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CAPITOLO 68

Profumo di primavera

Matthew

«Così vado bene? Hai detto casual», chiede, la sua voce squillante alle mie spalle. Mi volto a guardarla e sorrido notando un berretto nero, una felpa grigia con il cappuccio dei New York Giants, abbinati a dei jeans scuri e a delle scarpe da ginnastica bianche.

Come fa ad essere sempre così bella? È come la luna di notte, se c'è, non puoi fare a meno di guardarla, perché luminosa e meravigliosa attira ogni sguardo, e ti incanta con la sua semplicità, come se fosse lì solo per farsi ammirare.

Anche lei mi sta osservando con il labbro inferiore chiuso fra i suoi denti, la mia piccola diavoletta.

Mi avvicino e gli scosto una ciocca di capelli che gli cade davanti alla faccia, dietro il suo orecchio.

«Manca solo un'ultima cosa, molto importante».

Dalla tasca dei pantaloni tiro fuori due paia di occhiali dalla montatura ad aviatore con le lenti scure e glieli metto, appoggiandoli poi sulla base del suo nasino.

E poi indosso l'altro paio identico, osservandola attraverso le lenti fredde e scure.

«Passeremo in incognito per tutta la giornata, come dei finti turisti», le confesso, facendola sorridere.

«Turisti signor Dallas? Mi sorprendi», mormora dolcemente per poi incrociare le braccia intorno al mio collo, e sollevandosi a punta di piedi, per potermi baciare dolcemente.

La colgo di sorpresa e la prendo in braccia, facendola urlare di sorpresa, ogni volta non se lo aspetta e ogni volta mi fa ridere.

«Andiamo», sussurro per poi portarla verso l'auto con in sottofondo le sue lamentele.

***

«Questo è anche troppo da turisti Matt», mormora divertita Jenny accanto a me. Scoppia a ridere e io l'accompagno.

«In realtà il piano era andare in bici, ma prima che ti slogassi la caviglia», commento facendola imbronciare.

«Matt lo sai che sto bene, andiamo in bici per favore, mi sentirei troppo in imbarazzo lì sopra», farfuglia lamentosa e con il suo broncio fin troppo irresistibile.

Scuoto la testa, mentre davanti a noi si impone una grande carrozza con dei cavalli.

«Non vuoi essere la mia principessa e salire su questa carrozza?» le chiedo e lei scuote la testa, per poi allungarsi per far scontrare i nostri nasi.

«Io non sono una principessina, io sono la tua regina, e non mi serve una carrozza per dimostrartelo, ho un compromesso, ma non so se ti piacerà», mormora ridendo e indicando un mezzo di trasporto che non avevo calcolato. Per poi trascinarmi verso il noleggiatore con entrambe le mani sul mio braccio. 

«Non lamentarti, l'hai voluto tu», mi urla Jenny alle mie spalle sollevando le braccia per godersi l'aria che aleggia tra gli alberi. Mi ha fatto noleggiare un risciò, e quindi sto pedalando da più di un'ora, con lei dietro che guarda incantata la bellezza che ci circonda. Ed è così bello sentirla ridere e vederla sorridere che non sento neanche la stanchezza del pedalare. Mi osservo intorno, attento schiavare ogni ostacolo che mi si pone davanti.

Il verde tenue delle prime foglie, dopo il lungo inverno, si alterna al verde intenso dell'edera che abbraccia i muri, in un intreccio silenzioso che si insinua ovunque.

Le piante accanto ai marciapiedi sembrano piegarsi con grazia verso i passanti, mentre le curve dei viali si incorniciano di chiome morbide che seguono il vento.

Lungo i ponti, tutto si fonde in un dipinto vivente, dove il rosa quasi magico e vivace dei ciliegi in fiore, rompe la monotonia del verde con esplosioni di colore.

Ovunque c'è gente: a piedi, sui pattini, in bici o sullo skateboard. Alcuni si fermano alle bancarelle, chini a cercare vecchie foto, dipinti dimenticati o dischi introvabili che sembrano custodire una promessa di storie passate.

Mentre profumi nell'aria sono inebrianti, un miscuglio di dolcezza floreale e sentori di cibo dei chioschi, che sembrano avvolgersi, invitando a respirare più profondamente, come per trattenere quell'istante perfetto un po' più a lungo.

«Mia regina siamo arrivati alla tappa seguente», la informo e fermandomi davanti a uno dei tanti punti di raccolta per consegnare il risciò, sparsi per tutto il parco. Ringrazio l'uomo e poi afferro la mano di Jenny, che guarda la zona del parco che ci ritroviamo davanti, completamente sorpresa. Quanto vorrei vedere quello sguardo felice ogni giorno.

«Allo zoo?!» domanda, aggrappandosi al mio braccio e stringendosi a me.

Rido e mi chino su di lei, lasciandole un dolce bacio sulle labbra, riuscendo ancora a sentire il dolce sapore e i granelli dello zucchero, del churros che si è mangiata poco fa.

«Non ci sono mai stato, e pensavo potesse essere carino», le confesso, anche perché ogni avventura, anche una semplice uscita con lei è migliore.

Lei annuisce e sorride, per poi saltellare facendo scontrare i nostri berretti, «andiamo!» urla per poi afferrarmi le mani per tirarmi verso l'entrata. Dove incontriamo l'iconico orologio con sotto degli animali di ferro che allo scoccare dell'ora si animano, girando in cerchio.

«Ti assomiglia», le dico, facendola voltare con un'occhiataccia verso di me. Sorrido e mi appoggio al parapetto guardandola di sottecchi, mentre lei incrocia le braccia al petto. Abbiamo girato tutto il parco, dividendo dei pop corn, ma ci siamo fermati di nuovo davanti all'entrata .

«Mi stai dando della foca?» chiede stupita e con foce acuta.

Mi mordo il labbro per non scoppiare a ridere e indico il fantastico animale a cento metri da noi.

«Guarda che occhioni, come i tuoi quando mi devi chiedere qualcosa, e quel nasino carino, proprio come il tuo...» commento cercando di confermare la mia tesi.

Con il suo bacino provoca una spinta contro di me, facendomi ondeggiare.

«Se io sono una foca, beh tu sei un ornitorinco!» mi accusa e questa volta scoppio a ridere senza controllo, ammorbidendo la sua faccia che era diventata troppo seria. Non gli si addice.

«Un ornitorinco? Mi stai dando di un animale, con le pinne, con il becco, e con il corpo da marmotta?» le chiedo sconcertato, facendole spuntare un sorriso, forse fin troppo malefico.

«Non la devi vedere così, è un animale unico, quasi mitologico come te. Poi hanno scoperto che è un esemplare molto possessivo e il maschio può pure avvelenare, per proteggere il proprio territorio, non ci vedi qualche somiglianza», mi spiega, un ghigno beffardo sul volto.

Mi sollevo dalla ringhiera e mi chino su di lei facendo scontrare i nostri nasi.

«Quindi mi dai dell'esemplare raro e quasi mitologico, lo prenderò come una cosa positiva», replico a pochi centimetri dalle sue labbra, che mi chiamano come un canto della sirene, ed io sono il solito povero marinaio, che non riesco mai a resistergli.

«Hai capito solo questo sei il solito...» non la lascio finire e la bacio, stringendola dolcemente fra le mie braccia. E riesco a sentire il suo corpo ammorbidirsi e sciogliersi come sabbia tra le mie mani.

«Andiamo piccola foca, abbiamo un appuntamento al Conversatory Garden, c'è qualcosa che devi vedere» le confesso per poi portarla verso l'uscita, senza prima prendergli un peluche a forma di foca, sotto al suo sguardo esasperato.

Capitolo piccolo, ma farò il possibile per far uscire il prossimo entro pochi giorni. Grazie per tutto il sostegno che mi date. 

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