Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

1 . Tu chi sei?


PARTE PRIMA

Quando cade la neve

e soffiano i venti ghiacciati

il lupo solitario muore

ma il branco sopravvive.

(GOT)


Selina 16


-30 giorni al Middle Ground


Capisci di essere in un mondo sbagliato, quando intorno a te non esiste più la pietà. Quando nessuno, nemmeno chi sa di commettere un errore, trova dentro di sé il pentimento. E quando nessuno, pur essendo nel giusto, prova empatia per chi si pente. In questo periodo dell'anno c'è grande fermento nella City, la pietà è dimenticata, si avvicina il giorno dell'evento che tutti temono di più: il Middle Ground.

«Selina 16» chiama l'assistente di cattedra. «Si può sapere a cosa stai pensando?»

Mi riscuoto e cerco di tornare dritta sulla schiena, le mie compagne stanno già sghignazzando. Mi ero accasciata nel banco. Subito do la risposta più accettabile per evitare un richiamo che mi costerebbe cinque crediti. «Ero impegnata a risolvere mentalmente il Teorema di Holland sulla convergenza degli algoritmi genetici, signora assistente.»

Lei mi osserva con sospetto. «A mente?».

Adesso le risatine moleste delle mie compagne si fanno sonore.

Speravo che la terza fila mi avrebbe risparmiato il suo sguardo arcigno, stavolta, perché in questi giorni non riesco a concentrarmi, non faccio che pensare a quell'evento.

«Fate silenzio!» ordina l'assistente. «Ti voglio attenta, capito, Selina 16?»

«Chiedo scusa, sì, naturalmente» rispondo sommessa.

«Faresti meglio a seguire la...»

A un tratto, la voce dell'insegnante viene letteralmente sommersa da una cantilena stordente: l'allarme si diffonde improvviso e potente nell'intera City. Non è il solito segnale ma una sirena d'emergenza.

«Adunata!» esclama severa l'assistente.

Il segnale diffuso in tutti i laboratori, dalla ricerca alla messa in opera, avverte che dobbiamo interrompere le lezioni per recarci in fila e in silenzio nel grande cortile del Campus. Una cosa che non si verifica mai. Io e la mia compagna di alloggio e di banco, Nervia 12, scambiamo subito un'occhiata preoccupata, ma non obbiettiamo all'ordine e ci uniamo ordinatamente alla fila per uscire dall'aula e raggiungere la corte esterna. Le prendo la mano, e lei me la stringe. La marcia si unisce a quella degli altri studenti sbucati negli androni, e ora siamo decine di ragazzi che si avviano confusi lungo i corridoi, e la sirena spaccatimpani non ha ancora smesso di suonare come un'ossessa.

Veniamo radunati tutti insieme, senza distinzione tra biochimici, geologi, analisti di settore, matematici, ingegneri o genetisti, e riconosco alcuni tra i compagni di laboratorio o di mensa. Ci salutiamo con dei cenni: chi alza timido tre dita, chi annuisce in un sorriso appena accennato. I controllori non gradiscono effusioni o occasioni di gioco – le chiamano così – durante le cerimonie ufficiali. Siamo tutti spaesati, ma non abbiamo paura, questo è un posto sicuro in cui niente può farci male.

Il Gran Maestro Sirio Uno, un ragazzo dall'aspetto angelico e vestito d'oro che, a dispetto di una bellezza eterea, è sempre foriero di ordini e nuove e stringenti regole, compare sulla pedana allestita per l'assegnazione dei crediti, un piccolo podio per premiare gli studenti che eccellono nel semestre. Immediatamente mi rilasso all'idea che stiano per premiare qualcuno. L'interruzione delle lezioni non è una consuetudine, ma se c'è un lieto fine, tutto può essere perdonato. Eppure, il nostro Gran Maestro dell'esecutivo, non ha l'aria di volerci dare buone notizie.

Schiarisce la voce e dichiara nel microfono: «Miei amati Crescenti, sono oggi qui, ahimè, per dare a tutti voi una comunicazione che mi addolora moltissimo».

Un esordio che costringe la mia mano intrecciata con quella di Nervia 12 a stringerla al punto che lei geme. Qualcosa di simile alla paura s'insinua in me subdolamente, accorciandomi il fiato.

«Amo ognuno di voi giovanissimi geni» riprende il Gran Maestro Sirio Uno, «Siete il futuro di Pangea, l'avvenire, le menti che ricostruiranno il mondo perduto.»

Lo ripete sempre, ogni volta che comincia un comizio. Noi Crescenti siamo quozienti intellettivi superiori alla media, abbiamo accesso a una rete tecnologica negata ai più, e possiamo consumare anche tre pasti al giorno. Viviamo in un agglomerato urbano circoscritto di Pangea, la City, controllata dalle IA e suddivisa in laboratori e aule di studio e alloggi dormitorio. Come gli Operanti di Ingranaggio, i Cacciatori di Vite o i Reminescenti di Vadis, non abbiamo la possibilità di scegliere il settore di lavoro e né il futuro compagno di riproduzione, ma accettiamo la vita che ci è stata assegnata senza infrangere le regole. Perciò cosa mai può essere successo, oggi, nel nostro posto perfetto?

Sirio Uno continua: «Quando accadono queste tragedie non posso che rattristarmi enormemente.» Il suo braccio si apre verso destra e ci voltiamo tutti a osservare i nove Crescenti che in fila indiana salgono sul podio e si sistemano alle sue spalle.

«Devo comunicarvi che quest'anno il Consiglio ha decretato il destinamento di nove studenti della City. Nove Crescenti. Anomalie genetiche impediscono a questi giovanissimi studiosi di restare tra noi.»

Lo dice con un tale distacco da farmi rabbrividire. Noi Crescenti siamo tutelati dalla Legge di settore che prevede l'esclusione dei più giovani dalla cerimonia annuale. È la prima volta che viene destinato qualcuno di noi. Non sappiamo neanche come si svolge, cosa fanno, come lo fanno, tutto quello che ci è noto è che si tratta di un rito di sacrificio stabilito dal Consiglio Supremo che ogni anno destina alla morte coloro che hanno infranto le leggi o che non sono sani, ma principalmente il Middle Ground destina chi raggiunge i sessant'anni di età. Limite massimo di vita stabilito ormai oltre centocinquanta anni fa. Non abbiamo le risorse per curare gli ammalati o mantenere gli anziani, lo dice la legge di Pangea, per questo c'è una selezione severa che non ammette eccezioni, nemmeno tra i governanti.

«L'efficienza è la nostra sola arma contro il degrado e il fallimento» continua il Maestro Sirio Uno, «Voi Crescenti siete coloro che hanno l'onorevole compito di riportare alla vita un pianeta sommerso dalla tempesta, un pianeta sofferente e che grazie a voi sta guarendo. Ma chi cura non può essere a sua volta malato. Vogliamo celebrare il loro coraggio nell'essersi autodenunciati, e la loro inevitabile dipartita, con un ultimo saluto.» Fa loro cenno di mostrarsi uno alla volta, e il mio cuore si spezza.

«Questo non è giusto» sussurro sconvolta.

Sul podio, viene avanti la ragazza mora e bassina, una genetista come me, che accenna un inchino umile, e nella sua paura chiede scusa a tutti. Ci chiede scusa. Perché si sta scusando se ha un'anomalia? Non è colpa sua. Ma i miei colleghi accettano le sue scuse. Come fosse una colpa ammalarsi. Come se la responsabilità di cui siamo investiti adombrasse la nostra umanità. Dopo di lei, sale una ragazza riccia all'inverosimile, talmente riccia che le molle le nascondono lo sguardo, ma le lacrime che le piombano sul viso si contano anche da qui. E la riconosco: l'anno scorso mi aveva prestato la sua tesina sulle incoerenze delle cellule che tradiscono, e grazie a lei avevo preso dieci crediti. Durante la sesta sentenza, d'istinto mi aggrappo al braccio di Nervia 12, non ne posso più di accettare le richieste di perdono da parte dei miei colleghi coetanei che sembrano aver deliberatamente infranto il patto di perfezione che abbiamo con la City, quello che invita all'efficienza e vieta la debolezza, e devono scusarsi pubblicamente per questa defezione. Vorrei chiudere gli occhi e riaprirli l'anno prossimo, ma non sono autorizzata nemmeno a distogliere lo sguardo, i controllori IA obbligano noi Crescenti ad assistere. Il ragazzo che hanno chiamato a farsi avanti adesso, proviene dalla sezione dei biochimici, è lontana dal nostro edificio, io lo conosco appena. Non avrà più di sedici anni. È rosso di capelli, ha una corporatura salda, massiccia, ma ora esita e avanza timoroso al punto che quel grosso corpo potrebbe essere spinto via da una folata leggera. Ha occhi pieni di terrore puntati verso l'alto, come chi cerca qualcosa in cielo. Non so che genere di anomalia abbia colpito lui e gli altri, il Gran Maestro Sirio Uno non aggiunge dettagli alla sentenza, ma vederlo lì sopra a tremare mi fa provare una sensazione che assomiglia al dolore. So che le leggi a Pangea sono giuste e che vanno rispettate, ma questa novità mi provoca disagio verso regole che ho sempre seguito volentieri, e finisco per mettere in discussione dottrine che finora per me sono state un credo.

Se siamo così importanti per il futuro della City, per quale ragione ci sacrificano senza provare a risolvere il problema?

Dopo di lui vediamo sfilare ragazzini talmente fragili e sottili da sembrare non più che dodicenni. Mi domando se non sia un virus contagioso, e se presto potrebbe infettare anche noi. La perfezione e la serenità della nostra vita quotidiana si è improvvisamente incrinata per calare sui nostri volti un velo di tristezza. Per ricordarci che siamo mortali anche noi.

Il Maestro conclude con una frase che mi rimescola: «Crescenti, non dovete lasciare che la vostra forza sia indebolita da un inciampo».

Lo ha definito un inciampo.

Quando finalmente la celebrazione per le sentenze si conclude, il Gran Maestro Sirio Uno, scortato da due unità IA 4, si congeda annunciando che tra quattro settimane, i nove compagni che sono stati destinati oggi, verranno giustiziati durante il Middle Ground.

Dopo aver inneggiato in coro il motto di Pangea chi è vivo vive e chi è morto muore echeggiando lungo l'intera area allestita, iniziamo a disperderci e a lasciare la piazza in modo ordinato e in fila per tornare agli alloggi, e non ho mai ascoltato un silenzio così rumoroso. Per oggi, ci informano, le lezioni sono terminate. Mi sorprendo a rilasciare il fiato come se questa lunga ora fosse stata un'apnea.

#

#

Durante la notte, dal letto accanto al mio, sento arrivare i singhiozzi soffocati di Nervia 12. E subito mi allarmo.

Sussurro: «Cosa c'è? Stai bene?».

Lei non risponde, continua a singhiozzare nel buio.

Sfilo la coperta e le arrivo accanto al letto, mi siedo sui talloni e vado in cerca della sua mano, la stringo.

Piagnucola: «Secondo te, prima di condannare le nostre colleghe, li hanno consultati i genetisti anziani che si trovano a Ingranaggio? Anche se il protocollo non ci permette di avere contatti con loro, penso che sarebbero in grado di curare i compagni più giovani che sono qui nella City. Non ti pare?»

Ci guardiamo tra noi, con occhi persi e nessuna risposta.

Il silenzio che segue ci piomba nello sconforto di dover riconoscere che nessuno abbia consultato i genetisti anziani, e che ognuno di noi una volta rotto non vada aggiustato, come la legge prevede. Anche vi fosse una soluzione, nessuno la cerca, perché non abbiamo le risorse per curare le persone. O almeno, questo è ciò che ci hanno insegnato.

«Solo le menti sane e forti hanno il compito di ricostruire la società che abbiamo perso con l'eruzione solare geomagnetica ormai oltre cento anni fa» cito senza crederci, nella speranza di convincere lei.

Bisbiglia: «E se succedesse anche a noi?».

Sussulto, e il mio cuore fa un salto doloroso.

«Io non voglio morire» ripete in un singhiozzo soffocato nel cuscino.

«Nemmeno io» mormoro smarrita.

Il suo pianto mi provoca un moto di rabbia, e se succedesse a lei? Non sopporterei di vederla deportare.

#

Nelle settimane a seguire, nessuno fa più riferimento alla condanna dei nove studenti che ora non vediamo più perché sono stati trasferiti in un luogo isolato, prima di imbarcarsi sul treno che li condurrà a Ingranaggio dove si viene tenuti in custodia fino alla cerimonia. La mia decisione di risolvere il problema delle anomalie è del tutto arbitraria. Non coinvolgo nessuno nella ricerca che sto portando avanti in gran segreto, si rischia una sospensione. Ma dopo le lezioni, ogni pomeriggio, trovo il modo di intrufolarmi in sala ricerche avanzate e consulto ogni file contenuto nell'archivio per trovare qualcosa che mi aiuti a capire da che parte iniziare. In questi giorni ho rischiato più di una volta di essere sorpresa dalle IA di ronda a curiosare nei laboratori o nel database centrale, e per una infrazione come questa posso essere declassata e costretta a ripetere gli esami del semestre, ma alla fine, dopo quasi diciassette giorni di studio forsennato, credo di aver trovato qualcosa di utile. Ho trascritto rapidamente e poi stampato ogni formula su piccoli pezzi di carta, per poterli studiare con calma sotto le coperte, prima di addormentarmi, unico momento in cui nessuno ci controlla. Portarmeli dietro a lezione sarebbe rischioso. Sono fiera di me, non ho infranto nessuna legge ma ho trovato una possibile strada su cui lavorare per capire cosa genera le anomalie, e presto lo annuncerò ai Maestri.

#

-12 giorni al Middle Ground

«Selina, muoviti, quanto ci metti?»

Alle prime luci dell'alba Nervia 12 marcia lungo il corridoio dell'ingresso. È sempre la prima a uscire, non mi aspetta, vuole il banco davanti alla cattedra, ci tiene a fare una buona impressione sui Gran Maestri, e oggi a lezione non c'è l'assistente, ma proprio uno di loro. Dato che sto portando avanti in segreto questa ricerca, da giorni occupo gli ultimi banchi. Sono sempre stata molto diligente, ma preferisco non essere troppo vicina ai loro occhi puntati, hanno percezioni soprannaturali e ci leggono dentro, sentono tutto quello che proviamo, e ho paura che scoprirebbero delle mie incursioni furtive per fare ricerche non autorizzate. Finché i miei appunti non saranno pronti e scritti a dovere, non potrò presentarli ufficialmente. Mentre ci penso, finisco di vestirmi, allaccio gli ultimi bottoni della camicetta e, per un momento osservo fuori dalla finestra il Campo che prende vita e brulica di Crescenti che si dirigono ai laboratori o in classe. Da qui la stazione dei treni non si vede, ed è un sollievo perché oggi verranno imbarcati dal binario Uno anche i Crescenti che sono stati destinati, e vederli soffrire una volta mi è bastato.

«Selina, io vado avanti! Oggi sei lenta» sento la porta chiudersi.

«Aspettami!»

Ma se n'è già andata.

Afferro il camice, lo infilerò strada facendo, e arrivo all'ingresso in volata per dare un'ultima occhiata ai miei capelli, sono molte notti che non chiudo occhio, non faccio che studiare e formulare ipotesi, sarò un disastro. Deve la ragione per cui oggi la mia testa lancia stilettate, forse la stanchezza di questi giorni, spero solo non sia un'influenza. Le cose blande le curiamo, ma ci fanno perdere crediti perché rallentano la nostra attività.

Mi osservo di sfuggita con in mente la chiave da prelevare dalla mensola, quando un dettaglio nello specchio che non ho registrato subito arresta la mia marcia a metà del corridoio. Ma... cos'era quello strano luccichio? Torno indietro di due passi... mi volto lentamente, e non appena alzo lo sguardo al mio riflesso nello specchio, il cuore si ferma insieme al respiro che si mozza in gola. Sono un mostro. Intorno alla mia faccia sono comparse delle striature che, se non fosse inquietante solo crederlo, definirei non umane. Da quando in qua la pelle produce metallo? Che cos'ho in faccia? Cos'è questa roba lucente che incornicia il mio viso? La mano si avvicina alla guancia ma non osa sfiorarla. Tremo così tanto che ho bisogno di appoggiarmi al piano della mensola per non cadere a terra.

Respira, Selina, respira, devi mantenere la calma. Non devi andare nel panico. Colpa dello specchio, forse? Inutile inventare storie, lo specchio riflette quello che vede e non sa mentire. Non ho il coraggio di toccarmi. Resto immobile a osservarmi col respiro che si accorcia e il battito che accelera. Non riesco a credere a quello che vedo. È un incubo dovuto all'insonnia o una condanna esecutiva?

Ho sentito l'adunata. La marcia dei Crescenti oltre la porta è iniziata. So di essere in ritardo e che presto verranno a cercarmi, ma come faccio, adesso? Come faccio a uscire con questa faccia? Cosa penseranno le mie colleghe? Mi allontaneranno? Chiameranno i controllori? Cosa inventerò per evitarmi la gogna? Nessuno deve vedermi così. Vorrei urlare, piangere, contorcermi, ma se lo facessi mi attirerei addosso un intero esercito di IA di controllo. Secondo il protocollo ogni anomalia va denunciata, finirò su quel palco come tutti i ragazzi che si sono autodenunciati. E un brivido lungo mi corre nella schiena e fa irrigidire i miei muscoli: sta succedendo anche a me. Caracollo contro l'angolo della specchiera, e sento lacrime ferme impedirsi di piombare giù. Non posso crederci. Sono malata. Sono difettosa. Mi condanneranno come è giusto che facciano e come si fa in questi casi. Devo solo... devo solo accettarlo. È la legge. Non posso esimermi dal mio destino. Nella mente immagino il Middle Ground che tra dodici giorni mi destinerà davanti all'intera Pangea. Immagino la vita che sfuma via. Gli studi e le ricerche che ho fatto rivelarsi inutili. Come potrei spiegare loro di aver fatto queste ricerche in segreto con lo scopo di aiutare le persone, senza sembrare un'egoista che era già malata e si è nascosta per salvarsi da sola? Potrei aver contagiato tutti. Come potevo immaginare che sarebbe toccato a me, così in fretta, dopo pochi giorni dal primo segnale che anche la City si possa intaccare. Sono sconvolta. Ho una paura terribile. Mi piego sulle ginocchia. Immagino quel breve momento di felicità, due anni fa, quando stavo per essere accoppiata con Evan Morgan Vento, uno dei più desiderati futuri Maestri del regno, e credevo di essere davvero fortunata. Non mi ha voluta, senza una spiegazione ha infranto il codice e mi ha rifiutata facendosi declassare a Cacciatore di Vite, e mi ha spezzato il cuore. Non ho mai saputo perché lo abbia fatto, era così gentile con me, stavamo bene insieme durante le fasi obbligatorie dell'accoppiamento, e poi è svanito. Ma ora so che ha fatto la scelta giusta: ecco chi è Selina 16, una genetista fallata a soli ventun anni. Davanti al mio viso che mostra sfregi metallici, non ha più nessuna importanza cosa desiderassi per il mio futuro. La mia vita è finita. Devo autodenunciarmi.

L'apertura della porta scatta. Sobbalzo per lo spavento, corro dietro al tendaggio della finestra e resto nascosta con gli occhi strizzati e il fiato trattenuto. Non deve avvicinarsi, potrei contagiarla.

Sento la voce di Nervia 12, la mia coinquilina, che chiama: «Selina, ma sei ancora qui? Selina? Ma dove si è cacciata?» richiude la porta.

Sbaraglio la tenda e mi precipito verso la mensola, dove li ho messi? I miei occhi guizzano rapidi tutt'intorno finché non ricordo che la strumentazione si trova nella valigetta medica. Per le stilettate che ho nella testa, mi pare di iniziare a dimenticare anche le cose più elementari. Agguanto i manici della borsa e l'apro con la foga di una ladra riversando il contenuto sul letto, trovati: infilo la mascherina chirurgica e la visiera facciale plastificata, e mi osservo nello specchio, di nuovo. Così bardata, sono irriconoscibile. Stavolta tiro un sospiro lungo posso andare, non si vede niente. Per adesso sono salva. Metto il camice e lascio la mia stanza prima che Nervia torni a controllare che fine ho fatto e come mai non sono ancora in classe. Mi guardo intorno in preda all'ansia: non c'è più nessuno in giro, sono tutti a lezione, via libera. Percorro spedita il lungo corridoio d'accesso ai laboratori. Non sono di turno ma ho bisogno di sottrare il siero, è l'unica difesa che potrò usare se dovessero accorgersi di me. Devo far presto, mi dico allungando le falcate, e fino ad allora nessuno dovrà vedere il mio viso.

In rapidità m'infilo dentro al reparto Nove, e sigillo la porta. Oggi è giorno di esperimenti, ma sono ancora tutti in classe, posso sottrarre il siero dalla sala dei prelievi e filarmela prima che suoni l'adunata della seconda ora.

Avanzo mesta fino all'armadietto dove tengono gli alambicchi, mi toccherà travasarne almeno un paio nelle provette, mi dico. Ma questo non è il mio settore, va a sapere dove sono le provette! Sto iniziando a innervosirmi e giro su me stessa spaesata: dove – sono – le dannate – provette? Mi avvento sulla cassettiera, e senza badare al frastuono che sto provocando nella sala, spalanco i cassetti uno dopo l'altro per poi richiuderli con forza davanti al contenuto inutile che mostrano.

«Chi c'è?» sento una voce maschile alle spalle.

Mi volto di scatto col cuore in gola e gli occhi sbarrati.

«C'è qualcuno? Mi sentite?»

Resto immobile a fissare la tenda da cui proviene la voce, e trattengo il respiro.

«Avanti, lo so che ci siete!» ripete la voce.

Cosa faccio, adesso?

«Chiunque tu sia, vieni qui a liberarmi!»

Non dovrei lasciarmi trascinare dalla curiosità, ma mentre penso che sia uno sbaglio, i miei piedi stanno già avanzando lentamente fino al tendaggio plastificato che nasconde la corsia dei letti. Mi avvicino all'asta metallica che riporta le informazioni sul paziente, e sfilo dalla sacca appesa la cartella clinica. Leggo in rapidità: analisi dei ricordi.

Senza neanche aprire la tenda, domando di getto: «Cos'hai ricordato?» ma subito me ne pento.

«Ti piacerebbe saperlo, eh, Crescente? Se mi liberi te lo dico.»

«Da dove provieni?» domando formale.

La sua voce dietro la tenda arriva sprezzante: «Da dove vuoi che provenga? Vengo dal posto in cui voi Crescenti ci sequestrate.»

Un Reminiscente!

«Ci stai pensando troppo, dottoressa» dice lui oltre la tenda, con la voce che adesso sembra seccata. «Vuoi aiutarmi o no? Tra poco verranno a vivisezionarmi.»

Alzo gli occhi al cielo. Presuntuoso e spocchioso come tutti gli abitanti di Vadis.

«Noi non vivisezioniamo gli esseri umani» replico piccata.

Se faccio evadere l'esperimento di oggi commetto la seconda violazione del codice della giornata, ma la parte di me che ultimamente non controllo vorrebbe aiutarlo.

«Sei ancora lì?» chiama di nuovo, «Ascolta, fammi uscire di qui e ti racconto cosa ho ricordato, lo giuro. Liberami» ripete.

Potrei accertarmi delle sue condizioni. In fondo che differenza potrebbe fare un'insubordinazione in più? Spero solo di non trovarlo ferito o sanguinante, sarebbe difficile da dimenticare. Agguanto l'estremità della tenda e poi prendo un respiro profondo. Strizzo gli occhi e l'apro con un gesto fulmineo.

«Ma che cos'hai in faccia?» mi domanda.

«Cosa?» D'istinto faccio un passo indietro e porto le mani al viso temendo di aver perso la maschera, ma sento che è ancora al suo posto e deglutisco lo spavento. «Cos'ho?» domando nel fiato.

«Perché sei bardata in quel modo? Non sono mica contagioso» dice stizzito.

Tiro il fiato in un respiro di sollievo a occhi chiusi, per un momento ho temuto che mi avesse vista, e pur di essere liberato avrebbe potuto usare la mia anomalia per ricattarmi...

«Sei diventata muta?» ammonisce nervoso.

Sobbalzo.

Oriento verso di lui uno sguardo agguerrito intenzionata a rispondere a tono, ma la visione del suo corpo fa morire in gola la mia voce. In questo laboratorio asettico e freddo mi rendo conto di avere davanti uno zampillo di bellezza. Il suo corpo seminudo è sdraiato a pancia in su e sfiorato dal lembo di un lenzuolo, osservo i muscoli tesi delle sue gambe e la cesellatura spietata della linea addominale. Non avrà più di vent'anni. Nessuna ferita. Ma non è la sua bellezza a scuotermi i nervi...

«Io ti conosco? Dove ti ho già visto?» chiedo accigliata.

... la verità è che per qualche strano gioco della sorte, questo ragazzo mi è famigliare.

Sorride senza replicare.

A un tratto, la campanella che annuncia l'adunata spacca il silenzio e si mette a cantilenare facendomi sussultare.

«Devo andare» dico spaventata.

«Non lasciarmi qui, Crescente, ti prego, slegami!»

Stanno arrivando. Mi muovo scoordinata voltandomi in ogni direzione e colpisco col fianco un carrello di alambicchi facendoli tintinnare tutti insieme. Non ho tempo per slegarlo, devo sparire prima che qualcuno mi riconosca e mi costringa a togliere la maschera. E mentre un sottile senso di colpa m'invade, lo sguardo cade di nuovo su quel corpo statuario, e solo per un attimo mi rendo conto che non è legato.

Non ho tempo per indagare, rischio di essere trovata. «Mi dispiace, scusami, non posso.»

Spalanco la porta del laboratorio e corro via come un fulmine.

«Aspetta, Selina, torna qui!» urla dalla sala.

Un momento, rifletto nella corsa verso le porte antipanico, mi ha chiamata per nome?

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro