L - Bugia bianca
XXII
« Devi leggerle! Non puoi fargli questo... se ci tieni... se tieni a lui come hai detto... Devi farlo. Devi farlo! »
« Non ho alcun obbligo. »
C'era un ronzio. Qualcuno disturbava il silenzioso crepitio del fuoco sul caminetto. Era tutto bianco e innevato.
« Suor Maddalena, sei stata tu a dirmi che lui ha un posto speciale nel cuore di chi incontra... e questo non è un caso... pensaci, lui ti ricorda tuo figlio... lo hai cresciuto come un figlio... »
« Il male si annida nelle menzogne. E la tua voce... ti sei macchiata di crimini orribili, Renesmee, di sangue e di lussuria... brami la sua anima, il suo sangue... Per questo, questa casa non può più darti il benvenuto. »
C'era un acero dai rami secchi, il vento lo schiaffeggiava staccando i ramoscelli più spogli e leggeri. Dalle squame della corteccia sgorgava del sangue rosso e viscido che sulla neve si tingeva di nero.
« Puoi anche cacciarmi via! Non importa! Io voglio che tu le legga... lui voleva fare giustizia. E quello che ha fatto, lo ha fatto anche per te. Perché tu... tu sei sua madre. Quando lui mi ha parlato di te e di Anjia, lo ha fatto allo stesso modo... con dolcezza. Non c'era rabbia nelle sue parole ma sofferenza per voi. Per tutte voi. »
« Fuori. Non posso permetterti di oltraggiare ulteriormente la mia fede. » bisbigliò il vento.
Il sangue cadde a gocce, danzando sui tragitti disegnati sulla crosta ruvida. A passo quieto avanzai verso l'albero. I fusti si piegarono tristemente in segno di saluto. Aprii la bocca, respirai a fatica e accarezzai l'arbusto sanguinante. Un altro respiro, informe e rumoroso uscì dal mio petto e si convertì in tempesta. Tossii gravemente.
Era come se mi avessero conficcato degli artigli in gola.
Mi guardai attorno, annaspando nel sonno. La neve c'era per davvero, il ghiaccio si era riversato sulla lastra esterna della finestra, bloccandone l'apertura. S'intravedeva parte del porticato interno nonostante le grate bombate. Sentivo dei bambini sghignazzare, le loro voci mi nauseavano. Una fitta lancinante risalì dalle profondità delle mie viscere.
Chiusi di nuovo gli occhi. Mi tirai a sedere. Credevo ancora di essere nella foresta bianca vicino all'acero insanguinato. Ma quando sentii quell'odore, fui costretto a tornare alla realtà. Margaret profumava di gelsomino ed era gelida, come la neve.
« Il boudoir delle suore. » riuscii a dire, guardando i veli blu e azzurri pendere dalle travi in legno sul soffitto.
« Leo... » sussurrò accovacciandosi su di me. La testa. C'era qualcuno che mi picchiava in testa, martellandomi le tempie, fracassandomi la fronte, la nuca...
Mi liberai vigliaccamente da quell'abbraccio facendo cadere pesantemente le spalle sulla testiera del letto.
Mi stropicciai gli occhi, coprendo prima il destro poi il sinistro. Non riuscivo a mettere a fuoco la faccia di mio padre a tre piedi da me. Sì era lui, ma la sua espressione era inesistente, una faccia sfocata come un dipinto di Margaret.
C'era anche Arthur, era sollevato. Aveva la faccia di uno che aveva ricevuto un bel regalo. Non capii nulla di quello che stava accadendo. Margaret piangeva, asciugava il moccio che le usciva dal naso con un fazzoletto sporco.
« Li ho portati. Sono quelli che hai messo l'ultima volta. » Arthur giocherellò con un paio di vecchi occhiali da vista. Le nasiere erano state cambiate, ma la montatura era stata lucidata tanto da far risaltare alcuni graffi e segni di usura. Non ricordavo quelle lenti. Sì quegli occhiali erano i miei ma la lente sinistra un tempo era nera. Quando si accorse che fissavo confuso proprio quella lente mancante, Arthur mi rassicurò « Non ne hai bisogno. »
Li infilai, tirai su la nasiera e lo vidi. Sebastian mi esaminava con circospezione. Incrociai il suo sguardo e il cuore... il cuore scoppiò... provavo odio, devastazione.
« Ricordi qualcosa? » chiese Margaret a raffica, « Hai sognato qualcosa? Come ti senti? Hai fame? Hai sete? » e la sua voce rimbombava nelle mie orecchie, accrescendo il mio disgusto.
Ricordo il Bloody Mary, le lunghe e sontuose gambe di Geneviève, le botte di Franklin, la lite con Arthur, il bacio di Renesmee, gli animali... la volpe, il leone, Borromè e la sua minuscola bara bianca. Ricordo ma non c'è un nesso logico. Era un sogno o un incubo? È importante che io ricordi?
« Cosa dovrei ricordare? » e lei mi guardò sbigottita, incrociò le braccia e balbettò piangendo: « Quello che è successo per il mio compleanno... t-tu nemmeno lo ricordi... t-tu... »
Il suo compleanno? È oggi? Ho dormito troppo?
« Auguri? » domandai e lei si alzò di scatto, cancellando tutte le mie certezze con un solo sguardo. Cercò gli occhi di mio padre, poi quelli di Arthur e quando lui scosse la testa, lei buttò fuori tutto quello che aveva dentro.
« No, no, no! Cosa credi di fare? Mi hai rovinato il compleanno. Hai sputtanato Arthur davanti a Nahuel, ti sei preso il suo coming out... »
« Ma sapete? Oggi sono di buon umore perché Leonard si è svegliato dopo dodici cazzo di giorni di coma. Mi farò una vodka e un antidepressivo. Avevo preparato il pranzo di natale, avevo preparato tutto. Avevo fatto l'albero, avevo cucinato, avevo persino preso quegli stupidi dolcetti che ti piacciono tanto ma ehi cosa te ne frega di mandare tutto a puttane? »
Mi tappai le orecchie, chiusi gli occhi e provai a sgarbugliare i nodi dei miei ricordi, a prendere per il capo la lenza e ad allentarne i nodi...
« Holy shit! Come ti è venuto in mente di dare del sodomita a tuo fratello? Non è il comportamento che dovrebbe avere un vecchio novantenne come te. Hai utilizzato quella confessione per cosa? Per prendertela con papà? Non mi lamento mai, Leo. Mai. Ma questa era la prima volta in cui papà era qui, per me. Hai rovinato tutto... tu rovini sempre tutto! »
« Basta! » la interruppe sgarbatamente Arthur. Mi strofinai la fronte, ci scavai quasi dentro alla ricerca di una qualche sorta di risposta per districare quella palla di passato e presente che ruggiva nella mia mente.
Sodomita. Era una parola che ricordavo di aver detto.
Ma quando... quando ho detto sodomita ad Arthur? E perché l'ho fatto?
« Non difenderlo! È un egoista. Anche adesso pensa solo a sè stesso. » ed era estenuata, aveva gli occhi lucidi e le sue mani tremavano tanto quanto la sua voce.
« Appena sarà in grado di parlarne lo farà. » disse pacatamente Arthur, scandendo piano le parole.
« Sì, certo. Proprio come ci ha parlato di Renesmee, no? »
Renesmee.
Sospirai.
È lei l'acero sanguinante che ho sognato... è lei la volpe che guaiva...
« Come sta? Dov'è? » pregai di sapere, con un'angoscia che non mi era mai appartenuta.
« Sta bene. » disse mio padre grattandosi il mento, « Sta riposando. Ieri l'America ha incontrato la Francia. » aggiunse Arthur accennando un mezzo sorriso, guardò fuori e l'alba si stava affacciando su di noi.
È lei l'America al sapore di cannella e sciroppo d'acero...
Sentii il sapore della bocca di Renesmee sulla mia lingua. Provai dolore, chiusi gli occhi e il tormento di averla abbandonata con il suo lupo mi liberò dalla matassa di immagini, di roveti e di suore disonorate in una vita precedente.
« Di lei ti importa? E di noi invece? Te ne fotti. Hai fatto finta di niente per tutto questo tempo, nascondendomi la verità. E lei ti ha retto il gioco. Non mi aspettavo che un durak come te me lo dicesse. Però da lei me lo aspettavo. Invece, lei è diventata una delle tue tante... troie. » mi guardò schifata.
Mi trovai in piedi. Pur di non barcollare mi tenni al paravento che si ammaccò leggermente.
« Stupida bambina viziata. Le chiederai scusa in ginocchio se serve! »
« Io viziata? Tu ti sei preso tutto ciò che era mio. Tutto ciò che mi spettava di diritto! »
« Calmatevi. » s'intromise Arthur sostenendo il mio precario equilibrio.
« Sei così egoista da togliermi tutto quel poco che avevo! » urlò sconvolta.
La mia voce era come quel sibilo di vento freddo con cui mi ero svegliato, gracchiai in un lampo: « Tu poco? Tu hai avuto tutto. Ti abbiamo dato tutto. E io egoista? Sono stato fin troppo generoso con te. Ti ho dedicato tempo e denaro. Seguo Sebastian da anni per te! E non perché mi piaccia... ho anche stretto un protettorato per te! Ingrata. Avrei dato la mia vita pur di proteggerti... prima di essere tuo fratello, ti sono stato padre. Ma tu sei così menefreghista da non preoccuparti nemmeno di chi ti sta attorno. E se voglio fare la corte a Renesmee, posso farlo senza che tu mi venga a fare una scenata o mi faccia sentire in colpa! »
Strizzai gli occhi e mi trascinai sul bordo del letto, sfinito dallo sforzo appena compiuto.
« Protettorato? Di che diavolo stai parlando? »
In quella conversazione si aggiunse Sebastian, « Leonard, le tue condizioni non ti permettono di affrontare questa conversazione in modo opportuno. »
Sputai per terra, « Sì, invece. »
« Ho firmato un'alleanza con i Cullen per te. Alice ti aveva visto morire. Ho fatto uno scambio. Dovevo proteggere Renesmee e tu dovevi essere protetta da Carlisle ed è andata così. Io volevo morire quella notte a Volterra. »
« Poi le cose sono precipitate. Niente è andato nel verso giusto. Ho bevuto il suo sangue e lei ha bevuto il mio... per questo abbiamo lo stesso odore. »
« E chi te lo ha chiesto di farlo?! Te lo abbiamo chiesto?! » gridò.
« Margaret, vieni con me. Ne parliamo in privato. » disse Sebastian provando ad accompagnarla fuori.
« E Renesmee sa di tutto questo? » quando annuii, le sue lacrime si fermarono, come se il rancore si fosse sostituito alla rabbia e singhiozzò come una bambina.
Avevo sbagliato tutto. Non era quello che dovevo dire, dovevo rimettere a posto le cose, farla smettere di piangere e... pensai a qualcosa di sensato da dire per scagionarmi.
Ma il mio inconscio non fu in grado di mentire e bisbigliai, « È solo un matrimonio bianco. » fregandomi da solo.
« Non me ne frega niente del tuo protettorato, di voi due e della vostra bugia bianca. Può dissanguarti se vuole! »
E l'odio si rivolse verso Sebastian « Tu... tu sapevi del protettorato... »
« Chi se ne frega di mamma se è morta o come è morta! Stronzi... siamo noi quattro, siamo soltanto noi quattro e voi trovate un motivo per odiarvi... per distruggervi... »
Margaret fuggì in lacrime. Sebastian si aspettava che fosse Arthur a farle da padre, a seguirla e a consolarla. Ma Arthur non si mosse e quell'ordine inesaudito spinse Sebastian ad andare via contrariato. Mi massaggiai il torace. La vecchia cicatrice bruciava anche solo a sfiorarla.
« Non ti voglio qui. » gli dissi, rivelandogli qualcosa che mi ero appena accorto di provare nei suoi confronti: un misto di invidia e ammirazione.
« Lo so. Tu non vuoi nessuno. » e mi parlò come si parla a un bambino, mi tese la mano per mettermi in piedi ma rifiutai.
« Che significa? Quello che hai detto di Renesmee... che significa? »
Rise del caos che avevo in testa e si sedette accanto a me. Mi raccontò quello che era successo come si parla a un bambino quando si devono spiegare le "cose da grandi". Incastrammo i miei ricordi ai suoi, distinsi il bad trip dalla realtà e a ogni dettaglio, a ogni crudeltà di cui mi ero sporcato, fissavo le le mani luride interessandomi a come avrei potuto ripulirle da ciò che avevo fatto. A ogni respiro si faceva strada la morsa dello strangolamento, il rumore del cappio scoccato sul collo, la stretta dal basso verso l'alto e poi il buio.
Lo ascoltai fino alla fine. Il testamento era tornato al suo legittimo proprietario ed era tornato tutto al suo posto.
« Perché lo hai fatto? Io ti ho insultato... ti ho trascinato... eri un orso e io... »
Io volevo scappare. Era questo il mio obiettivo, evadere. Andare lontano.
Ricordo tutto. Era la mia fuga dall'eternità.
« Ho fatto poco per te, Leo. Quella che non si è data pace è stata Renesmee. » continuò divertito, « Lei se n'è fregata del parere di tutti, del tuo e di quello dei suoi genitori. Anche del mio, mi ha persino mostrato il tramonto che vi ha unito. »
Tramonto.
« È stata lei a mostrarmelo. Me lo ha chiesto e io ho accettato. »
Ebbi i brividi. Mi vergognai di me stesso. Mio fratello aveva visto quello che le aveva fatto.
« Cosa? No. Cancella tutto. Cancella tutto. »
Mi dondolai in avanti e la testa divenne pesante. Chiudere gli occhi era una condanna. Il fruscio dei suoi capelli e i suoi grandi occhi tristi li rivedevo in un tragico loop. Mi girava la testa. Ero rivoltante. Anche trovarmi lì, nel boudoir delle suore lo era. Mi ero impadronito della loro camera privata, quella della vestizione. Quella in cui le suore si ricordano di essere donne.
« Ho bisogno del bagno. » dissi e mi liberai di Arthur chiudendomi dentro. Ma io conoscevo a menadito il convento, avevo vissuto così tanto tempo con le suore che sapevo come facevano a essere in ogni luogo senza essere viste.
Lasciai correre l'acqua del lavandino e quella della vasca da bagno. Ma prima di fuggire, immersi il viso nell'acqua gelida e mi battezzai, bagnandomi la fronte più volte. Provai a rimuovere l'odore di olio e incenso invano. Poi rinunciai, avrei perso quell'odore di infermità prima o poi.
Aprii l'armadietto in legno e rimossi le saponette e gli asciugamani meticolosamente. Stavo deturpando il cesso delle suore, ma lo avrei fatto con cura.
Tolsi il doppio fondo dalla parete dell'armadio - due tavole di abete che avevo intagliato con il vecchio custode di Leechtown. Le spostai e riconobbi il primo cunicolo, imboccai la strada per la mia fuga.
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