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CAPITOLO 8

Stronzo

Jennifer

Questa notte ho fatto fatica a prendere sonno, continuavo a ripensare a Matthew, e al fatto che oggi lo rivedrò.

A cercare di capire le sue prossime mosse, per non rimanerci sotto ancora una volta.

Continuavo a girarmi nel letto, con le lenzuola che si attorcigliavano tra le gambe e il cuscino all'improvviso duro e scomodo, che mi dava fastidio.

Ma la stanchezza ha avuto la meglio e sono riuscita a chiudere occhio, almeno per qualche ora.

Sono le cinque del mattino, e dopo aver passato diversi minuti a fissare il soffitto bianco, decido di alzarmi dal letto e di farmi una doccia calda, per alleviare i muscoli doloranti. Cerco di fare una buona colazione per affrontare la giornata senza svenire, perché oggi ho bisogno di ogni grammo della mia forza, sia mentale che fisica.

Sarà una giornata molto lunga.

Mentre ordino le mie ciocche ondulate, mi fermo con le mani ancora tra i capelli. Lo faccio sempre, ormai è la mia piega, ma se vedendomi pensasse che mi sono fatta bella per lui?

O se pensasse che voglio ricominciare con lui?

Scuoto la testa allontanando quei pensieri così intrusivi, voglio fargli vedere che sono cambiata, che non sono più la Jenny che amava.

Se mi ha mai amato.

Dopo l'ennesimo suo tradimento ne dubito.

Mi sei mancata.

Queste tre parole sembrano così innocenti, ma dette da lui sono letali. Non può dire una frase così importante, una persona che nemmeno è venuta a cercarmi o a chiedermi scusa, nemmeno una chiamata o una lettera per sapere come stavo.

Per mesi l'ho aspettato e cercato. Ero così stupida e innamorata che se fosse tornato, l'avrei perdonato.

Anche dopo tutte le brutte parole che mi ha detto, dopo tutto il malessere che mi ha provocato.

Ma lui non è mai tornato, e più i giorni passavano più il mio sentimento per lui cambiava, trasformandosi in rabbia e odio.

E quando ho incontrato Andrew, durante il colloquio per un nuovo responsabile della sicurezza, dopo che l'ultimo aveva fatto passare un giornalista che era riuscito a introdursi nel mio ufficio, qualcosa è scattato.

Mi ha fatta ridere per una stupida battuta che non ricordo nemmeno. Fatta ridere dopo quasi un anno, dove credevo di non esserne più capace.

E poi sono scattati gli sguardi, lo sfiorarsi e poi uno degli errori più grandi della mia vita, l'ho fatto entrare in casa mia.

Non ho ragionato sulle conseguenze, volevo solo cercare di colmare quell'assenza dolorosa nel petto, e invece ho finito per combinare un casino. E sebbene non abbiamo una relazione, lui crede di sì. È questo è un gigantesco errore.

Però in quel momento ho pensato che ero stufa di aspettare una persona che era sparita nel nulla. Stufa di credere in un amore che non esisteva più e in un uomo che era sparito lasciandomi sola a sistemare il macello che aveva combinato.

Ormai pensavo che il pensiero fosse reciproco, che entrambi non avevamo più bisogno dell'altro.

Invece no...mi sei mancata!

Gli avrei voluto dire che anche lui mi è mancato per dieci lunghi mesi, che l'ho amato, l'ho aspettato, l'ho cercato.

Che lui a cui avevo donato per la seconda volta il mio cuore, è riuscito a romperlo ancora in mille pezzi.

Soprattutto perché dopo un anno senza messaggi o chiamate, mi è arrivato il foglio di divorzio.

Lì ho capito che ho fatto bene a ricominciare, che ho fatto bene a sopprimere il ricordo della nostra storia, che ho fatto bene a voltare pagina, sebbene il senso di colpa mi opprime ogni volta che guardo Andrew.

Ma se non l'avessi fatto, sarei ancora distrutta e, senza dubbio, sarei tornata da lui alla prima occasione, riducendomi a dipendere da un'illusione, senza più né volontà né rispetto per me stessa.

Mi vesto velocemente e mentre cerco degli orecchini, il mio occhio cade sulla fede d'oro e sull'anello dal cristallo nero, appoggiati su un cuscinetto nel portagioie. Prendo la fede in mano e la osservo, sbirciando l'incisione che ho fatto fare dopo il matrimonio: Per sempre mio, Matthew.

Perché non l'ho ancora buttata?

Ancora non lo so, dovrei farlo, sarebbe liberatorio, ma ancora non mi sento pronta. Rimetto l'anello nel portagioie e prendo degli orecchini lunghi al suo posto.

Come al solito arrivo all'azienda prima di tutti i dipendenti, a parte le receptionist che come al solito salutano, con il loro finti sorrisi e i loro capelli ossigenati.

Prendo l'ascensore e digito il mio piano, guardando nel mentre l'agenda di oggi sul telefono.

Percorro il lungo corridoio e come al solito apro il mio studio, appendo il mio soprabito.

Ma subito mi accorgo che c'è qualcosa di diverso.

La mia scrivania che era davanti alle vetrate e centrale rispetto alla stanza, ora è spostata tutta a destra, per fare posto ad un'altra scrivania posizionata non molto lontana dalla mia.

Ora che lo noto è proprio identica con anche dei documenti già messi sopra in ordine.

«Che stronzo» borbotto.

Sapevo che l'avrebbe fatto, che si sarebbe inventato qualcosa, ma vederlo con i miei occhi è molto peggio.

«Che gentile».

Matthew esce dal bagno dello studio facendomi sobbalzare e bofonchiare un'imprecazione.

Si appoggia al muro e mi guarda con un sorriso trionfante.

«Mi hai fatto spaventare!» urlo, appoggiandomi una mano sul petto, per poi chiudere la porta alle mie spalle.

Attraverso la stanza, andando verso la mia scrivania come se nulla fosse, mentre con la coda dell'occhio osservo la sua, che seppure dall'altra parte della parete, è sempre troppo vicina alla mia.

Mi siedo sulla poltrona e appoggio la borsa sopra alla superficie scura per poi fare il giro della scrivania, per sedermi sulla poltrona.

«Non si saluta?» domanda avvicinandosi e oscurandomi con la sua figura alta.

No, ti prego non avvicinarti, non sono ancora pronta.

Ignoro il suo sguardo e accendo il computer preparandomi all'inizio della giornata.

«Siamo soci, siamo nella stessa stanza ma questo non implica, che dobbiamo per forza parlarci».

Prima che possa dire la sua, la porta si apre e una voce entra prima della persona.

«Jennifer, ti chiamo da ieri sera...».

Andrew entra nella stanza, ma appena vede Matthew impallidisce e indietreggia di qualche passo, mutandosi.

Merda. Non va mai niente per il verso giusto!

«Vi siete già incontrati anche se malo modo, Matthew voglio presentarti Andrew il responsabile della sicurezza mia e dell'azienda, Andrew lui è Matthew Dallas, il mio nuovo socio e compagno di ufficio, anche se non per mia scelta» spiego, cercando di mantenere una voce neutra, mentre dentro di me una tempesta di emozioni colpisce il mio autocontrollo. Mio marito che incontra il mio amante, è terribile!

Mi sembra di essere finita in un film. Un film dell'orrore.

Dove la perfida moglie tradisce il marito per noia, dove la moglie alla fine, viene ripagata di tutto quel male causato.

È solo questione di tempo e tutto verrà a galla.

«Hai un responsabile della sicurezza?» domanda curioso Matthew, mentre io spero soltanto che non abbia capito nulla. Anche se il suo sguardo mi dice ben altro.

«Sì, ti crea problemi questa mia decisione?».

Lui scuote la testa e poi posa lo sguardo su Andrew, osservandolo attentamente. Intanto la povera vittima avanza nello studio e mi passa un bicchiere di caffè.

Ora anche il caffè in ufficio? Proprio il comportamento di un addetto della sicurezza!

Lo prendo esitante evitando il suo sguardo.

«Grazie ora puoi andare» lui annuisce e si avvicina verso

«A dopo» sussurra guardando me, poi sposta lo sguardo su Matt: «arrivederci».

Matt lo ignora e si accomoda sulla poltrona appoggiando i gomiti sui bracciali per poi incrociare le mani davanti al petto, mentre Andrew esce dalla stanza, facendomi sospirare di sollievo.

«Cosa c'è fra te e l'addetto della sicurezza, com'è che si chiama, Aaron?» domanda, senza smettere di osservare ogni mia minima azione.

So benissimo che sa il suo nome, e lo conosco talmente bene che a fine giornata, scoprirà anche il suo codice fiscale, i nomi dei suoi genitori e dove ha fatto l'asilo.

Per un attimo l'ansia si impossessa di me stringendomi la gola, ma se mi agito capirà tutto e vorrà scavare ancora di più. Perciò faccio un bel respiro e mi rilasso per poi abbassare lo sguardo sullo schermo del pc.

«C'è solo un rapporto professionale» mento, entrando nel mio account e osservando l'email non ancora lette.

Sento il suo sguardo sospettoso su di me studiando pronto a scoprire la mia verità, ma cerco di fare finta di nulla, mentre evito di guardarlo negli occhi. Altrimenti capirebbe tutto.

È sempre stato bravo a leggermi dentro, oppure ho sempre fatto schifo a trattenere le mie emozioni. Ma in questo anno ho elaborato la mia maschera, che ormai è impenetrabile.

«Ti chiama Jennifer è strano, e poi sembrava agitato quando mi ha visto», commenta.

All'improvviso questa mattinata è diventata un interrogatorio? «Primo gli ho detto io di chiamarmi per nome, secondo quale persona non sarebbe agiata in presenza del famigerato Matthew Dallas? Tranne me ovviamente. E terzo non vedo come questo possa interessarti».

Aspetto qualche secondo, col cuore in gola, cercando di osservalo sottecchi.

«Va bene Jenny» sussurra facendomi rilassare per qualche istante.

«Ora, se hai finito con l'interrogatorio vorrei lavorare, dovresti farlo anche tu socio» mormoro sistemandomi meglio sulla poltrona e rilassando le spalle doloranti.

«Va bene socia».

Se riesco faccio uscire un altro capitolo entro sera. Grazie per la lettura.

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