CAPITOLO 10
Quando sarai pronta
Jennifer
Qualcuno mi segue. Penso mentre attraverso il corridoio per andare verso l'ascensore che mi porterà al garage sotterraneo. Come succede ormai da giorni d'altronde. E so benissimo chi è. Anche se io non lo vedo, so che lui mi vede.
So che è Gale, ci potrei mettere la mano sul fuoco. E so che è stato Matt a metterlo come mia ombra personale, anche se non capisco perché ora.
Ci siamo accorti cinque giorni fa, mentre tornavamo a casa, che qualcuno ci seguiva e sapendo chi fosse e da quel giorno che Andrew non entra più in casa mia.
Ovviamente Matthew sospetta qualcosa e ha mandato il suo mastino a fare la guardia. Stronzo.
Per non parlare della nostra convivenza forzata. Ogni giorno la mia pazienza scema sempre di più.
Forse vuole proprio portarmi al limite, testarmi, riempirmi di domande fino a quando non cederò.
Ma non gli darò questa soddisfazione.
Torno a casa da sola, dopo che Andrew mi ha dato buca per un impegno dell'ultima ora, mi affaccio davanti alle finestre della casa cercando qualche ombra sulla strada o la figura di Gale dietro ad un lampione, ma nulla, solo ombre della notte.
Tiro le tende per poi spegnere tutte le luci, tranne quella della cucina.
Sono davanti ai fornelli, quando il rumore della porta che si apre mi fa sobbalzare e voltare verso l'ingresso.
«Sei impazzito? Cosa ci fai qui?!» chiedo adirata verso Andrew che si ferma davanti alla penisola della cucina appoggiando le mani sulla superficie.
«Anch'io sono felice di vederti».
Mi volto verso le finestre assicurandomi di aver tirato tutte le tende, per poi tornare con lo sguardo su lui, osservandolo nella sua maglietta nera e nei suoi jeans scuciti.
«Ti ho chiesto cosa ci fai qui?!».
Noto il suo viso cambiare ma non mi lascio intimidire.
«Mi eviti da giorni! E non dire che è perché quel bastardo ti sta facendo controllare. Sono bravo a sfuggire alle telecamere, lo sto facendo da mesi!».
Con la paletta giro l'omelette ripiena di formaggio e prosciutto, sentendo l'uovo sfrigolare sulla padella e il calore stuzzicarmi il viso.
Sto cucinando.
Solo ora riesco a metabolizzare quello che mi sto facendo.
Sto cucinando un piatto abbastanza serio, nella cucina che ho evitato per tutti questi mesi. A parte qualche panino per sopravvivere.
Invece ho fatto la spesa ieri e ora sto cucinando.
E mentre Andrew continua a sproloquiare di quanto la situazione non lo aggrada e di quanto odi il mio ex, io mi godo questo strano calore al petto, che ancora non riesco a definire.
Anche se non lo ammetterò mai ad alta voce, c'è stato qualcosa che ha sbloccato questo cambiamento. O meglio qualcuno l'ha fatto.
«Jennifer mi stai ascoltando?».
Mi ritrovo a sollevare lo sguardo sfoggiando la mia finta maschera che ormai fa parte di me.
«Certo, ho capito che devo cambiare il codice d'ingresso».
Lui accusa il colpo, come se le mie parole lo avessero ferito con delle lame profonde.
La sua mascella scatta e i suoi occhi si socchiudono fulminandomi.
«Sei davvero una stronza Jennifer».
Afferro il piatto facendo scivolare l'omelette sul piatto e facendo sollevare il vapore.
Afferro delle posate e un tovagliolo, per poi andare verso il divano.
Mi ero programmata di mangiare sul divano guardando un vecchio film, da sola.
Ma ora questo imbecille vuole rovinarmi la serata, ma non glielo permetterò.
«Ti ho detto di non venire più a casa mia e ora ti aspetti di essere accolto come se fossi importante per me. E poi senti quanto puzzi, ti sei ubriacato e ora vieni da me a lamentarti? Io non sono la tua cazzo di tata Andrew e men che meno la tua ragazza. Quindi te lo ripeterò ancora una volta sola: vattene via ora da casa mia!».
Una maschera scura scende sul suo viso facendomi scorrere un brivido lungo la schiena. E conosco benissimo questo sentimento che mi sommerge fino al collo, facendo aumentare il mio battito cardiaco fino a sentirlo rimbombare nelle orecchie. La paura.
Non evito il suo sguardo finché non si volta, afferra la giacca, per poi andare veloce verso l'uscita, sbattendo la porta alle sue spalle.
Non mi accorgo di essere in apnea finché il silenzio non torna a sommergermi. Sgonfio i polmoni rilasciando l'aria pesante intorno a me, mentre uno strano pensiero inizia a far radici dentro di me.
Devo davvero cambiare il codice d'ingresso.
***
All'ora di pranzo un languirono mi fa tremare lo stomaco e istintivamente, mi poso una mano sulla pancia. Ed è strano.
Come se il mio corpo che sta tornando alla normalità lentamente, ora pretende quello che non gli ho dato per molto tempo.
Ho già affrontato due appuntamenti, lavorato su dieci file e contattato i capi del progetto in Groenlandia per sapere come sta andando.
Tutto sotto lo sguardo attento di Matt, che ha reso la mia mattinata ancora più difficile. Ed è bravo. Ogni volta che sento i suoi occhi smeraldo infuocarmi la pelle, alzo lo sguardo su di lui, pronta a beccarlo, e ogni volta lo trovo concentrato sul suo lavoro.
Lavoro che sono stata più che felice di passargli. Dovrà controllare tutti i soldi che escono dall'azienda e vedere se è tutto regolare. Cosa che ogni giorno mi portava via ore di attenzione e di vista che si annebbiava.
Qualcuno bussa alla porta e attirando l'attenzione di entrambi sulla porta.
«Avanti» dico e mi sorprendo a vedere Rose sulla porta.
Mi piace come segretaria, ormai è qui da un anno, rispetto a quella antipatica con lo sguardo affilato che è scappata quando ha saputo che ero tornata e non come assistente.
Non guarda nemmeno Matthew e punta il suo sguardo su di me.
«Signora le devo ordinare qualcosa da mangiare?» mi chiede e mi rendo conto di quanto sia strana questa domanda.
Non l'ha mai fatta, ma forse lo strano incontro di ieri in sala break centra qualcosa. Visto che mi ha beccata con le mani in uno schifoso sacchetto di patatine, mentre la fame mi logorava.
Si forse è stato quello.
«No grazie Rose, tu vai pure in pausa pranzo», mormoro e noto un suo leggero sorriso prima che abbassi leggermente lo sguardo per salutarci, per poi uscire dalla stanza.
Aspetto che la porta si chiudi con lo scatto della serratura, prima che un pensiero affiori nella mia mente, facendomi sorridere.
Ha ignorato totalmente Matthew Dallas. E non sono abituata nemmeno a questo.
Sollevo lo sguardo e trovo Matthew a fissarmi facendomi sussultare e cancellare il sorriso.
«Vieni a pranzo con me?» chiede con voce seria e premurosa.
Cosa?
«No» rispondo e distolgo lo sguardo dai suoi occhi, sono troppo ipnotici e pericolosi, se ti ritrovi in quel vortice è finita.
«Guarda che non ti mangio», sussurra tornando con la sua voce beffarda e fastidiosa.
«Non ho fame» borbotto mentendo, ma piuttosto di uscire con lui, resto a digiuno.
Lui sbuffa e afferra il telefono dalla scrivania, digita qualcosa sullo schermo e poi se lo porta all'orecchio.
«Va bene, allora farò venire il pranzo da noi».
La sua proposta mi sorprende per qualche istante, mentre scioccata lo osservo attentamente. Non accetta mai un no. E io faccio sempre più fatica a dirglielo.
Parla al telefono ma non riesco a sentire cosa ordina, perché è troppo lontano, ma il suo sguardo felice per un attimo mi fa vacillare.
Come fa a sorridermi? Dopo tutto quello che mi ha detto, come fa a comportarsi così? Mi rendo conto che sono stata io la prima a scappare, lo so.
Perché quando tutto diventa troppo complicato, so fare solo quello. Ma le sue parole, ancora bruciano sulla pelle, come se le avesse marchiate col fuoco e credo che non riuscirò mai a dimenticarle.
Venti minuti dopo accompagnati da un silenzio quasi assordante, qualcuno bussa alla porta.
Matthew si alza e va ad aprirla, facendo entrare un corriere con una grande busta di carta fra le mani.
Paga il conto in contanti e infine il ragazzo se ne va.
Con aria fiera viene verso di me e appoggia il sacchetto di carta sulla mia scrivania, sopra i documenti su cui sto scrivendo, oscurandomi la visuale.
«Ora tu mangi» ordina, però la nota dolce nel suo tono a me va giù amara come del cianuro.
Immerge le braccia nel sacchetto e posa davanti a me dei contenitori di plastica nera.
«Tu non mi dai ordini» rispondo brusca osservando ogni suo movimento. Ma quando noto che nei contenitori c'è del cibo italiano, mi viene l'acquolina in bocca e il ricordo della nostra vacanza torna vivido nella mia mente.
Credo che quel mese sia stato il più bello della mia vita e anche ora non posso negarlo. Anche se era per addolcirmi e allontanarmi da New York, non posso scordare quelle emozioni che provavo nel petto. Quella felicità che palpitava nel mio cuore.
C'è dalla pasta, delle polpette e del pane ancora caldo che invade le mie narici con il suo dolce profumo.
Noto che mi osserva e senza nascondere il suo sorriso trionfante afferra una sedia per poi mettersi davanti a me.
So che anche questa è stata una sua tattica bene studiata, riportare a galla i momenti che abbiamo passato insieme.
Ma non cederò così facilmente.
Mi passa delle posate di plastica, che esito qualche istante ad afferrare, per poi cedere al bisogno che mi sta mangiando lo stomaco.
«Ho ordinato questa per te, so quanto ti piaceva, non sarà la stessa che fanno a Roma, ma forse si avvicinerà» sussurra per poi passarmi un contenitore nero ancora caldo.
Il profumo di guanciale invade le mie narici mentre apro il contenitore, trovando dei rigatoni alla carbonara.
Per qualche istante il mio mondo sembra andare sotto sopra, annegando in un acqua ghiacciata.
Lui si è ricordato. Lui ha fatto questo per me. Lui ha pensato ai miei bisogni.
«Tutto bene?» chiede afferrando una polpetta, studiandomi con i suo sguardo invasivo.
«Sì certo», rispondo per poi affondare la forchetta nella pasta. Mentre un vortice di confusione e di sentimenti contrasti, spazzano via i miei muri eretti contro di lui.
Dopo varie polpette e un po' di pasta, lui appoggia i gomiti sulla scrivania e mi guarda dritto negli occhi.
«Possiamo parlare?» chiede, la domanda all'improvviso mi sorprende così tanto, che inizio a tossire.
È proprio da lui, aspettare di farmi abbassare la guardia per iniziare ad attaccare.
«Di cosa?» domando cercando di fare l'ingenua, anche perché so benissimo dove vuole andare a parare.
«Di noi», mormora per poi passarsi un fazzoletto sulle sue labbra.
«Credo che non ci sia niente da dire, l'ultima volta sei stato molto esplicativo», rispondo cercando di mantenere il tono freddo e tagliente, mentre il mio umore che era salito, si abbassa di colpo, chiudendomi lo stomaco.
«No invece io devo spiegarti, devi sapere cosa è successo», scuoto la testa e mi appoggio completamente contro la poltrona, cercando di controllare le mie emozioni impazzite nel corpo.
«Matthew ascoltami bene, possiamo condividere la stanza, il pranzo, l'azienda, ma tra di noi è finita Matt, per sempre. Ti prego non voglio più affrontare questa discussione».
Lui accusa il colpo e la delusione nei suoi occhi per qualche istante mi fa sentire in colpa, ma lascio correre il pensiero.
«Ho capito ora non vuoi parlare e non ti forzerò, però Jennifer io devo parlarti, poi potrai allontanarti, non parlarmi mai più, ma devo farlo. Devo confessarti tutto. Ti prego pensaci».
Una scintilla di curiosità si accende nel mio cuore mentre altre domande si aggiungono alle centinaia che in questi giorni non smettono di invadermi il cervello.
Incapace di parlare mi ritrovo ad annuire, facendomi notare la speranza illuminargli il viso, mentre torniamo a mangiare in silenzio.
Nel resto della giornata il tempo continua in assoluto silenzio, niente più domande, solo il rumore dei tasti sul computer, la penna sui documenti e le lancette dell'orologio che scandiscono il tempo fino alla sera.
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