CAPITOLO 7
Azioni
Jennifer
Andrew entra dalla porta senza bussare e posa davanti a me dei sacchetti di carta, mentre io sono sdraiata sul divano, con le gambe al petto e con una coperta stesa sopra.
Mi sto commiserando dopo quello che mi hanno comunicato con un'email poco prima di tornare a casa.
Signora Jennifer Dallas, è pregata di presentarsi domani mattina alle 9.00, nella sala del consiglio.
Per discutere del ritorno di Matthew Dallas e del suo futuro nell'azienda.
Grazie.
Mi aspettavo una sua mossa, ma non questa o almeno non subito.
«Ti ho scritto di non venire» biascico coprendomi ancora di più il viso sotto alla coperta nera.
Lo sento sedersi accanto a me e poi le sue mani tirano il lembo del tessuto, scoprendo il mio viso.
«Per questo sono qui, mi vuoi dire cosa succede? E perché ti stai nascondendo?» chiede scostandomi i capelli dalle guance, che per la condensa del mio respiro, si sono come attaccati alla pelle.
«Cosa sono?» chiedo indicando il sacchetto, da cui esce un profumo invitante, sperando di cambiare argomento.
Lui sembra capire la mia tattica, ma non mi contraddice, porgendomi la mano per tirarmi su.
«È cibo cinese, da quant'è che non mangi?» chiede lui, per poi aprire il sacchetto, per appoggiare sei scatolette bianche sul tavolino del salotto.
Sospiro profondamente e appoggio la testa contro lo schienale del divano: «non lo so, da stamattina credo».
Sento la sua occhiata preoccupata, prima si tolga la giacca lanciandola sulla poltroncina accanto.
«Ora ceniamo» mormora e sebbene il suo tono è dolce, so che è un ordine.
Guardo l'orologio appeso al muro, sorprendendomi dell'orario.
«Alle dieci di sera?» chiedo confusa, ma lui annuisce deciso. Sembra davvero preoccupato per me. Chi non lo sarebbe? A parte te, ovvio.
E credo che si stia innamorando. Io invece no. Non voglio dargli false speranze, ma a quanto pare sto fallendo.
Quando questo rapporto è iniziato ho specificato che non volevo storie d'amore. Eppure eccolo qui a portarmi la cena, preoccupandosi sulla mia salute.
Devo fare qualcosa, non può innamorarsi di me, anche perché io non ho più niente da dare, non ho più un cuore, nemmeno dei sentimenti. La verità e che lo uso per colmare quel vuoto che ho dentro di me, per pensare a qualcos'altro per almeno dieci minuti, per staccare la spina, sperando invano di ritornare a respirare. È questo Andrew per me, uno sfogo, un passatempo, un pretesto per non sprofondare nell'oblio.
Ma io per lui sono molto di più.
«Jen?» mi richiama dal mio stato confusionario, passandomi una scatola bianca con dentro degli spaghetti di riso, accompagnata con delle bacchette.
«Sembri stressata, mi vuoi raccontare?».
«Domani il consiglio vuole vedermi per discutere del rientro di Matthew Dallas, probabilmente per scegliere chi sarà il capo, e sai benissimo, che non mi vedono come una donna d'affari, ma soprattutto che mi disprezzano» spiego con tono aspro, per poi perdermi un'altra forchettata di spaghetti.
Trattengo una smorfia di disgusto mentre il mio stomaco si rivolta. E non perché è cattivo il cibo, anzi, ma ogni volta scatta qualcosa nella mia testa, che chiude il mio stomaco.
La psicologa dice che ho un disturbo evitante e restrittivo verso il cibo, a causa di quella notte, in cui ho perso un pezzo di me.
Ci sto lavorando, anche se con fatica. Sarà un lavoro tutto in salita e sono ancora alla partenza, se deve portarmi da mangiare il mio amante, per ricordarmi che non l'ho fatto per tutto il giorno.
Forse è vero che non faccio parte di questo mondo, che mi sta distruggendo piano, come un veleno, e presto cederò sotto a questo peso. Ma non è oggi.
Quindi anche se non ho fame, continuo a mangiare per me stessa, ma anche perché non voglio discutere anche con lui. Con l'unica persona che vorrei lontana da me, ma che comunque è qui per me.
«Stai scherzando vero? Jennifer tu hai avuto il coraggio di prendere le redini di una società, che quell'uomo ha lasciato fuggendo via, tu la stai facendo andare avanti e anche se devi ancora imparare alcune cose, sei bravissima. Le persone che ti parlano dietro, in realtà ti stimano molto».
Le sue parole mi colpiscono, come un abbraccio di cui non sapevo di aver bisogno.
Non ho mai creduto di essere questo, anzi mi sento ancora oggi esclusa da quel mondo.
Eppure i suoi complimenti sembrano così sinceri.
«Forse dovrei far parlare te domani, li convinceresti più di me».
Si china su di me e mi ruba un bacio, per poi lasciarmi una dolce carezza.
«Sono sicuro che c'è la farai, ti do un consiglio, punta molto sul fatto della sua assenza e sull'alzamento degli incassi negli ultimi mesi».
Già, anch'io mi sono stupita di quei numeri.
«Spero soltanto che lui non ci sia» o potrei perdere la lucidità, come stamattina.
Lui mi prende la mano, e il contatto mi arriva come una scossa che mi risveglia, riportando in alto la mia concentrazione: ATTENZIONE CONTATTO DOLCE.
Sciolgo la mano dalla sua e prendo un'altra scatola, trovando dentro dei ravioli al vapore.
«Non pensare a lui, Jenny» sussurra lui, facendomi voltare lo sguardo ancora su di sé.
«Ti prego non chiamarmi Jenny» lo avverto e la mia voce è fredda come il ghiaccio e tagliente come una lama.
Solo quel nomignolo mi fa rabbrividire e pensare automaticamente lui. Quanto mi ha rovinato?
«Jennifer non pensare a lui, ti ha lasciato per un anno e non ha fatto nulla né per smentire la stampa, né per aiutarti in azienda lasciando tutto nelle tue mani. Tu mi hai detto la verità, ma lui, non ha fatto niente per renderla pubblica».
Ha perfettamente ragione, specificando che non mi ha nemmeno cercato in tutto questo tempo, è sparito e basta.
«Lo so, spero soltanto che non scelgano lui».
Lui scuote la testa per poi addentare del pollo con la salsa «stai tranquilla non possono cacciarti c'è il tuo nome sul contratto della società».
***
Mi addormento con questo pensiero, sono tranquilla dopo tutto, non possono togliermi dal posto, e la penso così, finché non mi trovo davanti alla porta alta e nera.
Sono solo dei vecchi con cui devo per forza avere a che fare perché hanno un potere che ancora non ho compreso bene, su questa azienda, sebbene sia mia.
Se ieri prima di cedere il 5% delle mie quote azionarie a ad un'azionista dell'ultimo minuto, dopo aver perso gli altri, avessi saputo di questa assurda riunione, non l'avrei fatto.
Ha insistito per avere una parte delle quote azionare dell'azienda ed è stato un salto vuoto nel vero senso della parola.
Sebbene ora il mercato stia andando molto bene, ho avviato diversi progetti in giro per il globo e questi stronzi del consiglio mi fanno usare solo una parte dei soldi.
E ieri avevo una scadenza gigante, dovevo trovare subito un investitore per uno studio da effettuare nel Mar di Groenlandia, per lo scioglimento dei ghiacciai.
Ci ho tenuto molto a questo gruppo che mi ha presentato il progetto, e ho provato a far di tutto pur di ricavare i soldi da qualche parte, ma sono arrivata alla conclusione che l'unica via era trovare un'azionista che sposasse questa idea in ogni modo.
È stato un disastro.
E ieri dopo che due hanno rifiutato e arrivato un uomo che faceva le veci dell'azionista. Ha ascoltato, ha approvato, solo a condizione di un pezzettino della Dallas Corp.
Ci ho pensato per qualche istante, mentre la scadenza del programma, vorticava sopra di me come una spada di Damocle appesa sopra la mia testa.
Ho stilato un contratto. Senza consultarmi con il consiglio, e appena l'ho fatto mi sono sentita come se della grandine mi cadesse addosso. Ho fatto una cazzata e oggi ne pagherò il prezzo.
Prendo un bel respiro e busso alla porta, sentendo il suono rimbombare nella stanza.
«Avanti», mi dà il permesso una voce di un uomo al di là della porta.
Afferro la maniglia e con insicurezza la abbasso, con i brividi che percorrono ogni centimetro del mio corpo.
Quando entro tutti sono già seduti intorno al tavolo rettangolare, e non mi meraviglio a vedere Matthew insieme a loro. Bastardo.
«Benvenuta signora Dallas» sussurra Gavin un uomo con gli occhiali e i capelli bianchi, che ho già avuto il dispiacere di conoscere.
«Prego si accomodi», mi invita, indicando la sedia a capotavola.
Con esitazione tiro indietro la poltrona, per poi accomodarmi, accavallando le gambe.
«Ora che sono qui, ditemi tutto», commento a voce alta, evitando gli sguardi che Matthew mi sta mandando.
«Signora Dallas, ieri suo marito è tornato e ora dobbiamo discutere di un suo ritorno nell'azienda di famiglia» m'informa Gavin, mentre una brutta sensazione si impossessa di me, come una stretta al collo che ad ogni respiro sembra stringersi sempre di più.
Distolgo lo sguardo per qualche secondo su Matthew, ma poi ritorno su tutti loro.
«Ne sono a corrente, ma sinceramente non vedo come questo possa interessarmi», commento decisa, mentre loro mi guardano con soggezione, come se avessero paura di me, ma la realtà e che io ho paura di loro.
«Signora Dallas non è una scelta così da prendere alla leggera, lui ora è qui, pronto a riprendere da dove aveva lasciato», borbotta un altro signore di cui non ricordo nemmeno il nome, dovrei scrivermeli su un foglietto la prossima volta.
Sul viso di Matt appare un sorriso beffardo, che in questo momento vorrei tanto togliere a suon di schiaffi, mentre tutta la mia sicurezza inizia a crollare come un castello di carte.
«Sì è tornato, ma dopo un anno, e vi voglio anch'io ricordare che durante tutti questi mesi ho tenuto questa azienda aperta, ho fatto alzare le percentuali del mercato, i soldi degli investitori sono triplicati e ho fatto fuori persone che rubavano a discapito dell'azienda. E mentre io ero qui, lui dov'era?».
La mia voce trema e traballa colta dall'ansia che mi contorce le budella, ma nessuno sembra accorgersene mentre spostano lo sguardo su Matthew, con un brusio che si propaga per tutta la stanza.
«So che mi odiate, non sopportate il fatto che una donna stia guidando questa società, ma io non voglio lasciare il mio posto, per il quale nell'ultimo anno ho dato tutta me stessa».
I sussurri continuano, mentre i loro sguardi mi osservano senza ritegno, probabilmente pronti a vedere una sbeccatura nella mia maschera d'apparenza.
All'improvviso Matthew si alza dalla sua sedia, e mi raggiunge in pochi passi, per poi chinarsi sul mio orecchio.
«Potresti tornare alla tua vita, era quello che volevi» spiega lui, con un ghigno malefico.
Che faccia tosta! Incrocio le braccia al petto e mi volto a guardarlo.
«Tu invece potresti sparire di nuovo e magari non tornare», commento, con tono acido.
Matthew accusa il colpo, ma non fa in tempo a rispondere, che un uomo che credo si chiami Scott, attira la nostra attenzione. «Signor Dallas, dopotutto la signora non ha torto, grazie a lei gli affari vanno bene e abbiamo acquisito nuovi clienti, da quando c'è lei» si schiarisce la voce evidentemente imbarazzato.
«Ma lei signora non può pretendere che il nipote del fondatore di questa società, se ne vada».
«Lui non ha più niente in questa azienda, tutte le quote sono intestate a me, sinceramente trovo inutile e uno spreco di tempo, il fatto che voi mi abbiate convocato».
Per qualche istante il silenzio governa la stanza, dove solo i respiri sembrano scandire i secondi.
Quando l'uomo accanto a me, fa scivolare un foglio davanti alla mia faccia.
«Davvero hai tutte le quote azionarie tesoro?».
Con mani tremanti afferro il foglio, che è uguale alla mia copia in ufficio.
Il contratto che ho firmato ieri. Quello per avere i soldi del progetto in cambio del 5% delle quote azionarie.
«Eri tu...», sussurro mentre osservo la mia firma infondo alla pagina.
Mi ha ingannata.
Ancora una volta.
Vorrei scappare, vorrei urlare, vorrei piangere. Invece rimango a fissare il fottuto contratto. Sapevo che era una pessima idea, ma il tempo stava per scadere e io non ho pensato alle conseguenze. Che stupida.
Scott si alza in piedi attirando l'attenzione di tutti i presenti e si avvicina a noi, afferrando il foglio dalle mie mani.
«Bene, visto l'ultima novità, il signor Dallas ha il diritto, seppur limitato di lavorare in azienda perché ora siete soci. Altrimenti uno dei due si fa da parte».
Cosa?!
Mi passo una mano sulla faccia mentre la rabbia mi percorre il corpo, alimentata anche dall'adrenalina.
Vorrei ribattere, vorrei arrabbiarmi e urlare, ma sembrerei soltanto una bambina piagnucolosa.
Però questo suo ennesimo inganno, ha l'effetto come della lava incandescente che scende lungo la gola.
Un'altra coltellata alle spalle.
E ora sono costretta di nuovo ad avere a che fare con lui.
Soci. Soci?! Sul serio? Questo è fottuto incubo.
«Per lei signora andrebbe bene questa soluzione?».
O questo, o l'arrendersi.
«Non c'è altra scelta giusto?».
Ma prima che possano chiedere altro mi alzo dalla sedia e raggiungo la porta: «arrivederci signori, vi auguro una buona giornata» concludo gentilmente, e mentre loro ricambiano il saluto, io esco dalla porta più veloce della luce.
Mentre percorro il corridoio sento dei passi dietro di me, so già che è lui, quindi continuo per la mia strada verso l'ascensore, senza voltarmi indietro.
Arrivata schiaccio il pulsante, mentre dentro di me prego che arrivi presto, quando il rumore dei passi si ferma proprio di fianco a me, e io so già di chi si tratta.
«Sarei dovuto venire io ieri ma non ho fatto in tempo...».
«Bugiardo, perché sappiamo entrambi che se fossi venuto tu, non ti avrei mai dato le azioni, perciò hai mandato un intermediario, non mi sorprenderei scoprire che hai fatto scappare tu i finanziatori prima di te», lo interrompo, senza nemmeno girarmi verso di lui.
L'ascensore più lungo del mondo. Sono tentata a prendere le scale. Ma al pensiero di fare dieci piani con i tacchi, mi fermo. Ma soprattutto per orgoglio, non intendo farmi vedere debole da lui.
«Era l'unico modo Jenny, tu non mi avresti mai fatto tornare io...».
«Non voglio le tue patetiche scuse, trovati un posto per te, ma stai il più lontano possibile da me».
Vedo che si abbassa verso di me, e il suo respiro sul collo non tarda ad arrivare caldo e leggero sulla mia pelle. Inevitabilmente rabbrividisco.
«Potremmo dividere l'ufficio, c'è abbastanza spazio, non credi?», sussurra dolcemente lui e sono certa che a momenti, le sue labbra si poseranno sul mio collo.
Sono certa che quel bacio, mi risveglierebbe da questo sonno tormentato.
Ma le porte dell'ascensore si aprono e io entro dentro la cabina di corsa, seguita da lui.
Le persone dentro la cabina ci guardano perplesse e in soggezione, penseranno ecco la donna che ha rubato la società al marito, ed ecco il marito che ora è tornato per riprendersela. Lui sarà visto sempre bene, mentre io? Sempre male. Ma ormai ci sono abituata.
Digito il mio piano, mi correggo ora è il nostro, solo il pensiero, mi fa sbuffare e imbestialire.
Arrivati al piano siamo da soli, per poco, perché subito vedo Andrew uscire da una porta nel corridoio, pronto a riempirmi di domande.
Ma notando il mio sguardo e vedendo la persona che mi sta seguendo, capisce che non è andata come speravamo.
Entro nel mio studio e vado dietro alla mia scrivania «chiudi la porta per favore, ho scoperto che questo posto ha tante orecchie» mormoro amaramente.
Lui fa come ho detto e poi si avvicina con passo lento «dove preferisci la mia scrivania?» domanda guardando attentamente lo studio, viaggiando già con la mente.
«In un altro posto, magari al primo piano, ma se proprio devi usare questo piano c'è il mio vecchio ufficio» lo informo, prendendo un foglio dalla fila di documenti che devo controllare e firmare.
«Credo che toglierò il biliardo e la metterò lì» sussurra ignorando quello che gli ho detto.
Non lo voglio nella stessa stanza, è già abbastanza complicato dover parlare con lui ora, figurarsi tutti i giorni.
«Non ti voglio qui» ammetto diretta, spostando una ciocca ribelle dietro all'orecchio.
«Vedo che hai molto da fare, ma tranquilla torno domani» mormora e sento il suo sguardo su di me, sebbene io stia guardando il foglio, senza davvero leggerlo.
«Guardami Jenny».
Alzo lo sguardo esitante su di lui e sospiro profondamente.
«Mi sei mancata».
Le sue parole mi arrivano come una doccia fredda e per unattimo rimango congelata sul posto. Vorrei chiedergli dove è stato, perché nonmi ha più cercato, perché ha detto quelle cose. Ma lui esce dalla stanza senzadire altro.
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