CAPITOLO 57
Ottimi metodi di persuasione
Jennifer
Se qualcuno più di cinque mesi fa mi avesse detto che avrei sposato Matthew Dallas, che ci avrei passato insieme ogni singolo giorno, che mi sarei innamorata di lui e che con il suo aiuto avrei sconfitto una delle mie più grandi paure, credo che lo avrei accompagnato all'ospedale psichiatrico più vicino, per fargli curare le sue allucinazioni.
Invece eccomi qui.
Siamo tornati da due settimane dal Maryland, piccola vacanza, che la sua presenza l'ha resa spettacolare. Cosa che non mi sarai aspettata, e invece abbiamo passeggiato molto, parlato molto, non so come è riuscito anche a portarmi anche su una ruota panoramica ad Ocean City.
E poi abbiamo navigato su un peschereccio, posto in cui non avrei mai creduto di vedere Matthew. Invece mi ha fatto conoscere Tedric, un vecchio amico di suo zio, che ci ha fatto mangiare del pesce fresco, cotto alla piastra, raccontandoci di aneddoti, forse un po' romanzati, della sua vita passata nell'oceano.
E poi sono riuscita a riprendere l'aereo di ritorno, e questa volta è stata molto più difficile la partenza e credo di aver provocato dei danni permanenti alla mano di Matt.
Però ce l'ho fatta, ed è assurdo per me, ancora non ci credo. È un gigantesco passo avanti.
Quando l'ho raccontato a Tess ha detto che dobbiamo festeggiare e poi mi ha chiesto i soldi per il volo mancato per il Vermont, ha detto che tanto ora sono sposata con un milionario, posso permettermelo. La solita Tess.
Spengo il computer per poi afferrare la mia borsa, sto per uscire per andare da Matt, quando il mio cellulare squilla nella borsa.
E dopo un minuto buono a cercarlo tra vecchi scontrini e cianfrusaglie varie, che penso sempre che possano servire, invece non servono mai, finalmente lo afferro.
Sbuffo pensando che sia di nuovo Tess, pronta a ricavare qualche altro particolare piccante della storia tra me e Matt.
Ma quando vedo il nome di Aria, mi sorprendo e il mio umore sale.
«Ehi sorellina», la saluto, appoggiandomi contro la scrivania, pronta ad ascoltarla.
«Ciao sorellona, noto dal tuo tono che sei felice, non sarà l'effetto che ti provoca quella scultura marmorea di tuo marito, giusto?», domanda curiosa e maliziosa, la sua dolce voce. Fin troppo innocente per i suoi pensieri.
«Aria!» la riprendo, senza smettere di sorridere e trattenendo una risata.
«Che c'è? Come se non fosse la verità», borbotta sfrontata.
«Ascolta, ti ricordi che domani mamma e papà, festeggiano i venticinque anni di matrimonio, vero?».
La domanda mi manda nel panico. Come quando salti un gradino delle scale senza accorgertene, e rimani interdetta per qualche attimo, meravigliandoti di essere tutta in piedi, senza esserti rotta nulla, e con il cuore in gola.
Perché sono così smemorata ultimamente?
Mia madre, mi ha avvisato una settimana fa, ripetendomelo diverse volte, ma la mia mente era così impegnata a pensare alla mia vita privata, che ho tralasciato la loro festa. Cosa inaccettabile da parte mia, visto che probabilmente non ci ha ancora perdonato per aver saltato una cena domenicale.
Con non calanche deglutisco e gli rispondo, cercando si non far trapelare la preoccupazione.
«Certo che me lo ricordo» sussurro, mentre inizio a pensare ai vari modi per convincere Matt.
Come se lei mi leggesse nella mente, mi domanda di lui «viene anche Matthew? O il tuo maritino è troppo impegnato?» chiede con nota sarcastica, e sentendomi già una stupida per essermi dimenticata tutto, gli rispondo con una bugia.
«Certo che ci sarà, ma ora ti devo lasciare» ci salutiamo, e riaggancio, per poi appoggiarmi alla scrivania.
Matt odierà l'idea, già dal principio mi aveva avvisato sulle feste, sul fatto che le odiava, che non sopportava stare tra tanta gente, ma posso riuscire a convincerlo, sarà soltanto per qualche ora dopotutto.
Con passo deciso esco dal mio ufficio e raggiungo la porta di Matt, sto per abbassare la maniglia, quando una voce stridula me lo impedisce.
«Il signor Dallas non c'è» mi avvisa la receptionist del piano.
Mi volto e osservo la donna con un sorriso finto stampato sulla bocca, so benissimo di non essergli stata simpatica fin dal principio, ma devo dire che la cosa è reciproca.
«È già andato in pausa pranzo?» chiedo, per poi controllare il telefono privo di notifiche.
«No, è in riunione con gli altri dirigenti» mi informa, nel mentre graffetta dei fogli con fin troppa rabbia, non vorrei essere in quei poveri fogli. Forse mentre li pinza sta proprio pensando a me, effettivamente il suo sguardo omicida, non smette di puntarmi.
«Può aspettarlo qui se vuole, tornerà a momenti» sussurra, guardandomi altezzosa, per poi muovere in modo ritmico e fastidioso, le sue unghie smaltate di rosso sulla scrivania nera.
«Lo aspetterò in ufficio» la informo e lei mi guarda indignata dalla mia affermazione, come se non si aspettasse una mia risposta così impavida.
«Non vuole nessuno nel suo ufficio, quando non è presente», ormai stufa di questa conversazione, abbasso la maniglia ancora nella mia mano e le sorrido malefica.
«Sono sua moglie, non penso proprio che si arrabbierà, mi prendo la responsabilità» gli rispondo con superiorità, per poi chiudergli la porta in faccia, senza prima restituirgli il suo falso sorriso.
Una volta dentro, sospiro profondamente e butto la borsa sul divano, per poi farmi strada verso la poltrona in pelle nera, mi siedo comodamente per poi girarmi verso le vetrate.
Lampi di quella sera qui dentro, invadono la mia mente, il vetro, i miei gemiti, le sue spinte. L'idea che chi ha pulito le vetrate abbia trovato delle strani aloni, oltre a delle impronte delle mani, mi riempie d'imbarazzo. Non voglio nemmeno immaginare a cosa ha pensato, ma molto probabilmente si avvicina alla realtà.
E da quella sera, ogni volta che entro qui non posso non pensare a quello che è successo. Come potrei d'altronde.
Osservo per qualche istante la città, con i suoi palazzi, le automobili che sfrecciano nel traffico di Manhattan e infine il cielo completamente nuvoloso sopra di me.
Mi tolgo la giacca bianca e guardo il mio semplice vestito bianco, con decorazioni in pizzo nero, e mi abbandono contro lo schienale, portando i miei capelli dietro alla schiena.
Mi mordo il labbro, mentre varie immagini mi occupano la mente e il cuore inizia a battere più frenetico.
Quattro mesi fa, mi sarei data della pazza pervertita, dopo aver pensato cose del genere, ma ora l'idea mi sembra così normale, che se ora fosse qui, lo pregherei di farmi mia.
Come se lo avessi chiamato, la porta si apre e il cuore mi salta in gola. Mi volto e appoggio i tacchi sulla sua scrivania, di fianco ai suoi documenti, accavallando una gamba sopra l'altra.
La figura di Matthew entra nel mio campo visivo e mi preparo a sedurlo, ma quando vedo un'altra figura alle sue spalle, mi prende il panico, e faccio per rimettermi seduta in un modo decente e professionale, anche se ormai è troppo tardi, mi hanno vista. Anche se il mio imbarazzo si attenua, appena lo sguardo di Matthew cade su di me.
La sorpresa si fa spazio sul suo viso, per poi trasformarsi in pura malizia. Gli sorrido di rimando mordendomi un labbro, fino a quando non vedo il viso dell'altro uomo, alle sue spalle. Jhonathan Dallas.
Il suo sguardo cade su di me, mentre Matt si avvicina guardandomi come se fossi la sua preda. Ancora scomposta mi rimetto a posto, tirando il vestito giù il più possibile.
«Jenny, che ci fai qui?» mi chiede, per poi chinarsi a posarmi un casto bacio sulle labbra.
«Ti stavo aspettando» sussurro, per poi spostare lo sguardo sull'uomo ancora sulla soglia che attento mi osserva, mettendomi i brividi.
«Jhonathan, ne parliamo domani» mormora, con tono autoritario Matthew, senza nemmeno guardarlo in faccia. Osservo il viso del cugino irrigidirsi, per poi alzare gli occhi al cielo «certo», sussurra, avvicinandosi alla porta.
«È stato un piacere rivederla signora Dallas» commenta, incrociando il suo sguardo con il mio, e facendo irrigidire il corpo di Matt, che subito gli lancia un'occhiataccia gelida.
«Credo di non poter dire lo stesso», borbotto, per poi vederlo uscire dalla stanza, sbattendo la porta. Il sorriso orgoglioso di Matt mi fa ridere, ma subito l'atmosfera cambia, quando lui si mette davanti a me accarezzandomi la guancia, per poi scendere con la mano lungo al mio decolté, infilandosi dentro al mio reggiseno.
«È eccitante vederti seduta sulla mia poltrona» sussurra, facendomi rabbrividire. In risposta, le mie mani percorrono il tessuto in pelle nera, sotto il suo sguardo, per poi passare su quello dei suoi pantaloni.
«Ah sì? Vorrei proprio sapere che pensieri sporchi e impuri, gli passano per la mente in questo momento, signor Dallas» il suo sorriso si allarga e i suoi occhi mi fissano ancora più intensi e lussuriosi.
«Vuole veramente saperlo signora Dallas? Sono pensieri molto carnali e peccaminosi, la potrebbero spaventare» sorrido per poi passarmi la lingua sulle labbra, come invito a farmele baciare. «Ne dubito, vorrei proprio sapere cosa mi farebbe in questa stanza, su questa scrivania...» mi alzo in piedi e accarezzo la superficie liscia e scura «vorrei sapere che pensieri perversi gli passano per la mente, quando è qui, solo soletto...» in poche mosse mi prende da sotto le cosce e mi posa sulla superficie infilandosi tra le mie gambe.
«Sta giocando con il fuoco signora Dallas...» mi allungo e gli bacio il collo, per poi avvicinarmi al suo orecchio «fammi vedere che cosa sai fare...in modo tale che ogni volta che sarai qui a lavorare, non potrai non pensare a come mi hai presa e fatta tua in questa stanza».
In risposta un gemito roco, esce dalla sua gola e il suo corpo freme fra le mie gambe. «Dimentichi che già non smetto, soprattutto dopo quella sera», mormora e si china su di me e la sua bocca calda e possessiva prende il possesso della mia, mentre le sue mani si insinuano sotto al vestito.
Una intenta ad abbassarmi le spalline per liberare il mio seno e l'altra fra le mie gambe, a sfiorare la pelle vicino alla mia intimità che pulsa. «Sei venuta qui per questo, vero?» chiede, sulle mie labbra e finalmente le sue dita si insinuano sotto le mie mutandine, sfiorando il clitoride con delicatezza, facendomi gemere contro alla stoffa della sua giacca, per poi insinuarsi tra le mie labbra bagnate. Mugolo di piacere e chiudo gli occhi, spostando la testa indietro, inarcando il bacino verso le sue dita, cercando di sentire più piacere.
«Rispondimi» ordina in un sussurro al mio orecchio, e fermandosi all'istante con la sua dolce tortura. Apro gli occhi e incontro i suoi «sì, sono venuta per questo» farfuglio, ancora febbricitante dal suo tocco.
Lui sorride soddisfatto per poi aumentare il tocco sul mio punto magico, facendomi mordere il labbro per non urlare.
«Ti dovrai accontentare solo di queste oggi» lo guardo scontenta e lui subito mi bacia, mentre un altro urlo mi coglie alla sprovvista «oh piccola stai tranquilla, non te ne pentirai». Tira fuori il seno dalla scollatura e la sua bocca cade su un mio capezzolo portandomi al limite del piacere.
Dopo diversi minuti mi ritrovo fra le sue braccia, seduti sulla sua poltrona, rivolta verso il panorama. La sua mano mi accarezza i capelli sciolti, mentre le mia gli accarezza il petto coperto dalla camicia. Ancora stordita dall'orgasmo, scivolo via dalle sue gambe e mi inginocchio davanti a lui, per poi afferrargli l'apertura dei pantaloni, facendo passare il bottone attraverso l'asola, per poi far scendere la cerniera.
«Jenny» mi richiama lui divertito, ma osservando ogni mia mossa senza frenarmi «cosa stai facendo? Ho un pranzo di lavoro...tra quindici minuti» mi avverte, mentre con decisione tiro giù le mutande, liberando il suo pene già duro e pronto per me. «Davvero non lo immagini?» sussurro, per poi accarezzare la sua erezione con la punta delle dita. Con delicatezza lecco la base per poi arrivare fino alla cappella godendomi ogni suo brivido, ogni suo gemito roco, ogni suo sguardo.
«Oddio piccola, così mi fai impazzire» bisbiglia, per poi scompigliarmi i capelli, con una presa leggera sulla nuca. «Hai ragione, ogni volta che sarò qui...penserò solo a te...» farfuglia tra i gemiti «ai tuoi gemiti...alla tua bocca...e a questo» ammette, ormai al limite del piacere, per poi, poco dopo, lasciarsi andare in un orgasmo nella mia bocca.
***
«Ricordarmi, perché ho accettato di venire?» lo osservo, mentre scende dalla macchina fissando impaurito la casa di mia zia, con delle risate gioiose, in sottofondo, che provengono dal grande giardino.
Ridendo, gli prendo il braccio e mi alzo in punta di piedi, lasciandogli un bacio sulla guancia.
«Perché ho ottimi metodi di persuasione» sussurro divertita.
Lui mi attira a sé, facendo sbattere i nostri corpi e guardandomi minaccioso «credo che tu abbia ragione, ormai sono troppo invaghito del tuo corpo, e rispondo a tutto di sì».
I suoi occhi mi fissano, incandescenti, mentre il mio corpo, freme appena incontra il suo. Come se ogni cellula del mio corpo, fosse infatuata da lui e dalle sensazioni che mi fa provare, pronta a implodere solo al suo tocco.
«Soprattutto dopo quello che mi hai fatto in ufficio, fra le mie gambe...». Lo guardo divertita e gli metto un dito sulla bocca «non so proprio di cosa stai parlando», socchiude gli occhi ad una fessura, e mi lascia un pizzicotto sul sedere, facendomi sobbalzare.
«Oh sì che lo sai, piccola tentatrice» rido, per poi farmi baciare dalla sua bocca. «Non sapevo di avere questo potere su di te...ma ora che lo so...» lui scuote la testa e mi lascia un altro pizzicotto, facendomi saltare ancora in aria.
«Non abusarne» sussurra incisivo al mio orecchio, con un pizzico di serietà nel tono. Colta dalle sue parole, sollevo la mano e gli accarezzo dolcemente il viso, graffiandomi con la sua barba, e mi appoggio ancora di più contro al suo corpo.
«Se devo essere sincera, anche tu hai del potere su di me» mi guarda curioso e io sorrido ebete.
«Dopotutto mi hai convinto a sposarti».
Scoppia a ridere, per poi sbattermi contro la colonna del portico, appoggiando le mani sopra al mio sedere, coperto da un vestito rosso fuoco.
«Vuoi dire, che ti ho convinto a sposarmi con il mio fascino e il mio carisma?» chiede ironico, ma io scuoto la testa.
«No, credo che mi abbia convinto il tuo sedere sexy, e l'idea di poterlo vedere ogni giorno» rispondo sinceramente. Lui mi guarda per qualche secondo, interdetto dalla mia risposta, per poi scoppiare a ridere, facendo ridere anche me.
«Sei veramente incredibile», commenta e in risposta lo bacio, e mi aggrappo a lui, passando le mani fra i suoi capelli.
Ma improvvisamente si stacca da me quel tanto per guardarmi in faccia, «quasi dimenticavo».
Lo guardo incuriosita, mentre vedo che cerca qualcosa nella sua giacca, per poi tirare fuori una scatoletta di velluto nero.
Il mio cuore si ferma, e le mie mani iniziano a tremare. Cosa vuole fare?
«Jenny respira» sussurra, per poi alzarmi il viso, facendomi incontrare i suoi occhi, che stanno brillando proprio come smeraldi. Respiro, cercando di riottenere un contegno. Infondo sei già sposata con lui.
Ancora persa nei pensieri, non mi accorgo della sua vicinanza, finché non sento le sue labbra, posarsi sulle mie, riportandomi alla realtà. Sentendomi ricambiare si stacca, lasciandomi un dolce bacio sul naso «ora che ho di nuovo la tua attenzione», sussurra divertito, per poi rimostrarmi la piccola scatoletta, che tanto mi ha turbato.
«So che ne abbiamo scelto già uno, in modo frettoloso tempo fa» farfuglia grattandosi imbarazzato la nuca, mentre io continuo a non capire.
«Ma l'ho visto l'altro giorno e ho pensato a te» finalmente apre la scatoletta nera, mostrandomi un anello. Ma non uno qualsiasi.
Un diamante nero a forma di punta di lancia, domina l'anello. Il nero del diamante quasi mi sconvolge, soprattutto quando vedo delle leggere venature blu, che mi fanno immaginare alla notte stellata. Quasi come quella del mio quadro.
La notte incatenata in un diamante. La pietra è imprigionata ad una fascia in argento, che è intrecciata, come un abbraccio, quasi infinito. Infine due diamanti bianchi, costeggiano i lati del diamante nero.
Il bene e il male. Ecco a cosa mi fa pensare quest'anello. Che in ogni persona ci sarà sempre una parte oscura, non per forza maligna, ma in ogni caso avrà sempre anche una parte buona a cui aggrapparsi.
«Matt...» sussurro incapace di parlare e trattenendo a stento le lacrime.
Lui mi osserva, passandosi una mano fra i capelli imbarazzato «se non ti piace, posso restituirlo...e puoi sceglierlo tu», obbietta insicuro.
Sollevo lo sguardo, e afferrandogli il viso lo osservo mentre sbatto le palpebre cercando di non piangere.
«Matt è fantastico». Mi alzo in punta di piedi lasciandogli un casto bacio «davvero, è perfetto», sussurro sulle sue labbra. Sorride e appoggia la fronte contro alla mia, sospirando dolcemente, come se tutti i suoi dubbi si fossero smaterializzati in atomi di anidride carbonica.
«Mi fa pensare a noi» mormora, senza però approfondire quel pensiero profondo.
Lo guardo in attesa, ma lui mi ignora e afferra la mano sinistra, togliendo delicatamente la fede, che da quel fatidico giorno, non ho mai tolto.
Afferra l'anello, inserendolo lentamente nel mio anulare, per poi rimettere la fede, facendo sparire, il solitario che mi ha accompagnato in questi mesi, nella sua tasca. Ricordo che quel giorno, mi ha chiesto quale volessi e ce n'erano così tanti, che ovviamente sono andata nel panico, scegliendo il più basico possibile. In quel momento l'unica cosa che volevo fare era ritornare nell'appartamento di Tess e chiudermi in camere.
Osserva per qualche secondo la mia mano, per poi portarsela alle labbra, in un dolce bacio. Senza riuscire a controllarmi, incrocio le braccia intorno al suo collo, per poi baciarlo con trasporto.
Lui ricambia e mi solleva, facendomi incrociare le gambe dietro di lui, accarezzando la pelle scoperta dallo spacco del vestito. Mi riappoggia contro la colonna, e gemo a sentire la sua erezione contro alla mia intimità.
«JENNIFER MILLER!» la voce di mia madre mi risveglia dal mio stato di estasi, all'istante. Ci giriamo a guardarla, è davanti alla porta di ingresso, con un completo bianco e con lo sguardo serio quanto imbarazzato.
«Mio dio, cosa state facendo qui fuori?! Ho capito che siete dei neo-sposini, ma non potete dare spettacolo qui fuori! Ci sono dei bambini dentro!».
Ci guardiamo per qualche secondo, trattenendo a stento, le nostre risate, mentre scendo da Matthew e mi sistemo il vestito.
«Hai ragione mamma, è un comportamento molto sbagliato, scusaci» sussurro dandole corda, per poi abbracciarla.
«Auguri» sussurro, mentre Matt ci affianca e gli porge un pacchetto, con l'unica cosa che ieri sono riuscita a comprare, ossia una bottiglia di vino, ma almeno molto costosa.
«Auguri signora Miller» sussurra, mentre mia madre lo squadra, prima di accettare il pacchetto con un sorriso, baciandogli le guance.
Credo che ancora non gli piaccia del tutto, anche perché lui rappresenta tutto quello che è contro ai suoi principi morali, ma almeno ci prova.
«Grazie Matthew, ora forza venite dentro e comportatevi bene!» sentenzia seria e concisa, per poi sparire dentro la casa.
Una volta assicurati che si sia allontanata, scoppiamo a ridere insieme, per poi guardarci complici.
«Ora ho capito da chi hai preso il tuo sarcasmo» gli lancio un'occhiataccia, e non faccio in tempo a protestare, che lui mi prende per mano, per poi incrociare il suo sguardo con il mio. «Sto scherzando, ma comunque questa giornata ti costerà cara piccola mia» sorrido ebete e gli do una spinta leggera con il bacino.
«Non vedo l'ora di pagare i miei debiti», ammetto e lui si morde il labbro, per poi scuotere la testa, mentre io lo trascino dentro la casa.
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