R - Bloody Mary
16/04/2024
XVIII
« Ehi! Lascialo stare! » urlai, mentre Arthur si faceva prendere a cazzotti da due vampiri. I due si fermarono, mi fissarono e l'uno ordinò all'altro « Prendila. »
Era un neonato. Era svelto e con un balzo mi saltò addosso. Ricordo soltanto di non essermi messa in guardia o al riparo, lo fulminai con lo sguardo e lui si fermò di colpo. Non capii immediatamente cosa stesse accadendo o cosa stessi facendo. A posteriori, mi resi conto che mi stavo difendendo. Inconsciamente avevo fatto uso della telecinesi.
Fu istintivo ciò che avvenne dopo, quando lo scagnozzo disse « Kade, che fai lì impalato? » anche lui si trovò paralizzato e Arthur ne approfittò per atterrarlo con un colpo agli occhi. Fu così che ottenni il mio pass per il carico merci. I due cantarono come uccellini, o almeno Kade lo fece non appena cadde riverso a terra quando mi concentrai sul suo collo.
Kade era il magazziniere, l'altro, Declan era un semplice tuttofare. Il loro compito, quel venerdì sera, era effettuare le operazioni di carico e scarico merci. La prima cosa che mi venne in mente alle loro parole fu sangue. Ipotizzai che consegnassero sacche di sangue all'interno del locale, che ci fosse una specie di contrabbando di sangue o di droga. E invece no, non solo mi sbagliavo ma non avevo capito niente dei vampiri e della loro eternità fino a quando non mi ero imbattuta in Leonard.
« Te l'ho detto. I Walker vi hanno bandito. Gènevieve non accetta più nessun tipo di orologi. »
Il Bloody Mary era un locale a due piani. Il primo, pieno zeppo di umani, un locale squallido dove gli ubriaconi restano fino a mattino inoltrato a leccare la schiuma della birra rimasta sul fondo. Lo scantinato era un esclusivo night-club per vampiri, riservato ai soli membri. I soci potevano entrare su "fiducia" di Mrs. e Mr. Walker. L'ingresso principale per i vampiri era il BM umano, dove i barman verificavano, previa comunicazione telefonica, che il futuro cliente fosse ben accetto ai due coniugi. Gènevieve e Franklin richiedevano per ogni avventore una sorta di raccomandazione, il nome di un socio - o il proprio se questo era di spicco - e un oggetto della loro vita mortale. Il lasciapassare di Leonard - il suo nome da leone e il suo orologio - era diventato sinonimo di guai.
« Non mi interessa! » sbottai e creai una piccola crepa sul muro dietro al berretto rosso di Declan, « Deve esserci un modo per far uscire quei topi dalle fogne. »
« Abbiamo un'ora e mezza per consegnare e preparare la merce per la settimana. E Gènevieve ci fa il culo se non rispettiamo gli standard di qualità. » disse seccatamente.
« Il sangue può aspettare. » risposi ingenuamente e quei due si guardarono e fecero un mezzo sorriso.
« Noi non consegnamo sangue. Noi consegnamo ciò che serve a vendere il sangue. »
Li seguimmo verso il camion, Arthur li spintonava e io li tenevo d'occhio. Quando aprirono il portellone posteriore, dalla sponda scesero sette ragazze umane, una per ogni giorno della settimana. Le ragazze sarebbero state assunte di lì a poco come shot girls. Avevano tutte un'età compresa tra i 19 e i 29 anni, una scia naturalmente appetitosa ed erano tutte a loro modo attraenti. Il loro fascino non era stereotipato o volgare. Tutt'altro, non c'erano ritocchi nei loro visi, le labbra non erano rifatte ma morbide e compatte, gli zigomi poco definiti ma naturalmente pronunciati. Allo stesso modo, non c'erano scollature abbondanti, abiti succinti o movenze sconce. Erano donne comuni, pescate da ogni regione del Canada per accendere la sete di vampiri secolari e annoiati.
« L'unico modo è diventare merce. » disse Declan appianando con un colpo un'ammaccatura vicino ai fanali ingialliti, « Il tuo odore... » si sfregò il berretto di lana sulle narici, « Il tuo odore potrebbe farci guadagnare più del previsto. »
« Lo faccio. » e mi avvicinai per stringere la mano a Declan, ma Arthur mi tirò via per rimproverarmi.
« Sei fuori di testa? Non sappiamo neanche se i Walker sono lì dentro. »
« Non importa. Sono sicura che Leonard ha lasciato qualcosa lì quella sera. E se trovassi le lettere, Arthur? » e proseguii con la mia risolutezza « Anche tu potresti leggere quello che ha fatto impazzire Leonard. »
Arthur si accarezzò la guancia e rimuginò a fondo: « Sarai da sola in un covo di vampiri. Non ci sarà nessuno lì a proteggerti. »
« Me la cavo da sola. » insistetti, seguendo con lo sguardo Declan e Kade condurre le ragazze verso una porta sul retro.
« Potremmo restare qui fuori appostati. Prima o poi quei due dovranno uscire di lì. » propose.
« Quante volte sei stato qui in questi giorni, Arthur? » e non rispose, « Ce la faccio. »
« E se Leonard si sveglia? » domandò a bruciapelo.
E se Leonard muore? Le cose vanno sempre male per me, Arthur. Le persone che mi stanno intorno mi fanno del male o io ne faccio a loro. Adesso posso fare del bene... e se... se Lev si sveglia...
« Digli che l'America ha incontrato la Francia. » mi tolsi il cappotto, mi strofinai i capelli per spargere il mio odore. E pensai che finalmente l'odore di mia madre sarebbe servito a qualcosa.
Salutai Arthur. Lui mi assicurò che avrebbe trascorso anche tutta la notte fuori, se fosse stato necessario. E io mi assicurai che non si accorgesse del fatto che a me, quell'essere preda per una notte, mi elettrizzava.
« Sono pronta. » dissi a Declan. Lui diede quattro colpi in quattro punti diversi della porta, gracchiò « Pablum! » e mi infilai con le ragazze dentro.
Declan era l'apri-fila, Kade il chiudi-fila. La prima porta a cui avevamo avuto accesso era una banale porta battente in ferro, seguita da una scalinata stretta e ripida in cemento grezzo, illuminata solo da una luce al neon. Andando sempre più giù, la puzza di radon e muffa si faceva nauseante e anestetizzava quasi l'olfatto.
La porta successiva era più o meno come la predente, si apriva sempre dall'interno verso l'esterno ed era pattugliata da un vampiro, ma era più spessa e dunque utile all'isolamento acustico e olfattivo. L'ambiente puzzava di disinfettante per purificare il naso dai funghi del precedente. Ed era molto più curato, la scaletta era in metallo ma i gradini ampi e in legno si interrompevano su un pianerottolo dove era posizionato un tavolino e sopra di esso un cartello con su scritto "Quanto vale il tuo profumo?". C'era un'umana qualche scalino più su, vedevo parte del suo tubino nero e il caschetto corvino. Teneva tra le braccia un vassoio e dava istruzioni in francese e in inglese.
« Benvenute. » disse a gran voce, « Prima del colloquio, è fondamentale capire il vostro valore affinché la retribuzione proposta sia equa. La percentuale che daremo ai trasportatori sarà considerata in base alla vostra essenza. »
« Sul tavolino trovate sette fazzoletti e sette buste, una per ognuna di voi. Passate il fazzoletto sul collo con un movimento lineare dal mento allo sterno e poi in mezzo ai seni. Infine, con due dita portatelo dietro l'orecchio, vicino al lobo. Ripiegatelo e inseritelo nella busta. » diede una dimostrazione del prelievo e l'adrenalina che mi aveva spinto a entrare, adesso mi diceva di scappare.
« Sono sette e io sono l'ottava. Che faccio? » bisbigliai a Kade. Lui mi guardò annoiato, alzò gli occhi verso l'umana e fece spallucce, « Io la mia parte l'ho fatta. », disse.
Mentre guardavo quelle donne regalare il proprio sudore e la propria scia a quella specie di cameriera, pensai che quel gesto, quell'azione l'avevo già vista. Leonard mi aveva chiesto il mio odore e se lo era tenuto per ricordarsi di me.
« Abbiamo posto per sette, non per otto. » mi disse l'umana con uno spiccato accento di Toronto. Aveva le labbra sottili e gli occhi di un'intenso blu.
« Sono una mezzosangue. » dissi, « Sono la preda più rara che il tuo capo abbia mai visto. »
La ragazza rimase sulla difensiva finché, spinta dal sangue, da quel mix di odori e dalla motivazione, le diedi un incentivo da affidare a chi doveva valutare il mio odore. Avevo solo una maglia, gli indumenti più pesanti li avevo lasciati all'esterno, e toglierla significava mettermi a nudo. Mi sfilai il reggiseno e lo lasciai sul vassoio. Declan e Kade assieme alle ragazze scesero verso la porta successiva e io rimasi con il terzo buttafuori davanti l'uscio.
« Non avevo mai visto niente del genere, bambina. » disse il vampiro con accento straniero, « I soldi non risolvono tutto. » concluse.
« Non lo faccio per quello. » incrociai le braccia al petto per coprirmi i capezzoli. Pensai di chiedergli di Leonard, se lo conosceva, se la Vigilia di Natale era stato lì... ma mi fermai. Parlare con quel vampiro significava concludere il mio viaggio. Non potevo spifferare tutto al primo che capitava, ai sottoposti di Franklin o Gènevieve. Se qualcuno di loro fosse venuto a conoscenza del mio legame con Leonard, la mia missione sarebbe fallita.
Dopo due ore si aprì uno spiraglio, il caschetto nero mi invitò a entrare. Entrai in uno studio. Dietro alla scrivania c'era lei, la sua Guerra dei Trent'anni, l'ex moglie di Leonard.
Gènevieve era bellissima nel suo tailleur nero attillato. La giacca aderiva alla perfezione alle spalle larghe, curvandosi leggermente sul seno dove si intravedeva un corsetto in pizzo con degli intricati arabeschi. Avevo imparato che Leonard aveva un prototipo di donna-vampiro ideale: avvenente, forte e arrogante - un po' come Heidi.
Nonostante il mio ingresso, Gènevieve non interruppe la sua conversazione telefonica. E mentre arricciava la cornetta tra le dita, sui suoi polsi ciondolavano voluminosi bracciali dai pendenti sbrilluccicanti. C'erano monete straniere, conchiglie e portafortuna vari che facevano di lei l'incarnazione della vanità e della lussuria. Mi indicò una poltrona davanti alla sua e la osservai per tutto il tempo.
Invidiai tutto di lei. Comandava in un francese svelto e cadenzato come quello dei madrelingua e non in québécois come gran parte dei canadesi. E poi c'era la sua pelle scura, quasi cangiante alla luce dell'abat-jour. Il viso di Gènevieve appariva mulatto, dorato quasi quanto i suoi occhi ma i tratti erano duri. Le sopracciglia folte e lunghe disegnavano un arco, enfatizzando ancora di più i grandi occhi dorati. Batteva le ciglia lunghe di tanto in tanto e non per necessità ma per civetteria.
La chioma di treccine era raccolta in uno chignon che ondeggiava ogni volta che scuoteva la testa in segno di disapprovazione. Riattaccò seccata, prese un piccolo specchio da tavolo e corresse con un rossetto vinaccia la linea armoniosa delle labbra.
« Quello è Chambray. » disse indicando i fazzoletti, « È un tessuto traspirante per evitare certi inconvenienti. », chiuse il rossetto e con una penna trascinò la spallina del reggiseno dal vassoio al lato opposto della scrivania.
« Il tuo compenso è di 1000$ netti l'ora per un turno di otto ore. » disse la ragazza dal caschetto nero sedendosi sul bordo del tavolo. Stese un contratto stropicciato davanti a me e mi diede istruzioni con voce meccanica: « Declan e Kade hanno una decima fissa sul tuo compenso più un extra a carico nostro in base al tuo valore. Il restante 80% è diviso in un una percentuale fissa ai titolari e la restante a te. La percentuale che ti spetta va da un minimo di 30 a un massimo del 45%, mance escluse. Domande? »
Negai e quando chiesi, « Dove devo firmare? », Gènevieve rise mostrando la dentatura bianca.
« Sono tre le domande che fanno tutte. Fino a dove posso spingermi, quanto posso spillargli, per quanto lo devo fare e quando avrò i miei soldi. » e appallottolò il contratto facendo canestro nel cestino. Gènevieve ordinò al caschetto di servirmi da bere e due cubetti di ghiaccio tintinnarono in un bicchiere di bourbon.
« Sai quanti... » si interruppe, cercò la parola più adatta per descrivermi difronte a quell'umana e, inventò « ... métisses ci sono in Canada? Più o meno una quindicina, di cui più della metà sono bambini. E nessuno si sognerebbe mai di giocare con il sangue. Non te lo hanno insegnato, bele amie? »
Piegai il capo. La guardai come si fissa uno stupido, le mostrai indifferenza e questo la innervosì.
« Perché lo fai? »
« Sono al verde. »
« Non lo sei. La gente disperata puzza, ha le unghie sporche e non ha questo odore. »
« Ho sentito parlare di questo posto. » aggrottò le sopracciglia, « Sono americana. Ho attraversato il confine perché mi stanno cercando. »
La mia versione faceva acqua da tutte le parti ma la incuriosì. Fece un cenno al caschetto che passò alla porta successiva.
Gènevieve chiuse gli occhi, le lunghe ciglia si stesero sulle guance e, quando li riaprì, « Sei in prova. Quattro ore e non tocchi una goccia di sangue. », il mio cuore fece un balzo di gioia.
« Di solito, voglio l'identità dei vampiri che entrano qui ma quella delle shot girls non è un'informazione di cui mi importa. È più sicuro per loro. » affermò, « È più difficile per i vampiri rintracciare un'ipotetica preda se hanno un nome falso e un mélange d'odeurs. »
« Ma tu sei per metà vampiro. Quindi, devo trattarti come tale. Ho bisogno di confermare la tua identità. Chi sei, bele amie? »
Chi sono? Sono Renesmee Carlie Cullen e mi sono infilata nella bottiglia per Lev. Spero ne valga la pena.
« Candice Girard. » una psicoterapeuta insoddisfatta della sua vita e in cerca di soldi per sfamare i suoi gatti.
« Hai qualche talento, Candice? »
« Nessuno. »
Il caschetto nero sparì dietro una porta nascosta a specchio, e io con lei.
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