R - Dieci
16/04/2024
XVI
Dieci cose che ho scoperto durante il mio soggiorno a Leechtown:
Uno. Si può dormire e morire in un intervallo di tempo regolare. Vedi Leonard che incontra la morte ogni tre ore, ovvero otto volte al giorno. Per un totale di cinquantasei volte in una settimana di soggiorno a Leechtown.
Due. Leonard ha la stessa disciplina delle suore, ma le sue movenze corrispondono alla lettera a quelle di Maddalena. Somiglia fisicamente alla sua madre biologica ma ha gli stessi comportamenti della sua madre adottiva: italiana, severa e con un attenzione maniacale per le parole di cui fa uso.
Tre. I cuccioli "grandi" sono più furbi di quanto pensassi. Credevo che Mei e Yuma fossero lo stesso tipo di adolescenti ribelli, ma il ragazzo aveva un ruolo cruciale all'interno del convento ed era, per forza di cose, il quarto in carica dopo le suore. Yuma è nato a Okinawa, nell'« isola degli immortali », dove ha vissuto con sua nonna mortale per i primi tre anni di vita. Ha occhi e orecchie ovunque ed è sempre al corrente di tutti i movimenti da e per il convento. A renderlo unico è il suo talento, il mimetismo. È una cimice perfetta, può spiare ma non essere spiato confondendosi sia con l'ambiente circostante che con altri organismi, animali, mezzosangue o vampiri. La sua capacità di camuffarsi è visiva e uditiva ma non olfattiva - il suo odore resta rintracciabile. Questo spiega perché le suore tengano in grande considerazione la sua opinione. A chi non farebbe comodo un camaleonte come informatore?
Quattro. Ci sono dei mutaforma anche qui. E i lupi si distinguono in base alla pelle. Jake è pelle di Fuoco per il colore rosso del manto - e probabilmente - anche per la sua temperatura corporea. Prima di tornare a casa, dovrò fare una visita alla mia amica Anib per saperne di più.
Cinque. Ricostruzione temporale della notte di Leonard al Bloody Mary? Zero. Nisba, nada. So che Leonard è entrato sobrio con le sue gambe in quel locale e ne è uscito totalmente strafatto e violento, tanto da distruggere le scorte di cibo dei cuccioli e importunare le suore. Non conosco ancora il motivo del gesto, ma so che è stata Gènevieve a riportarlo al convento, l'attuale moglie di Franklin - titolare del BM - ed ex moglie di Leonard. A volte Franklin e Gènevieve lasciano il figlio Louis al convento. Quest'informazione mi è costata molto cara. Vedi: garantire a Mei una copertura per frequentare in segreto Xavier, il suo umano.
Sei. Maddalena amava il silenzio. Viveva di silenzi. Dopo aver parlato con gli Inuit, aveva deciso di smettere di parlare. Trascorreva le sue giornate pregando oppure prendendosi cura dei pulcini, che non sapevano ancora parlare, o di Leonard che con il coma aveva perso la parola. Se le altre suore la incontravano per i corridoi le facevano un cenno o un gesto, parlando in una lingua ancora più striminzita di quella dei segni. Ognuna delle suore pratica un voto specifico oltre i voti pubblici, Maddalena il voto del silenzio, Carmelita quello della meditazione e Mary Jane dell'obbedienza. Costo della soffiata? Un pacco di sigarette per Yuma, trafugate dalla casa del custode.
Sette. Avevo ottenuto il benestare di Yuma per occuparmi dei cuccioli, a patto che lo prendessi come mio allievo. Non fu un problema, era davvero molto portato per la biologia e la chimica ed era anche di ottima compagnia per una come me: tenevamo entrambi fuori le faccende personali e ci concentravamo solo sullo studio di umani e mezzosangue. Fino a qualche tempo fa, non mi sarei mai immaginata di poter essere d'esempio per qualcuno. Ero diventata per Yuma, quello che mio nonno era stato per me, una guida e un miraggio.
Otto. Occuparsi dei cuccioli è estenuante! Trovano sempre un modo per cacciarsi nei guai... o per cacciarmi nei guai...
« Abbey sputalo! » le aprii la bocca ed estrassi una manciata di bacche di vischio bianco incastrate tra i denti da latte. La salvai da un possibile avvelenamento e dalle successive allucinazioni e convulsioni che ne sarebbero derivate. Mise il broncio, calciò la neve e si rannicchiò in un angolino ficcando dei ramoscelli su una grande palla di neve in un tentativo un po' creativo di dare vita a un pupazzo di neve.
« Quanto ci mette Mei? » mi domandò Inay tirandomi la manica del cappotto. Guardai l'orologio e mi resi conto che erano passate due ore e mezza. Due ore e mezza in cui avevo lasciato la casa del custode nelle mani di Mei e Xavier. Alle suore avevo detto una balla colossale, che avrei fatto una pseudo-lezione di botanica all'aperto sfruttando il bel tempo. A Yuma avevo detto che avrei portato Mei con me per farla sfogare un po'.
In due ore e mezza si sarà sfogata di sicuro in un altro modo... merda!
Era l'ora di pranzo, le 13:00. L'orario esatto in cui sarei dovuta tornare al refettorio per far pranzare le bambine.
« Ho anche dimenticato l'ora dell'ordine! » sbuffai e provai a pensare a una buona scusa per occultare il mio ritardo e quello di Mei.
« Ho sete. » brontolò Abbey scuotendo i due pompon rosa del suo berretto.
« Torniamo a casa. Mei tornerà più tardi. »
« Perché Mei torna più tardi? Dobbiamo tornare tutti insieme. » replicò Inay corrucciata.
Perché si sta sfogando con un umano o lo sta dissanguando. Di sicuro, le piaceranno entrambe le alternative.
« Mei sta controllando le trappole attorno al perimetro. »
All'improvviso, mi guardai attorno e poof! Abbey era sparita dalla mia vista.
« Dov'è andata? » domandai a Inay che fece spallucce.
Merda. Questa non ci voleva. Ho perso Abbey.
Caricai Inay sulla schiena e lei si aggrappò come un granchio al mio collo. Setacciai da cima a fondo la foresta di alberi-trappola finché non fiutai Abbey. Non si trovava molto lontano. Era sulla cima di un albero, vicino alla statale e braccava un auto nera in lontananza.
« Abbey, scendi! » urlai a squarciagola alla bambina che era completamente ipnotizzata dall'auto.
« Lo aveva detto che aveva sete. » mi suggerì Inay a un orecchio.
Abbey si sporse da un ramo, facendo penzolare le scarpette colorate e balzò su un altro albero. Prese a inseguire l'auto e così mi misi a rincorrerla con Inay che mi segnalava ogni cambio di direzione.
L'inseguimento ebbe fine a una trentina di metri dal piazzale della casa del custode. Arthur scese dall'auto e in quel preciso momento Abbey piombò sul borsone nero che stava trascinando fuori. Arthur restò fermo per una manciata di secondi, dopodiché alzò il borsone compresa Abbey che lo teneva con forza a sè. Il contenuto del borsone cadde sulla neve. Sacche di sangue e fiori secchi, petali scoloriti e qualche ramoscello di gelsomino.
« Abbey, non farlo mai più. » la rimproverai prendendola in braccio.
Arthur aveva un aspetto cadaverico, la sua pelle tendeva al grigio e un raggio di luce fioca puntò dritto sul suo viso, facendo luccicare la mandibola larga e squadrata. Aveva gli occhi rossi, di un rosso così intenso e sanguigno che Abbey si nascose il viso sulla mia spalla terrorizzata.
Arthur indicò la casa del custode e ordinò freddamente, « Falli uscire. Non è una casa d'incontri. » e si sedette sulla neve stringendo il borsone tra le mani, attendendo silenziosamente la fuga dei due innamorati.
« Mi dispiace... non sapevo come aiutarli e... » provai ad avvicinarmi e lui si scansò, « Mi fai schifo. »
« Arthur... ti prego... » borbottai e lui strabuzzò gli occhi ancora più irritato.
Merda. Ho detto il suo nome davanti ai cuccioli.
« Tu sei uno sciacallo. » e rise nervosamente, « Hai preso il suo sangue, la sua casa e adesso? Gli hai già svuotato il conto corrente o aspetti che tiri le cuoia per dissanguarlo del tutto? » e sputò per terra.
« Lasciami spiegare. » tossii e istintivamente chiusi gli occhi temendo di fargli male.
« Non c'è niente da spiegare. » disse lapidario. « Sono l'unico. L'unico che ha passato del tempo con lui mentre era in quello stato. » sibilò furioso, « Sei stata al convento. Sei stata accolta dalle suore, hai dormito lì... hai mangiato lì... ma non sei stata in grado di stargli accanto. »
« Ci ho provato. Ma c'è qualcosa che mi disgusta... io... credo che... »
Nove. Continuo a fare del male a Lev anche da morto. Ogni tre ore, Leonard muore da solo. Al suo fianco c'è Maddalena a vegliare su di lui e negli ultimi giorni Arthur. Ma c'è qualcosa che mi tiene lontano da Leonard, qualcosa che me lo rende repellente da quando ha avuto luogo la lite con Arthur. È una reazione istintiva, inspiegabile, che si presenta ogni giorno alla stessa ora. A mezzogiorno smetto di essere attratta da Leonard. Nelle ore precedenti il mio desiderio decresce, fino a essere nullo a quell'ora e nelle ore successive cresce finché la volontà di volerlo non si fa più viva di notte. E il suo odore mi manca come l'aria e lo cerco qui, nel posto che più sa di lui. Nel posto che è lui: la casa del custode.
« Vengo qui ogni sera. », mi tolsi il cappotto e Arthur prestò attenzione per qualche istante al mio maglione - era di Lev - e dopo essersene accorto chiuse ancora gli occhi, come se le sue palpebre fossero pesanti per il sonno.
Di notte andavo nella casa del custode a sedarmi con le bottiglie della cantina di Leonard per prendere sonno. Mi addormentavo sul materasso su cui avevamo deposto le armi dopo la nostra guerra. Indossavo i suoi maglioni extralarge, annaspavo nel suo odore e ascoltavo i suoi LP vintage. A volte leggevo qualche libro in inglese. Quando non avevo sonno, sbirciavo dentro le pagine dei volumi in lingua straniera per raccogliere i biglietti dei mezzi di trasporto che aveva utilizzato nei suoi viaggi. Li disponevo su un mappamondo di tela e in base al tragitto contavo quanti chilometri avesse percorso. Calcolavo quanti chilometri un uomo poteva percorrere lontano da casa senza provare nostalgia. Prendevo sonno immaginandomi il suo tragitto dal Canada alle Figi, dalla Giamaica alla Lituania o dalla Mongolia al Sudafrica.
Presi fiato e mi feci coraggio ammettendo: « Ho bisogno di Lev. Ma non riesco a guardarlo in quello stato. Non riesco ad avvicinarmi a lui come vorrei. »
« La tua sete mi disgusta. » tagliò di netto il discorso. Battè tre colpi alla porta e, quando Mei e Xavier tardarono a uscire, Arthur ringhiò qualcosa facendoli sgattaiolare fuori come topi di fogna.
« Il testamento di tuo padre mi disgusta! » esclamai afferrandolo per il cappotto, « È disgustoso come tuo padre parla di Leonard, le responsabilità che gli ha dato e l'incarico che gli ha affidato. Non l'ha chiesto lui di essere un Cacciatore. » e mi affannai a ritrovare la calma.
Sgranò gli occhi confuso. « Quale testamento? »
Dieci. Non c'è famiglia senza segreti. Mia madre ha tenuto nascosta la natura di mio padre per qualche anno a nonno Charlie e, ancora oggi, continua a mantenere il segreto a nonna Renèe. Sono proprio le bugie sulla sua immortalità ciò che la legano a Renèe, all'Arizona e alla sua vecchia vita da umana.
I segreti del mio clan possono sembrare più benevoli e meno ignobili rispetto a quelli del clan Winslear, ma in realtà sono come quelli di tutti gli immortali, hanno lo scopo di proteggere i propri cari. Ed è esattamente questo il punto debole di ogni creatura immortale. Jake mi ha tenuto all'oscuro di Leah, ma lo ha fatto per qualcosa di buono, per il "nostro imprinting". Per amore, mio padre ha tentato invano di tenere mia madre alla larga dai vampiri. E così via, in un circolo vizioso di segreti, bugie e relazioni.
I segreti della famiglia Winslear sono il collante delle loro relazioni. Non c'è Sebastian, non c'è padre senza testamento. Non c'è Leonard senza protettorato o discrasia. Non c'è Arthur senza la tenerezza verso Nahuel e non c'è Margaret senza i suoi ritratti osé.
« La mappa di francobolli riconduce a un testamento. Ci sono dodici lettere. Ho letto le prime undici, Leonard ha dato di matto leggendo l'ultima. »
Anche la mia relazione con Lev era nata dalle bugie. Mentirmi sul protettorato e sulla discrasia era ciò che avevo fatto anch'io con la mia sete. Avevo appena imparato che ero proprio come i miei genitori. Ho mentito a Lev per proteggerlo da me, ma quando voglio so dire anch'io la verità.
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