Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

CAPITOLO 70

Sorprese sgradite 

Jennifer

Mentre cerco di evitare lo sguardo accusatorio di mia madre, cerco quello di Matt, che rispecchia proprio quello di qualcuno, che si è dimenticato un impegno.

«Scusatemi signori Miller mi sono completamente dimenticato della cena, e persino di dirlo a Jenny», ammette con voce dispiaciuta per poi guardarmi allarmato. Di certo non si aspettava di accogliere i miei genitori in questo stato. Una cena improvvisata dell'ultimo minuto, questo e molto altro succede in queste quattro mura. Dopotutto anch'io avevo omesso e dimenticato la cena con Gale.

«Stai tranquillo Matthew, non è successo nulla» risponde mio padre tenendosi con un bastone, mentre mio fratello e mia sorella ridacchiano per la situazione imbarazzante.

«Cosa diavolo avete fatto? Siete caduti in una pozzanghera?» chiede Aria sarcastica, mentre mia madre non nasconde il suo disdegno, mentre si guarda intorno.

Non sopporta il fatto che io viva in una villa lussuosa, e con tutto questo sfarzo. Lei crede nell'essere autonomi, e di lavorare per vivere, e non grazie a un'eredità o a un matrimonio, come nel mio caso.

Sono cresciuta con quei valori, e li capisco, ma non vuol dire che se una persona vive agiata sia per forza materialista e incurante del lavoro. Matt è un imprenditore di successo, e lo sarebbe stato anche senza l'eredità di Richard, questo è sicuro.

La ignoro e mi raccolgo i capelli con il solito elastico che porto al polso per limitare le gocce sul pavimento, che Joyce sta guardando con una certa ansia.

«Siamo usciti, ma il temporale ci è caduto addosso... non l'avevamo previsto», confesso, dopotutto è la verità.

«Scusatemi, ma vado a vestirmi», mormora Matt accanto a me. Mi volto verso l'uomo che ha parlato e lo guardo come se mi avesse accoltellato, non può piantarmi in asso sul campo di battaglia. Dannazione.

Cerco di afferragli il braccio ma lui schiva la mia presa, per poi lasciarmi un bacio sulla fronte, veloce e furtivo.

«Scusa», sussurra a bassa voce, prima di indietreggiare, per poi dirigersi a passo svelto verso la scala. Questa me la paga.

Faccio un sorriso forzato alla mia famiglia e sospiro rumorosamente, cercando un modo per rompere il ghiaccio, ma fortunatamente Joyce viene in mio aiuto.

«Signora Dallas la cena è quasi pronta, vuole che faccia accomodare la sua famiglia? Così anche lei può andare a cambiarsi», mormora con un sorriso caldo e sincero.

Ho già detto che amo questa donna?

«Certo Joyce, grazie», mormoro e fa segno alla mia famiglia di seguirla verso la sala da pranzo, e tutti lo fanno, tranne lei e mio padre.

Mi avvicino a lui e lo osservo con un dolce sorriso «ti vedo in forma» mormoro, mentre i miei occhi diventano lucidi, ma m'impongo di non piangere. Lo faccio da più di un anno e ormai ci dovrei essere abituata, eppure non è mai facile.

È come se ogni volta degli spilli mi si conficchino negli occhi, doloroso e pungente.

«Come sempre bambina» sussurra per poi allungare la mano per accarezzarmi la guancia.

«Tu sei luminosa, sembri felice e guarda che sorriso...» sussurra, mentre io appoggio la mia guancia sulla sua mano, perdendomi nel suo tocco caldo e sincero.

«Lo sono», sussurro così lievemente che è quasi impercettibile.

Mi madre con un cenno gli indica di raggiungere gli altri in sala e poi si avvicina, osservandomi attentamente e dopo essersi assicurata che tutti siano spariti dalla stanza, mi affronta.

«Ora ti fai chiamare signora Dallas? Tu non sei la figlia che ho cresciuto, perché lei non si sarebbe mai fatta chiamare così da un governante, anzi non c'è l'avrebbe nemmeno, perché sarebbe indipendente e con una dignità».

Da piccola temevo i confronti con mia madre, per me lei era la voce del giusto, la democratica che non si faceva mai mettere i piedi in testa e la donna che amava essere nata in una famiglia di contadini. Mi ricordo che facevo di tutto per non deluderla mai, anche se a volte non era mai abbastanza.

Ma ora guardandola vedo solo astio e diffidenza verso la mia vita, come quello che aveva quando doveva criticare qualcuno, che per lei era sbagliato.

Perciò prendo un bel respiro e la guardo dritta negli occhi, mentre chiudo le mani in due pugni, conficcando le unghie nei palmi.

«Devi smettila con questi giudizi, sono grande mamma, ho una vita, e non ho scelto di sposare un uomo ricco, mi sono innamorata di Matthew e non dei suoi soldi, quindi non puoi giudicarmi per questo, e non puoi venire in casa mia e disprezzarla, non lo posso accettare». Quante cazzate Jennifer... tutto è iniziato per i soldi.

Deglutisco e gli prendo la mano, mentre lei mi osserva sbalordita e con la bocca semiaperta, come se volesse dire qualcosa, ma senza riuscirci.

«Sei sempre mia madre, ma ora non sei tu a scegliere la mia vita...ammiro come sostieni e difendi i tuoi principi, ma mamma non sono anche i miei. Mi sono resa conto, forse troppo tardi che non sono costretta ad eguagliarti, tu hai fatto le tue scelte nella vita, permettimi ora di fare le mie, da sola...ora scusami ma devo andare a farmi una doccia».

Osservo il suo sguardo sbigottito di sfuggita, per poi correre verso le scale prima che possa dire altro.

Chiudo la porta alle mie spalle e sospiro di sollievo, chiudendo gli occhi per godermi l'attimo di pace.

«Tutto bene?» mi chiede una voce roca a pochi metri da me.

Apro gli occhi che immediatamente cadono sulla figura di Matt, intento ad allacciarsi una camicia.

«Tutto bene?! Mi hai lasciato da sola!» esclamo seria, ma lui ridacchia, non percependo il mio vero nervosismo.

«Sono la tua famiglia non la mia, e poi tua madre mi mette molta soggezione», ammette venendo verso di me, che ancora arrabbiata incrocio le braccia al petto e lo fulmino con lo sguardo.

«Scusami piccola ma per poco non sono stato scoperto dai tuoi genitori, mentre avevo le mani nei tuoi jeans ed ero pronto a fare l'amore contro quel muro».

Ha veramente detto quello che ha detto? Ha detto fare l'amore...

Lui non sembra nemmeno accorgersene, ma io sì.

Trattenendo un sorriso ebete, mi alzo in punta di piedi e lo bacio, però senza toccarlo, per non bagnarlo o sporcarlo con il mio corpo.

«Va bene, ma ora vai giù, devo farmi una doccia...è il tuo momento nell'arena», mormoro con una punta di sarcasmo.

Sorride, passandomi un dito sulle mie labbra umide dal bacio «sicura? mi piacerebbe molto restare, c'è qualcosa che non ho finito di fare», commenta, ed io scuoto la testa ridacchiando.

So che se insistesse, non ci metterebbe troppo a farmi cadere nella sua trappola.

«Te lo scordi, è stata una tua idea invitarli, ora prenditi le tue responsabilità», gli ordino, sistemandogli attentamente il colletto della camicia.

Sbuffa e mette il broncio, per poi afferrare la maniglia della porta rassegnato.

«A proposito, ma quando li hai invitati?» gli chiedo curiosa, e lui si volta facendomi un occhiolino. «La scorsa settimana, volevo farti una sorpresa, ma poi mi sono completamente dimenticato», quest'uomo continua a sorprendermi.

«Grazie», sussurro sincera e mi godo il suo sorriso, prima di vederlo uscire dalla stanza.

Nel giro di quindici minuti mi ritrovo già vestita e pronta, anche se con i capelli ancora umidi, raccolti in una crocchia abbastanza ordinata.

Prendo un bel respiro ed esco dalla camera, per poi scendere le scale molto lentamente.

Al piano di sotto, sento delle voci animate e calorose, stanno ridendo e con tono molto alto. Curiosa mi avvicino allo stipite della sala da pranzo, senza farmi notare, «...sì, e lei è caduta sul ghiaccio davanti a tutta la scuola» spiega Chad ridendo, guadagnandosi qualche risata e sorriso.

Ricordo benissimo quel giorno, perché sebbene avessi fatto una figuraccia davanti a tutti, Matthew era stato l'unico che mi aveva aiutato ad alzarmi e abbracciato, assicurandosi che io stessi bene. Perciò non lo reputo un brutto ricordo, ma la prima volta in cui il ragazzo che mi piaceva, mi aveva guardato negli occhi e si era preoccupato per me. Mentre mio fratello alle sue spalle rideva. Che stronzo.

Sorrido ed entro nella stanza osservandoli tutti, sono seduti nelle proprie sedie, e un'aria più leggera e serena, aleggia nella stanza.

Cosa che mi fa abbassare le difese che avevo eretto. Sono la mia famiglia. Eppure perché da quando sono entrata in casa ho questa sensazione, che c'è qualcosa che non va, come un brivido persistente alla base della nuca.

Mi avvicino a Matthew a capotavola, che mi guarda negli occhi e afferra la mia mano, lasciando un leggero bacio sul dorso. Sorrido senza riuscire a impedire alle mie guance di colorarsi di un rosso acceso.

Mi siedo accanto a lui, e non ignoro la sua mano, che cade sulla mia coscia scoperta, pronta a marcarmi con il suo calore. «Smettetela di sparlare di me», sussurro, con tono a dir poco minaccioso, facendo una smorfia.

«E che tu sei troppo divertente Jen o meglio la tua goffaggine», ribatte Aria, alzando un sopracciglio divertita.

Le faccio la linguaccia, mentre lei sogghigna, e anche se dovrei essere innervosita il suo sorriso mi scalda il cuore.

«Avete una casa splendida comunque» osserva mio padre, mentre mia madre alza gli occhi al cielo, ma resta in silenzio.

«Grazie papà, era dello zio di Matt, Richard, l'hai incontrato un paio di volte. Era qui che giocavamo a volte io Chad» sussurro per poi guardare Matthew che mi sorride dolcemente, con una punta di amarezza nello sguardo.

So che quella ferita è ancora grande nel suo petto e nulla potrà farla guarire del tutto, solo il tempo riuscirà ad alleviare il dolore.

«Hai ragione, e ricordi quei strepitosi biscotti alle mandorle che ci faceva per merenda?» domanda Chad perso in quel ricordo.

Come dimenticarli, ho provato pure a farli un pomeriggio, avevo trovato la ricetta scritta su un foglio stropicciato, in mezzo a un libro di cucina.

Volevo fare una sorpresa a Matt, ma invece di uscire morbidi e dolci, erano usciti duri come il marmo e con le mandorle bruciacchiate, dovrei farmi aiutare da Joyce, a lei di sicuro non uscirebbero così.

«Sì erano buonissimi», concordo, mentre Matt mi sorride timido.

Joyce entra nella sala e con leggiadria posa sul tavolo i piatti, con gli antipasti, e dopo averla ringraziata, si dilegua di nuovo in cucina.

«Come va il lavoro con l'azienda pubblicitaria?» mi chiede all'improvviso mia madre, e per poco non mi soffoco con le briciole del grissino. Non glielo ho detto, ed è stato assolutamente voluto.

Credeva di avermi trovato lei il lavoro presso la mia vecchia azienda, anche se mi ha solo inviato la foto dell'annuncio.

Quindi mi ha sempre detto che era un lavoro magnifico e perfetto per me, anche se non ha mai saputo cosa facessi esattamente, e non l'ho mai smentita. Sebbene odiassi quel lavoro, sebbene soffocassi l'ansia al petto e allo stomaco con una smorfia, sebbene me lo facessi andare bene, perché mio padre era malato e quella era la mia unica entrata.

«Non lavoro più alla Porter Corporation», sussurro, aspettando qualche secondo prima di alzare lo sguardo su di lei, che mi sta guardando con stupore, che in pochi attimi si trasforma in nervosismo.

Ma prima che possa parlare, concludo la mia frase «ora lavoro con Matthew, nella sua azienda», spiego senza dargli importanza e sperando che la sua ira, non esplodi proprio ora, davanti a tutti.
«Oh, non lo sapevo» mormora, deglutendo insieme allo stuzzichino, anche le sue parole acide, che di sicuro mi dirà appena sarà possibile e in un momento più consono.

Appunto mentale: per il prossimo mese, non restare vicino a lei in un luogo appartato e sicuramente non da sola.

Faccio per cambiare argomento, quando Aria mi anticipa, alleggerendo l'atmosfera.

«Jenny sai che il mese prossimo partirò per San Francisco? Sono stata scelta insieme ad altri miei tre compagni dopo un'attenta selezione, le mie foto resteranno in questa galleria per un'intera settimana, e qualcuno potrebbe anche comprarle!» mi confida tutta eccita, e mangiandosi qualche parola per la foga.

Sorrido e mi allungo verso di lei abbracciandola dolcemente.

Si merita questo e molto altro.

Tutti in famiglia abbiamo deciso di tenerla a disparte dalla malattia di mio padre, certo sa che è malato e cos'ha di preciso, ma non abbiamo voluto annegarla con i problemi delle tasse, dell'assicurazione e delle cure tagliate di netto.

Abbiamo voluto che si concentrasse sull'università e sulla sua passione e sono contenta che questo piano abbia funzionato.

Contenta di essermi presa anche il suo dolore, così da non intaccare la sua innocenza, la sua felicità e i suoi obbiettivi.

Anche questo che dovrebbe fare una sorella.

«Anch'io ho una notizia da darvi, ma non è felice come quella di Aria, e non so quanto vi piacerà», mormora Chad e tutti gli sguardi si voltano verso di lui.

Deglutisco mentre osservo il suo sguardo serio ma imbarazzato, forse ho capito.

«Ha chiamato West Point, devo iniziare gli anni servizio che devo allo stato, per gli anni di accademia, non posso più posticipare, il prossimo mese partirò, la meta ancora non la conosco».

La stanza cessa nel silenzio più assoluto, mentre quella rivelazione entra nei nostri cervelli pronta ad essere assimilata.

Eppure perché la trovo una cosa così difficile, anche se ho sempre saputo che sarebbe capitato?

Ricordo benissimo i quattro anni in cui mio fratello ha frequento USMA, l'accademia militare, o come la chiamano tutti West Point.

Per tutti era un grande onore che lui fosse entrato in questa prestigiosa accademia, in cui pochi candidati potevano accederci, e Chad si era impregnato così tanto.

Solo che potevo vederlo poche volte, sebbene fosse distante circa un'ora di strada dalla nostra abitazione. E ogni volta lo vedevo sempre più diverso, era diventato più robusto e secco, più forte, ma nei suoi occhi io vedevo una tristezza che ancora adesso ricordo.

E so anche che non poteva mollare, perché quella accademia ti forma, e non ti fa pagare gli anni di studio se dopo il conseguimento del diploma, presti servizio per almeno otto anni.

E stiamo parlando di molti soldi, circa 250mila dollari.

Poi una volta uscito l'anno chiamato per iniziare gli anni di servizio, ma nello stesso momento abbiamo scoperto la malattia di papà, ed è riuscito ad avere una proroga di un anno, che a quanto pare è finita.

«Otto anni?» domando, cercando di mandare giù una verità che non voglio accettare. Come potrei d'altronde, è mio fratello e ora servirà servizio da qualche parte nel mondo. Lui annuisce e solo il rumore della pioggia sulle finestre sembra riempiere quel silenzio assordante.

Finita la cena ci siamo spostati nel salotto, e sebbene l'aria sembri essere ancora pesante e carica di tristezza, il bourbon che sto sorseggiando sembra attenuare quella sensazione.

Matt accanto a me sul divano mi stringe a se con un braccio intorno alla vita e mi lascia un bacio sulla tempia, dolce e silenzioso.
«Vedrai che andrà tutto bene, non preoccuparti, di sicuro lo lasceranno a New York o in una contea qua vicino», cerca di consolarmi Matt, senza riuscirci. Mentre mio padre e Chad stanno parlando poco lontani, ed Aria parla frenetica con mia madre di qualcosa che non riesco ad apprendere, ma che probabilmente avrà a che fare con il suo viaggio imminente.

Qualcuno bussa contro la porta, attirando la nostra attenzione e quando mi volto trovo William sulla soglia della porta, come al solito serio e con un volto imperscrutabile.

«Scusatemi per l'interruzione, signora Dallas, c'è un pacco per lei, è arrivato oggi pomeriggio e mi hanno detto che è urgente», spiega venendo verso di me con una scatola, dal colore carta da zucchero, ma senza nessun logo sopra ad indicarmi la provenienza.

«Grazie» sussurro, guardando stranita la scatola che appoggio sulle mie gambe.

Senza aspettare, rimuovo il coperchio e sposto la carta velina per scoprire un vestito. Ma non uno qualunque, proprio quello che oggi avevo visto con Meghan e Tess, prima che Carrie ci interrompesse. Il vestito che mi coprirebbe a malapena le mutande.

Tocco le pietruzze e sorrido al pensiero che me l'abbia preso Tess per farmi uno scherzo, ma subito si spegne, appena noto una busta sotto l'abito. Per Jennifer.

Non è la grafia di Tess, questo è sicuro. Dopo aver compilato circa duecento bigliettini per il matrimonio di sua cugina, con lei che mi rinfacciava di avere la grafia di una scimmia, ho imparato a memoria la sua.

Ma se non è lei...

La apro evitando le domande di Matthew, e leggo le due semplici righe che mi fanno rabbrividire e congelare all'istante:

So che ti starà d'incanto.

P.S. Siamo bellissimi... non credi?

Rileggo l'ultima frase non capendo, finché non mi accorgo che dentro alla busta c'è anche una foto. La tiro fuori con mani tremanti e osservo l'unica cosa che volevo tenere nascosta per sempre.

Quel maledetto bacio con Jonathan. La nostra vicinanza, le sue labbra feroci sulle mie e le mie mani appoggiate contro al suo petto.

Che anche se in realtà lo stavo spingendo via, in questo attimo catturato, sembra che lo stia accarezzando.

Il mio corpo si immobilizza e perdo il respiro, mentre la mano di Matt afferra la foto dalle mie mani, attirandola a sé. Basta qualche attimo di elaborazione, prima di vederlo alzarsi, per poi uscire infuriato dalla stanza.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro