CAPITOLO 93
Io ti vedo
Jennifer
Dopo tre settimane alla baita io e Matthew siamo tornati a casa. Non è stato come l'altra volta, lui è stato diverso, più dolce e anche apprensivo.
Ogni mattina mi portava la colazione a letto, sebbene potesse usare solo una mano. Mi lasciava i miei spazi, mentre mi prendevo dei momenti sulla veranda a fissare la foresta intorno a me, facendomi cullare dai rumori e i cinguettii di sottofondo, che ci accoglievano in quel mondo. Però c'era sempre, pronto a confortarmi, pronto per un abbraccio, un parola dolce, mentre io passavo ogni fase del lutto. Mentre con difficoltà accettavo il fatto che una delle persone più importanti della mia vita non fosse più con me. E forse è stata una delle cose più difficile da fare. Soprattutto quando il mondo era già lesionato e distrutto dal mio rapimento e dal tentato omicidio di Matt. Ma quando mi sono ritrovata sul baratro, pronta a scegliere se abbandonarmi all'oblio e al dolore, o se tornare indietro affrontando le mie paure e il lutto. Ho scelto la seconda strada.
Scegliendo di occuparmi di qualsiasi cosa, pur di non rimanere troppo a lungo da sola con i miei pensieri. Aiutavo Sonia e Melissa con i cavalli e con l'orto, mi mettevo in cucinare con Matt che cercava di aiutarmi in qualsiasi modo e mi prendevo cura di lui, gli ricordavo le pillole, gli facevo le punture e pulivo la sua ferita e le cicatrici con dedizione e precisone ogni giorno.
E quando finalmente ieri non mi sono addormentata piangendo, ho capito che ero pronta a tornare a casa. Pronta a tornare per affrontare la mia realtà, abbandonando questo rifugio sicuro nascosto da giganteschi alberi.
Matt d'altro canto, mi tratta ancora adesso, come se da un momento all'altro, dovessi rompermi in mille pezzi davanti a lui. Vedo nei suoi occhi quando mi osserva o quando parliamo che si trattiene, come a proteggermi, quando io vorrei solo tornare alla nostra vita.
Più volte mi ha chiesto di raccontargli gli avvenimenti successi in quella stanza, ma io non voglio rivivere quei momenti, non sono ancora pronta.
Appena scendiamo dalla macchina Joyce viene verso di noi e mi stringe a sé chiedendomi immediatamente come sto, mentre io ricambio l'abbraccio, abbandonandomi nel suo profumo di biscotti al cioccolato. Sono sicura che li troverò in cucina appena entrerò in casa.
Si è preoccupata tantissimo quando sono sparita, i primi giorni quando sono stata a casa, non ha fatto altro che starmi accanto, cercando in ogni modo di non farmi stare a disagio, ottenendo il risultato contrario.
Forse in fronte ho scritto: ATTENZIONE A MOMENTI POTREI SCOPPIARE A PIANGERE E ROMPERMI IN MILLE PEZZI. Senza contare il fatto che Matthew nemmeno osa toccarmi, mi tiene solo fra le sue braccia e la notte mi coccola, finché non mi addormento. Ma non osa baciarmi o accarezzarmi, se non fra i capelli quando me li sposta dal viso. Dice che ho bisogno di tempo. Quando io vorrei solo tornare alla nostra vita.
Sarà diversa, questo è ovvio, ma ho il bisogno impellente di tornare alla nostra routine, alle nostre chiacchierate che spesso andavano a sfociare in altro e a quelle confidenze prima di addormentarci, mentre i nostri respiri si mescolavano.
Joyce mi prende la mano e la stringe mentre m'invita ad entrare in casa, cercando di ignorare quel brivido che mi scende lungo la schiena.
«Sta bene signora?» mi domanda e noto nei suoi occhi che è davvero preoccupata.
Guardo verso il cancello e sbianco a vedere tutti i giornalisti, con le loro telecamere, i loro microfoni e le loro domande insidiose. Pronti a scattare l'ennesima fotografia della coppia Dallas che torna finalmente a casa dopo quasi un mese sabbatico, sperando in un fuori scena che possa riempirgli le tasche.
Vorrei urlare che sì, mio padre è morto, che sì, mi hanno rapito, che sì, mi hanno legato, che sì, ho visto mio marito cadere a terra per un colpo di pistola, che sì, il mio mondo è ancora in frantumi.
Matthew mi prende per la mano «amore andiamo dentro, così, gli dai solo corda» sono così confusa dal nomignolo che mi ha dato, che non mi accorgo nemmeno che mi sta trascinando dentro casa. L'ha già detto varie volte, come se fosse una cosa normalissima, quando io non l'ha do per scontato. È il solito saluto che si da una coppia, quel dolce nomignolo che si condivide quando ami davvero una persona. E sentirlo dalla sua bocca, è talmente una strano ma bellissimo, che ancora non mi sono abituata.
«Amore?» domando sorridendogli dolcemente.
Lui mi guarda divertito e mi lascia un dolce buffetto sulla guancia, prima di spostarmi il solito ciuffo ribelle dalla guancia. Joyce nel mentre sparisce sentendosi di troppo, lasciandoci da soli nel grosso salotto.
Ora non sembra più luminoso come la prima volta. Sembra quasi come se una patina grigia fosse caduta sopra, forse quella magia è sparita quella sera nel giardino.
«Ci siamo detti ti amo», mi ricorda lui, come per difendersi da questa "accusa".
Annuisco e lui mi sorride imbarazzato, mentre la sua mano scende lungo la mia schiena, per avvicinarmi a lui.
«Pensavo che ti sarebbe piaciuto» scuoto la testa ridacchiando e lo bacio, spingendolo dolcemente contro al muro.
Le nostre labbra calda si scontrano dopo un tempo che mi è sembrato infinito. E mentre il mio cuore galoppa nel petto, quella serenità, quella dolce sensazione di essere con la persona che ami, torna in me. È come il piacere che ti da un sorso di cioccolata calda. È come quando senti quella stretta leggera al cuore mentre guardi la persona che ami. È come quando ti ritrovi a ridere con la pancia che ti fa male, mentre l'euforia ti contagia.
«Mi piace, amore» mormoro e lo bacio ancora, con passione, finché lui non mi allontana. Ed ecco che quella bellissima sensazione, si rompe in mille pezzi.
«Jenny aspetta...», mormora e noto il suo tono dispiaciuto che non fa altro che irrorarmi le vene con una strana inquietudine, che ha l'effetto di farmi rabbrividire.
Colpita e umiliata mi allontano da lui entrando nel salotto e lanciando la borsa sul divano.
«Jenny ti prego non fare così, lo faccio per te», sussurra alle mie spalle, come se fosse lui quello incompreso.
Mi volto verso di lui, improvvisamente arrabbiata e completamente infastidita.
«Non sei tu ha dirmi se ho bisogno di tempo Matt! Anzi sto iniziando a pensare che tu non mi voglia più, che tu non riesca più a vedermi come prima...».
Mormoro e mi mordo il labbro così forte, da sentire il sapore metallico invadermi la bocca, mentre il mio cuore sembra lacerarsi dall'interno.
I suoi lineamenti si addolciscono e le sue mani cercano le mie, stringendole forte e attirandomi contro al suo petto.
«Jenny io ti voglio, ma tu hai bisogno di tempo, pensi che non mi accorga che a volte sobbalzi quando mi avvicino? Che ti svegli urlando e agitandoti nel letto o che controlli più volte che l'allarme sia inserito prima di addormentarti? Io ti vedo Jennifer e so che non stai bene, so che non hai bisogno di questo ora»
Uno sbuffo esce dalla mia bocca, mentre la sua verità si insinua in me come un aroma che non vuoi sentire, ma che alla fine arriva al tuo olfatto. Una grande parte di me sa che ha ragione, sa che è tutto vero ciò che ha detto, eppure non sovrasta il mio dispiacere di essere stata rifiutata.
«Tu non sai, di cosa io ho bisogno...» sussurro, mentre le lacrime invadono i miei occhi e mi lascio cadere sul divano stringendomi le gambe contro al petto, chiudendo la presa con le mani.
Matt non esita a sedersi accanto a me, e sento la sua presenza che timida e leggera cerca di consolarmi.
«Cosa vuoi che ti dica Matt?! Che mi hanno rapita e chiusa in una stanza buia? O che appena sono scappata Jonathan mi ha legata e voleva toccarmi? È questo quello che vuoi sentire?» chiedo a corto di voce, e con fiato spezzato, mentre un misto di preoccupazione e rabbia attraversa il suo viso.
Ma si lascia scivolare addosso tutto la sua ira e le sue preoccupazione, attirandomi fra le sue braccia e facendomi sedere sulle sue gambe.
«Sì piccola, devi sfogarti con me, o se non vuoi con me con uno specialista, ma devi parlarne, non tenerti tutto dentro».
Sollevo il viso verso il suo, sfiorando il naso con il suo, mentre le guance umide pizzicano.
«Ho paura che mi guarderai in modo diverso se ti racconterò tutto, che non mi vedrai più come prima, che vedrai solo una donna ferita e con mille paranoie...ho paura di non riuscire ad essere più la Jennifer che ero un mese fa».
China il viso sul mio, mentre con le mani mi afferra dolcemente il viso e poi mi lascia un dolce bacio sulle labbra. Un bacio di comprensione, di affetto, di devozione.
«Amore mio, come potrei guardarti in modo diverso? Tu dovresti guardare me come una delusione, è stata tutta colpa mia, ti ho messa in pericolo solo per il mio fottuto orgoglio e per la mia gelosia, ed è una cosa che non dimenticherò mai. Ma tu sei una guerriera Jennifer, hai combattuto per liberarti, hai sofferto, ma ti sei sempre rialzata, ma soprattutto mi hai salvato la vita».
Le sue parole toccano delle corde dentro di me che mi fanno sussultare. Davvero si da la colpa di tutto? Davvero sente di essere il colpevole anche se non è stato lui ad organizzare il rapimento? Come tu ti senti in colpa per quello che ti ha fatto Jonathan...
Anche se lui non è riuscito nel suo scopo quel giorno, anche se non è successo nulla...io non riesco a non sentirmi sporca, a non sentirmi ancora la sua bocca sulla mia che mi soffoca, alle sue mani che mi toccano senza permesso, mentre io mi contorco nauseata e schifata. E quella scena la ripete ogni notte il mio cervello, come un film horror che non vorrei mai più vedere. A volte lo scenario cambia, ma mi sveglio sempre urlando e con il corpo colto dai brividi, mentre il cuore mi rimbomba in gola.
A volte penso che se non fossi scappata, forse non sarebbe successo, o se quel giorno non mi fossi fermata al rumore dell'auto, forse lo avrei seminato.
Però non ho mai pensato in nessun momento che la colpa fosse di Matthew. Sono stati Jonathan e William. E anche se so perché il cugino lo abbia fatto, William è ancora un'incognita.
Matt crede per il figlio, ha detto che è l'unica persona per cui farebbe una cosa del genere. Forse è in pericolo, o a corto di soldi, ma sono certa che Matthew lo avrebbe aiutato se solo si fosse confidato. Invece ha deciso di tradirci. O forse più basilarmente voleva solo i soldi.
«Matt non è colpa tua, ti prego non pensarlo nemmeno...» sussurro afferrandogli anch'io il viso e appoggiando la fronte contro la sua.
«Tu sei stato la mia ancora, ogni volta che volevo mollare,- pensavo a te, sono andata avanti con l'idea che ti avrei rivisto, che sarei tornata da te».
Osservo i suoi occhi lucidi e le sue mani tremanti che mi attirano di più a sé, mentre affonda il viso nella mia spalla e tra i capelli. Restiamo lì attimi, confidandoci in silenzioso tutte le nostre paure e il dolore che abbiamo condiviso, mentre i nostri corpi sobbalzano dai singhiozzi miei e suoi.
Lacrime di speranza scendono lungo il mio viso, per poi bagnare la sua maglia, mentre le sue mani con dolcezza mi massaggiano la schiena.
Dopo minuti o ore in silenzio, inizio a raccontargli tutto, con la mia voce rauca e sofferente. Dal rapimento, a come ho cercato di scappare, alle cose che mi hanno detto al dolore che ha attraversato ogni centimetro della mia pelle.
Lui mi ascolta, senza commentare, senza interrompermi. Mi ascolta assorbendo tutta mia sofferenza, mentre so che dentro di lui ha inizio una lotta contro se stesso, per starmi accanto, invece che andare in prigione per uccidere chiunque mi abbia toccata.
Invece rimane stretto a me, in un dolce abbraccio, confortandomi e dicendomi che sono al sicuro.
Mi addormento fra le sue braccia, con un peso in meno sul cuore e con la consapevolezza che piano piano tutto andrà per il meglio.
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