R - La teoria delle finestre rotte
Pubblicato il 24/02/2024
VII
Che succede se rompi una finestra? Che succede se mandi in frantumi un'anima, una coscienza?
La teoria delle finestre rotte dice che se un teppista spacca una finestra in un quartiere, questo può indurre i residenti a legittimare l'atto vandalico e a seguirne l'esempio; potrebbe fare la stessa fine un idrante o un cassonetto. Nel tempo, i reati potrebbero diventare più gravi. Più violenti: furti, stupri, omicidi, andando avanti in un escalation di degrado e distruzione.
Leonard era il teppista ed era anche la finestra. La sua mente era andata in frantumi, lui l'aveva distrutta con le sue stesse mani. Arthur era l'emulatore. Entrambi autoalimentavano la loro violenza in un crescendo di aggressioni fisiche e verbali.
Margaret spalancò la bocca e bisbigliò a sè stessa « Cosa cazzo è successo? », poi ripetè con più enfasi, « Cosa stracazzo è successo?! », e calciò via un paralume colpito di testa - o forse da un pugno.
« Una rissa tra fratelli. Uno dei due ha importunato Renesmee e l'altro si è infuriato. » sospirò Nahuel desolato della scarsa efficacia dei suoi metodi pacificatori.
Era successo tutto troppo in fretta, una manciata di minuti o poco più. Avevano iniziato a darsele di santa ragione dalla cima delle scale fino al salotto, per poi gettarsi di peso sulla veranda e proseguire la lotta all'esterno, in un ring di neve e pioggia.
Il piano in vetro temperato del tavolino era andato distrutto, così come le porcellane da tè e la vetrina con le armi. Il divano era stato rovesciato e l'imbottitura svolazzava ancora sopra le nostre teste, disegnando caotiche nuvole di piume.
« Adesso ci tocca fermarli. Uno dei due potrebbe farsi male. » disse chinandosi su un pezzo di vetro sporco di sangue.
Uno dei due. Leonard mi ha morso.
Mi sfiorai il collo, tastando i puntini lasciati dai suoi denti. Intinsi le punte delle dita nel mio stesso sangue e ripetei il gesto ancora incredula. La mia pelle era soffice e calda, le mie dita erano gelide. Il sangue scivolava obbediente seguendo un percorso naturale: da dietro l'orecchio si portava in avanti e in basso, curvando verso l'insicura giugulare e poi dritta sul dolcevita avorio.
Il mio respiro si fece lento e rumoroso. Distinguevo l'aria che entrava nelle narici da quella che ne usciva. Ed era vorticosa, roboante. Rimbombava dalla gola alla gabbia toracica in modo disorganizzato e infrequente. Quando vidi i miei polpastrelli rossicci, la mie dita zigzagarono senza meta nel mio campo visivo.
Ne voglio un altro. Voglio mordere ed essere morsa.
« Dovremmo dividerci. Due di noi li trattengono singolarmente mentre uno fa da mediatore. »
« Dividerci?! Io li ammazzo. È il mio compleanno e loro... »
Mi si offuscò la vista. La terra sotto ai piedi scomparve. Non percepivo le scarpe, le mani o il corpo. Sentivo lo sciabordio del sangue contro le pareti di vene e arterie, la velocità con cui scorreva e il calore che emanava. Avvertivo anche i più piccoli capillari, aprirsi e chiudersi al flusso sanguigno.
Il calpestio di qualcosa che si spezzava mi arrestò dal portarmi le dita alla bocca e assaggiarmi per l'ennesima volta.
Sebastian mi mise una mano sulla spalla, lanciò un'occhiata veloce a Margaret e a Nahuel e poi si soffermò su di me. Ogni fibra muscolare era contratta, ogni tendine e legamento era teso e pronto a generare forza e movimento. Il mio cuore correva all'impazzata e le mie mani, i miei piedi non vedevano l'ora di scattare, agire...
« Chi dei due? » mi chiese.
« Ha importanza? È solo sangue. » risposi freddamente. Tutto attorno Sebastian era stinto, la tappezzeria ocra era opaca e il soffitto annebbiato.
« Oddio, Renesmee, stai bene? Tu sanguini. » mi domandò Margaret, spostandomi un ciuffo di capelli mise in mostra la mia ferita. La allontanai bruscamente. Dall'esterno arrivava un cupo brusio. Isolai il fruscio dei rami dal vento e mi sintonizzai su un suono.
Tic tac.
Chi dei due. Che differenza fa?
Tic tac tic.
Il pezzo di vetro tra le mani di Nahuel rifletteva le lampadine bianche del soffitto, adese a dodici bracci di cristallo che ondeggiavano tratteggiando una mappa attorno al vetro e alle piume sul pavimento.
« Renesmee? »
La sospensione era impreziosita da catenelle pendenti a forma di goccia. Dodici lacrime trasparenti erano imbrattate di schizzi rossi. Le lacrime si spezzarono sulle doghe del parquet, schiantandosi sulle impronte lasciate dagli scarponi di Arthur.
« Hanno lo stesso sangue. » rubai una scheggia di vetro insanguinata e fiutai la scia di Lev.
« È la tua sete a parlare. » decretò Sebastian provando ad avvicinarsi ma lo schivai.
L'umidità del veleno arrochì la mia voce, « Sono gemelli. » e, sotto shock, risi della mia stessa frase.
« Vattene. Non obbligarmi ad agire. » e con tono intimidatorio mi minacciò.
« Leonard ha decifrato il tuo testamento. È colpa tua se pensa ancora alla morte. Se pensa di non essere abbastanza. Se pensa che la soluzione migliore sia dormire per sempre. » sputai fuori la verità e Sebastian si pietrificò; ne approfittai, lo spinsi via e iniziai l'inseguimento verso i gemelli. Non fui la sola, Sebastian fece lo stesso.
Durante la corsa il vento freddo mi squarciava il viso. I fiocchi di neve erano stati soffiati via da una brezza che andava da est verso ovest. L'odore di Lev era inesistente, ma il suo tragitto era stato descritto dalle chiazze di sangue sulla neve e dalle orme dei suoi piedi nudi.
Non urlai a squarciagola il suo nome. Sapevo che sarei stata rintracciata di lì a poco. Mi arrampicai su un acero, staccai una stalattite di ghiaccio e tamponai il morso ustionandomi il collo. Se avessi continuato a sanguinare sarei stata rallentata.
Per occultare il rumore dei miei passi, saltai di ramo in ramo ogni volta che la corrente batteva contro le fronde degli alberi, finché non li sentii.
« Sono stanco di te, di noi. »
« Stanco? Io sono stanco di te! Non fai altro che distruggere. »
Mi trattenni dal battere i denti per il freddo, mi strinsi le spalle e continuai a farmi condurre dalle loro voci.
« Ti ho dato la mia vita. Tu non mi hai dato niente. Sebastian lo ha deciso quando siamo nati. A te, l'orso, avrebbe dato il meglio. A me, il leone, il peggio. Ti ha regalato la libertà e a me una gabbia per farmi vivere recluso... »
Mi appostai sul fusto dritto di un pino, raccolsi i capelli e mi tappai la bocca e il naso per celare la mia scia. Dalla chioma a punta e appiattita, scorsi i due fratelli intenti a strattonare ognuno la maglia dell'altro.
Leonard inspirava profondamente, allargando le narici a dismisura. Distese le braccia e piegò le ginocchia, posando le mani su di esse.
« È questo il motivo della tua pazzia? E cosa dovrei dire io? Papà ti ha sempre creduto migliore di me. Ti ha dato un'importanza e un ruolo che mi è stato negato. »
Arthur era in piedi e lo guardava dall'alto verso il basso camminando attorno al suo perimetro.
« Ho perso l'infanzia di Margaret... a causa tua, ho speso più tempo distante da casa e lontano da mia madre, da mia moglie... »
« Non incolparmi dei tuoi errori. Ti ho consolato quando il tuo matrimonio è andato in rovina. Abbiamo seppellito il tuo dolore insieme. » concluse bloccandosi di scatto, si voltò attorno e bisbigliò, « Non te ne ho più fatto parola... sono stato discreto. Margaret non ne è a conoscenza. »
« Stronzate! Tu hai gioito. Tu non vedevi l'ora di fare il buon samaritano, di prendere Margaret e di fingerti un buon padre. » e Leonard sputò per terra, macchiando di nero il terreno.
« Io ero l'unico... l'unico a volersene fare carico. Aveva tre mesi quando mama è scomparsa. Sebastian era avvilito e viveva del suo orgoglio, credeva di poterla trovare... tu invece... tu non hai battuto ciglio. Tu eri invidioso della nascita di Margaret. Lei era sopravvissuta e lui no. »
« Smettila! Non provare a dire il suo nome. Non dire il suo nome... » e Lev si trattenne la testa con le mani come se stesse per esplodere.
« Sebastian ha ottenuto tutto ciò che hai sempre desiderato. Una famiglia numerosa e una moglie devota... e hai covato rancore per anni. Anni! E continui ancora a pretendere che ti sia dovuto qualcosa. Che ti sia dovuta riconoscenza per la tua brama smodata, per la tua rabbia ingiustificata. »
« Se avessi dato retta a papà sarebbe cresciuta come te. Un meschino cristiano represso affidato a tre serve decrepite. »
« Sono le mie tre madri! E tu... tu non sai niente di loro... i tuoi pensieri, i tuoi gesti, le tue parole sono immonde in confronto. »
« So che le hai offese tanto da non volerti il giorno di Natale. »
Ai miei occhi, Arthur assunse le sembianze di un orso; ne aveva tutte le caratteristiche: era schivo e diffidente, non era mai aggressivo e attaccava ogni volta che si sentiva impaurito o minacciato.
In natura, l'istinto di combattimento si manifesta in individui di specie diverse come istinto predatorio o come meccanismo di difesa. Nè l'una né l'altra furono le ragioni che spinsero il leone ad entrare nel territorio dell'orso - o l'orso a reagire.
Leonard scalciò, calpestò la neve imprimendo zampate sul terreno, fece leva sui talloni e si lanciò sul torace di Arthur. L'altro sfuggì dalla presa e lo scaraventò al suolo, schiacciandogli il petto con la suola della scarpa. Leonard era disteso sulla neve e osservava il suo avversario sottosopra.
Visto in qualsiasi modo, qualsiasi inclinazione avessi potuto utilizzare Arthur era compassionevole e sensibile, anche in quel momento cercò di far ragionare Leonard, « Ricomponiti. Fallo per Maggie. ».
Gli diede un'altra possibilità, « Alzati. », ma lui la respinse, afferrandolo per la caviglia e scaraventandolo via. Si tolse la benda e fissò uno ad uno gli alberi che lo circondavano, facendo sì che le fronde si inchinassero al cospetto del predatore più potente del mondo, il leone. Come raggi di sole, allo stesso modo, quelle querce si disposero parallelamente attorno a lui, componendo una sorta di criniera.
« Che stai facendo?! » chiese, schivando un albero dritto verso la sua direzione.
I tronchi si schiantarono al suolo, facendo rumore, e Leonard ruggì come se stesse marcando il suo territorio. A quel punto, Arthur affilò gli artigli, lo puntò e si scagliò contro il suo volto, tentò di rimettergli la benda sull'occhio per poter interrompere il suo ruggito ma si svincolò agilmente.
Leonard lo colpì alle spalle e iniziò a strangolarlo con entrambe le mani, posizionandole una sopra l'altra. Protese il collo in avanti e spalancò le fauci, mostrandogli come avrebbe potuto azzannarlo - se solo avesse voluto.
Saltai giù, « Lev, ti prego. Fermati. », lo esortai.
Tuonò mentre Arthur cercava di sganciarsi, « Ti avevo detto di andar via. Ma le volpi si nascondono... ti ho detto cosa avrei fatto. »
Avanzai decisa verso di lui.
« Sei sotto l'effetto di... »
« So quello che sto facendo! Sto uccidendo l'orso. »
« Stai strangolando Arthur. » affermai, avventandomi sulle sue mani. Il collo di Arthur si stava spaccando in tante piccole crepe, come quello dei vampiri in punto di morte.
« Ehi, guardami. »
Si voltò, « Non posso! Non posso... non ho la benda. », e strizzò istintivamente gli occhi. Incastrai le dita tra le mani di Leonard. Bastò poco, mentii « Mi fai male. » e confuso aprì gli occhi, barcollando indietro e liberando inconsciamente Arthur.
« Ma che fai, sei pazzo?! » urlò Arthur massaggiandosi.
« Non posso togliere la benda. Dove sono i miei occhiali? Li ho persi. » si lamentò con affanno e rivolse lo sguardo ai suoi piedi. Gli presi il volto tra le mani, gli baciai la fronte.
« È stato tuo padre a fargli questo. » ribadii sicura di me, sicura che la reazione spropositata di Leonard derivasse dal testamento di Sebastian.
« Te lo ha detto lui? Sei una stupida a credergli! » sbraitò Arthur stirandosi, « È un bugiardo. Niente di ciò che dice è vero. »
Leonard se ne stava seduto, con il mento sulle ginocchia e i suoi occhi vagavano dalla neve ai rami e poi su fino al cielo. Il suo fiato soffiava in una nuvola grigia diretta verso il calare del sole. « ... allora, cosa c'è di vero? Neanch'io sono vero. »
« La tua reazione è stata immotivata. » mi azzardai e incalzai duramente, « Tu sei consapevole di quello che sta accadendo. Lui non lo è, non del tutto. »
« Quel coglione del cazzo mi ha insultato. » replicò Arthur.
« È stato voluto. Leonard ha trovato in te un diversivo perfetto. Io ero la vittima e tu il carnefice, ma doveva provocarti per farti arrabbiare. Lo stesso ha fatto con me. Doveva persuadermi prima di mordermi. »
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