera, dandoci le spalle. Dal modo in cui si muove e ci guida, capisco che deve essere il loro leader. Anche perché, a occhio e croce, dovrebbe essere il più adulto, qui. E immagino che non ci siamo mai visti prima o lo avrebbe detto, magari io soffro di amnesie dovute alle continue stilettate nella testa che finora e a momenti alterni non mi hanno mai abbandonata, ma non penso che lui abbia lo stesso problema. Decido di seguirli, se non altro per trovare l'uscita e poi scappare.
Mentre marciamo lungo la galleria, mi domanda: «Cosa ricordi del vecchio mondo?».
Se attingessi alle mie conoscenze capirebbero che qualcosa non quadra, sono troppo dettagliate, sono nozioni, non ricordi. Ho paura di finire di nuovo in trappola.
Il mio silenzio sembra piacergli, perché mi prende sottobraccio e stringe la mia mano nella sua, portandosela sul costato.
«Una ragazza bella come te non deve aver paura» sussurra a un tratto.
Sento le guance accaldarsi e continuo silenziosamente a fissare i miei piedi che seguono la marcia di gruppo.
Si avvicina al mio orecchio e sussurra: «Anche se non sei di qui. Non sei una di noi.»
Sussulto. D'istinto cerco di rimuovere il braccio dalla sua presa, ma lui la rinsalda e mi attira a sé, blocca il passo e mi parla a un palmo dalla bocca: «Però sei così bella che ho deciso di soprassedere. Voglio che diventi una di noi».
Adesso sì che mi sento in trappola.
Sostengo i suoi occhi brillanti e chiari fissati nei miei, e trattengo il respiro.
Tra noi sbuca la faccia furba di Francesco che mi sorride: «Di' un po', l'hai mai sentita la storia dei due ragazzi che s'innamorano e poi si uccidono?»
«Cosa?» domando frastornata.
Il braccio del biondo lo allontana con un gesto stizzito. E con uno sguardo furente per essere stato interrotto, lo ammonisce senza usare parole. Ma Francesco non sembra preoccuparsene e si piazza accanto a me per raccontare: «I Crescenti ci accusano di avere reminiscenze del vecchio mondo. Ma la verità è un'altra...»
«Adesso sta' zitto» ordina il biondo.
«Ma che ce ne frega» replica Francesco, «tanto non potrà raccontarlo a nessuno.»
Sono sempre più confusa.
«Di cosa parlate?» domando temeraria.
«Nulla» esclama il biondo. «Sono io che decido quando e se raccontare cosa a chi.»
«Perché?» il mio respiro sta accelerando.
Mi indirizza un sorriso obliquo. «Perché, per quel che ne sappiamo potresti essere qui in veste di spia. Abbiamo visto la navetta parcheggiata in superficie, cara la mia bugiarda.»
Impallidisco.
«Se non l'avessi capito» spiega Francesco con lo stesso sorriso pacifico di prima, «fino a nuovo ordine sei un ostaggio.»
«A meno che» aggiunge il biondo, posando lo sguardo sulla mia bocca, «diventi a tutti gli effetti una di noi.»
«O saremo costretti a farti del male come voi ne fate a noi» Francesco sfiora il mio camice e fa un ghigno, «Crescente».
Il terrore mi invade i sensi. Sanno chi sono. Mi faranno del male.
Devo stare calma. Non devo perdere di vista la missione: raggiungere Ingranaggio, trovare una cura. Non permetterò a nessuno di fermarmi. A nessuno. Non l'ho permesso a Morgan, figuriamoci a questi vadisiani. Ma loro sono in otto.
Prendo un lungo respiro. «Scusate ma io dovrei andare via...» tentenno come una stupida.
Il volto di questo ragazzo è proprio a un palmo dal mio e non fa che fissarmi il viso in ogni dettaglio, come volesse studialo, la sua mano mi sfiora la guancia e per un momento il mio respiro si ferma: sta osservando le anomalie? Perché non dice nulla e continua a fissarmi la bocca? Forse vuole che lo convinca che sono innocua, dalla loro parte e che non rappresento una minaccia. Più lui si avvicina più avverto il calore della sua adrenalina sprigionarsi sulla mia pelle. Poi spalanca gli occhi, come chi torna in superficie da un'apnea o rinsavisce all'improvviso, e si stacca repentino da me col viso a fuoco e il fiato corto a osservarmi come fossi una specie di sirena ammaliatrice. E so di essere osservata. Siamo al centro della scena. Sento delle risatine sovrapposte e, oltre la sua spalla, i ragazzi che ci osservano divertiti mi mettono in tremendo imbarazzo.
Il biondo riprende fiato, e senza voltarsi, ordina loro: «Via, sparite.»
Li osservo disperdersi senza obiettare, e studio il percorso che fanno: hanno intrapreso il secondo cunicolo di destra.
Pochi istanti e siamo soli.
Mi stringe per i fianchi e scosta il viso per sorridermi con le sopracciglia corrugate: «Non mi aspettavo che fossi così bella, Crescente, ho sentito molto parlare di te ma non credevo che, insomma, non mi fraintendere...»
«Hai sentito parlare di me? Cosa dovrei fraintendere?»
Temo di essere avvampata per il disagio.
Scoppia a ridere intenerito. «Ricominciamo daccapo, ti va?» lascia andare la presa su di me, fa un passo indietro e allunga la mano, «Alla nascita ero qualcun altro, ma ora mi chiamo Natan, piacere».
Fisso inebetita la sua mano e non mi muovo.
«Questo non è possibile, è contro la legge di Pangea cambiare il proprio nome e numero identificativo... io... credo che tu dovresti...»
Sbuffa: «La legge? Pensa che noia! Ti presenti o no?»
«Si chiama Selina 16, e se non ti togli subito di mezzo ti elimino» sentiamo.
Il mio cuore balza in gola. È la voce di...
Morgan si fa avanti dall'ombra della galleria, in tutta la sua imponenza.
Il braccio del ragazzo in una mossa fulminea mi agguanta al collo e mi imprigiona.
«A quanto pare abbiamo un problema, cacciatore» gli dice sprezzante.
«Non vedo quale» pronuncia pianissimo Morgan, a mento basso e occhi in fiamme.
«Vogliamo tutti e due la stessa donna» replica Natan, «E lo so che si chiama Selina 16, lo so da prima che lo scoprissi tu, cacciatore» precisa a occhi stretti a una fessura e senza nessuna paura.
A un tratto un guizzo di coscienza si accende tra i miei ricordi: è il ragazzo dell'infermeria! È proprio lui. Quello che mi ha inseguita alla stazione. Come ho fatto a non riconoscerlo! Maledetta memoria.
«Come fai a conoscermi?» chiedo sconvolta.
Morgan inclina la bocca in un sorriso a metà: «In questo momento non è la donna, ciò che voglio, Reminiscente» in un attimo gli arriva di fronte e gli stringe una mano alla gola, «io voglio la tua morte.»
Gli sta togliendo l'aria al punto che la sua presa su di me s'indebolisce e mi lascia andare. Morgan col braccio libero mi spinge indietro, poi scaraventa Natan contro la parete.
«Lascialo!» urlo terrorizzata. «Non fargli del male, Morgan, ti prego!»
Morgan si volta a guardarmi corrucciato.
In un colpo di tosse, Natan bofonchia: «E così tu sei il leggendario cacciatore di vite Evan Morgan Vento... quale onore.»
Morgan lo ignora, e lo lascia ad annaspare contro la parete. Allunga una mano verso di me: «Andiamo, Selina.»
Osservo la sua mano, vorrei stringerla, ma mi ripeto che non permetterò a nessuno di fermarmi. La missione di Morgan è di riportarmi a Pangea, ma non posso tornare indietro senza aver almeno tentato di trovare una cura per le anomalie, e non mi resta che scappare da lui. Perdonami Morgan.
Sto per farlo, quando la voce di Natan mi ferma. «Non dargli retta, Selina» dice in modo così provocatorio da risultare incosciente, non si rende conto che Morgan potrebbe davvero fargli del male. «Vieni via con noi, e avrai salva la vita» aggiunge.
«Sta' zitto, vadisiano, ti avverto che ho finito la pazienza prima ancora che tu nascessi e non concedo seconde possibilità.»
«Oh ma che paura che mi fai» lo sfotte.
«Mentre ne parlate io vado» dico d'un fiato mentre con un rapido mezzo giro mi volto e scatto verso la galleria.
«Ferma, non di là!» urla Natan.
«Strega, torna qui!» urla Morgan.
Finisco ingoiata dal buio, supero il primo cunicolo e m'infilo nel secondo corridoio a destra e cerco di ricordare cha strada abbiano intrapreso i ragazzini, sperando conduca all'uscita dal tunnel e non nella loro casa. Dopo molto marciare mi dico che potrei averli seminati, almeno credo. Spero solo che Morgan non uccida quel Reminiscente, deve prima spiegarmi come fa a conoscermi e cosa vuole da me. Ma immagino che non ci sarà occasione di chiederglielo più. Un rumore terribile si scandisce tutt'intorno e frena la mia corsa facendo palpitare rapido il mio cuore. Cos'era quel frastuono?
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