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CAPITOLO 79

Il primo della mia lista

Matthew

«Non mi interessa se devo dare via tutta la società, per riavere Jennifer, non ci penso due volte!» borbotto, rispondendo alle lamentele del consiglio della Dallas Corporation.

«Signore, per favore ragioni per un attimo, darebbe via tutta la società, per una donna?» chiede sorpreso Larsen, un uomo anziano dai capelli bianchi e con uno sguardo severo.

Se non fosse che andrei in prigione e che è uno dei senior, lo prenderei a pugni seduta stante.

«Non è una semplice donna, stiamo parlando di mia moglie!» tutti sospirano e alzano gli occhi al cielo. Vecchi bastardi.

«Non ho bisogno del vostro permesso per vendere delle azioni della società, volevo solo avvisarvi», all'improvviso spalancano gli occhi spaventati e scuotono la testa, per niente d'accordo con la mia scelta, mentre il brusio delle sue voci aumenta.

«Signore ma ci pensi bene, e se vendesse le azioni della sua azienda a qualcuno che non è d'accordo con i nostri ideali? Con gli ideali di suo zio? Molte persone potrebbero perdere il lavoro, o peggio l'azienda chiuderebbe».

Sospiro profondamente, mentre altri continuano a borbottare tra di loro scuotendo la testa.

«Distruggerebbe l'azienda, che suo zio ha creato e ha lasciato a lei per continuare il suo sogno».

Il mio pugno sbatte sul tavolo di legno color ebano, facendoli sobbalzare, mentre la rabbia mi scorre nelle vene.

«Sì, e vi darei ragione, se pensassi con egoismo e avidità come tutti voi», rispondo con voce tagliente, tanto quanto il mio sguardo.

«Ma se lo facessi, mia moglie perderebbe la vita, quei bastardi vogliono mezzo miliardo di dollari, e se per averli devo vendere delle mie azioni, non esiterò nemmeno per un'istante», mormoro tutto d'un fiato, lasciando trasparire tutta la mia rabbia e delusione.

«L'azienda si può rifare, ma mia moglie...non posso perderla». Mi allontano dal tavolo e raggiungo la porta con passo pesante, che rimbomba nell'ufficio improvvisamente silenzioso.

«Non posso pretendere che voi capiate, ma sono venuto qui oggi solo per avvisarvi, se sarò costretto venderò questo posto anche senza il vostro voto...non mi serve, l'azienda è mia!»

Mormoro con voce seria e alterata, per poi uscire dalla stanza accompagnato dai loro brusii. Sperando che il notaio o chiunque altro, si accorga molto tardi della mia mossa. Perché fino a dicembre io sono solo un momentaneo proprietario, o almeno sulla carta. Andrò in guai seri, che probabilmente mi manderanno in prigione, per ripagare ogni singolo dollaro, che voglio rubare a mio zio defunto.

Svolto l'angolo e una volta accertato di essere da solo mi appoggio contro al muro, cercando di riordinare le idee.

Gale è partito stanotte, o era ancora pomeriggio? Quando ieri ho chiuso gli occhi, il mio corpo è riuscito a riposare, mentre la mia simpatica mente creava raccapriccianti incubi, in cui Jennifer soffriva a causa mia. E quando mi sono alzato erano le due di notte, e da allora non ho più chiuso gli occhi, mentre le vie ipotetiche da percorrere avevano invaso la mia mente.

Voglio liberare Jennifer, viva, e per questo devo trovare i soldi e non collaborare con la polizia. Ma appena glielo ho detto, loro non sembravano  d'accordo con la mia idea di cacciarli di casa. Dicono che loro possono trovarla e arrestare i rapinatori.

Ma per me c'è qualcosa di più grande dietro, qualcosa che mi sfugge. Qualcosa di personale.

E questo accende il mio secondo desiderio, riuscire ad avere tra le mani quei tre pezzi di merda per fargli sentire almeno il doppio del dolore che loro hanno procurato a Jennifer.

Mi strofino gli occhi con le mani, fino a che la mia pelle irritata non mi prega di smetterla.

«Matthew, va tutto bene?». Quella voce. Quella maledetta voce.

Mi irrigidisco e apro gli occhi, trovando davanti a me, l'ultima persona che avrei voluto vedere.

«Vattene Jhonathan, non è il momento», sbotto infastidito e mi allontano, senza degnarlo di uno sguardo.

Lui però non demorde e mi afferra il braccio, interrompendo la mia camminata e la sua mano è come ghiaccio sulla pelle.

«Ho saputo di Jennifer...».

Mi volto e stringo i pugni, guardandolo negli occhi, ancora leggermente violacei dai miei pugni. Le mie mani in risposta sembrano formicolare, per la soddisfazione che mi darebbe sfogare ancora la mia rabbia sul suo viso.

«Che cosa hai detto?! Come cazzo fai a saperlo?!» chiedo con voce alterata, avvicinandomi a lui.

Lo prendo per il colletto, per poi sbatterlo contro al muro, ma trattengo il mio istinto di tirargli altri pugni, e aspetto la sua risposta.

Ancora non si sa nulla di Jennifer, e voglio che sia così. Nessuno deve saperlo né la stampa, né l'azienda e nemmeno la mia fottuta famiglia.

«Me l'ha detto Carrie. Hai qualche pista? Sai se sta bene? Se è ancora viva?» sospiro rumorosamente e lo incenerisco con lo sguardo. Carrie e Jonathan si parlano? La situazione non mi piace per niente.

Solo il fatto che si preoccupi per lei, mi fa imbestialire ancora di più. Perché è così interessato a lei?

Perché sa che lei centra qualcosa con l'eredità, l'eredità che lui pensa che io abbia rubato.

«Ora dimmi, perché non riesci a farti i cazzi tuoi?» urlo spingendolo ancora di più contro al viso, come se potessi schiacciarlo.

«Perché continui ad interessarti a lei?! Cosa non hai capito l'altro giorno? Tu non la devi pensare, ne cercare, men che meno vedere».

Ringhio davanti alla sua faccia, per poi allontanarmi. Non ne vale il tempo.

Faccio per voltarmi, ma lui mi fa fermare, pronunciando parole, che speravo di non sentirgli mai dire.

«Mi sto innamorando di lei».

Prendo un profondo respiro, la mascella scatta e il sangue pulsa forte nelle mie dita, mentre le stringo in dei pugni. Che cazzo ha osato dire?

Mi volto e senza dargli il tempo di scappare gli piazzo un pugno nello stomaco, per poi sorreggerlo prima che possa cadere.
«Ringrazia che non ho il tempo per massacrarti, però già che ti ho incontrato volevo chiederti se per te non è un problema dare tutte le tue informazioni private alla polizia», lui mugugna dal dolore e mi guarda negli occhi, pieno di domande.

«Pensi davvero che non avrei dubitato di te? Tu sei il primo nella mia lista. E sarai così gentile da dare tutte le informazioni utili agli agenti, giusto? Perché altrimenti io ti verrò a carcare lo sai».

Lo lascio e mi allontano, vedendolo barcollare.

«Se provi ad intrometterti di nuovo nella nostra relazione, giuro che la prossima volta che ti vedo, non riuscirai ad alzarti in piedi per giorni» e con la poca forza di volontà che mi rimane, mi costringo ad allontanarmi da lui.

***

Tornando a casa, noto subito una certa frenesia fra gli agenti che si sono accampati nel mio salotto. Sebbene ormai sono in contatto con degli acquirenti, per poter vendere parte delle mie azioni, loro vogliono trovare un altro modo che non implichi né perdere Jennifer né perdere l'azienda.

Ma io cederei volentieri adesso i soldi, solo per poterla riavere con me, solo per poterla abbracciare e baciare.

«Signore abbiamo ricevuto un altro video», annuncia William alle mie spalle cogliendomi di sorpresa. Ignoro la stretta al cuore per la paura, prima che possa fare altro, qualcuno mi afferra il braccio, e voltandomi mi accorgo di Susan.

«Matthew posso parlarti un attimo?» pallida in viso, mi fissa, con gli occhi pieni di lacrime, che continuano a riversarsi sulle sue guance. Sembra che questa situazione gli stia risucchiando la vita e le forze. Non riconosco la donna forte che mi ha minacciato più di una volta di trattare bene sua figlia, nemmeno la donna che quando distruggevamo la sua casa da piccoli, ci sgridava per farci mettere tutto a posto.

«Sì certo», rispondo, e chiedendo scusa ai poliziotti, seguo Susan in corridoio.

Una volta da soli le sfugge un singhiozzo e si toglie le lacrime, con i dorsi delle mani, che tremano incessanti.

«Victor...Victor sta peggiorando» le lacrime inondano il suo viso e incapace di fare altro, l'attiro a me e l'abbraccio.

«Ha perso sangue dalla gola e...Chad lo ha appena portato in ospedale e non credo che...», spiega con voce acuta e strozzata dai singhiozzi: «non credo che gli manchi tanto...».

La notizia mi colpisce come un pugno in pieno viso. Non può essere. Non ora.

Mi è sempre piaciuto Victor, la persona che mi accoglieva ogni volta in casa sua con un abbraccio, che riusciva sempre a trovare il bello nelle persone, l'uomo che ha cresciuto la donna che amo.

Jennifer...lei lo ama tanto, farebbe di tutto per lui, infatti ha sposato me, invece di lasciarlo senza cure. E ora...no, non può morire, senza che Jennifer lo possa salutare.

«Susan...Mi dispiace davvero tanto, ma ora vai da lui, devi stargli accanto ci penso io a Jennifer, la riporterò a casa».

Lei mi stringe ancora per qualche attimo e poi si allontana tremante, come se fosse appena uscita durante una bufera di neve. Annuisce, e poi si allontana, afferrando la borsa dal gancio.

«Grazie Matthew, ho sbagliato a giudicarti male».

«Susan, se avete bisogno di qualsiasi cosa, ti prego non esitare a chiedere».

Lei mi sorride riconoscente e poi sparisce dietro la porta d'ingresso, senza voltarsi più indietro.

Torno nel salotto pronto a vedere il video. In realtà non sono pronto, ho paura a vedere Jennifer.

Ho paura che le abbiano fatto qualcosa, di risentire la sua voce strozzata e di vedere il panico nei suoi occhi.

Mentre io sono qui, impotente, senza poterla proteggere.

L'agente mi fa spazio e aziona il video, mentre il mio cuore, inizia a battere frenetico nel petto.

La mia Jenny, non ha più il fango sul viso e indossa abiti puliti. Però il suo sguardo, continua ad essere terrorizzato e perso nel vuoto.

«Ciao Matthew» sospira a poi alza lo sguardo, con gli occhi che vanno a destra e poi a sinistra.

«Se hai preparato i soldi, basterà andare venerdì alla fermata metropolitana Clark ST, alle 18.00, lì incontrerai una persona che ti darà altre informazioni per raggiungere il punto di scambio».

Fa una pausa, e non posso non notare le sue dita che continua a contorcere dall'agitazione. Come quando è molto nervosa.

«È bene che tu sappia, che ogni tuo movimento sarà controllato, da quando uscirai di casa. Quindi se provi...» deglutisce, e i suoi occhi si spalancano spaventati.

«Se provi a portare la polizia o se in qualche modo penseranno che tu li stia fregando...» ed ecco le lacrime.

Non sopporto vederla così, come sentire un vuoto incolmabile all'altezza del petto.

«No!» urla cercando di ribellarsi, ma un rumore meccanico e fin troppo famigliare, la fa sussultare e sbarrare gli occhi.

«Ti spareranno a vista» sussurra con un filo di voce. Poi guarda terrorizzata qualcuno, alzando lo sguardo, e il video finisce.

Mi volto verso gli agenti, e faccio un bel respiro, cercando di non pensare al fatto che gli abbiano puntato una pistola contro. Cercando di contenere la rabbia che ho dentro, che feroce urla nelle mie vene.

Cercando di non scoppiare a piangere, mordendomi forte il labbro e stringendo i pugni, fino a sentiere le ossa pregarmi di lasciarle dalla morsa.

Guardo gli agenti, che a loro volta mi fissano «allora come vogliamo agire?».

Parlano e mi spiegano un piano, che per quanto mi sembra fallimentare, loro ci credono. E poi il detective si avvicina e mi stringe la mano, lasciando cadere qualcosa nel mio palmo.

Lo guardo in cerca di risposte, ma la sua faccia rimane completamente impassibile prima di allontanarsi.

Lascio cadere il piccolo rettangolino nella tasca della giacca e mi volto cercando di non far trapelare nulla.a

«Signore dovrebbe vedere anche questo video» mormora alle spalle William, cedendomi il suo cellulare.

Appena il video inizia, so già di cosa si tratta, il bacio fra Jennifer e Jonathan. Quel maledetto bacio, che ha dato inizio alla catastrofe, che ci ha fatto arrivare fino a qui.

Ma non è come lo immaginavo.

Non si sente l'audio, ma dai loro atteggiamenti, capisco che stanno discutendo. Lei sembra molto agitata, gli urla contro standogli lontano, mentre la gente intorno a loro sulla strada, continua a fare la propria vita, ignari della loro litigata.

All'improvviso lui la attira a sé, e la bacia.

Vedo le sue mani chiuse a forza intorno alle sue braccia, e il corpo di lei irrigidirsi come un tronco d'albero.

Ma lei si ribella immediatamente, spingendo le mani sul suo petto, divincolandosi come una forsennata, ma invano.

Di colpo, lui si scosta e si tocca il labbro, sbraitandole contro, con uno sguardo arrabbiato e con il mento sporco di sangue. Anche lei gli urla qualcosa contro, con una rabbia pura che gli illumina gli occhi, per poi andarsene. Il video finisce.

Sono stato un coglione.

Non ho creduto a lei quando invece mi stava dicendo la verità, ed ora lei è stata rapita, perché non le ho creduto. Non le ho creduto.

E so anche perché, perché mi sono sentito tradito.

Mi sono visto cadere il mio futuro con lei, cadermi addosso come grandine e ho preso la via facile per non soffrire.

L'ho allontanata.

Sono scappato, come un codardo.

La mia mano sbatte contro alla scrivania, e il dolore per un attimo, mette in secondo piano il senso di colpa. Ma è troppo fugace.

Mi volto verso William, cercando di mantenere la collera e gli cedo il telefono.

«Mandalo a tutti i giornali, alla televisione a chi cazzo vuoi tu, ma tutti devono sapere la verità». Annuisce, per poi sparire.

Mi ero ripromesso di non prendere più a pugni quel pezzo di merda, ma ora che so quel che è successo, starà mesi in ospedale per riprendersi da quello che lo attende.

Una volta da solo nella mia camera, afferro il bigliettino nella mia tasca e lo apro, leggendo la grafia sottile del detective Vance.

Abbiamo una talpa, dobbiamo parlare in privato, stasera alle 21.00 al 230 Fifth, venga da solo.

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