CAPITOLO 54
Un’altra famiglia
Matthew
«Come sto?» la voce di Jennifer proveniente dal bagno, mi fa improvvisamente voltare verso la sua direzione. Ha i capelli raccolti in una coda alta, tranne per un ciuffo che gli scende verso destra, coprendogli una parte del viso. Un vestito lungo e beige gli ricopre il corpo, con uno spacco sulla sinistra, fino ai tacchi neri, che gli slanciano il corpo. Chiudi la bocca, pesce lesso.
Lei mi sorride colta dal mio silenzio e si avvicina mettendomi le mani intorno al collo.
«Ti lascio senza parole signor Dallas?» chiede con un ghignetto malefico sul suo viso fin troppo angelico.
Deglutisco e appoggio la fronte contro la sua, lasciandogli un bacino sul naso.
«Sempre», farfuglio donandogli la mia verità.
Lei sorride e un rossore d’imbarazzo gli imporpora le guance, rendendola se possibile ancora più bella.
«Sono un po’ nervosa, se non le piaccio?» chiede e distrattamente si morde il labbro inferiore. Gli lascio un buffetto sulla guancia e il suo naso fa una strana smorfia.
«Ti preoccupi di questo Jenny? Tu le piacerai sicuramente, ti adora già e nemmeno ti conosce», commento, cosa verissima d’altronde.
Anche se gli ho accennato solo qualche aneddoto su di lei, i suoi occhi brillavano di orgoglio, mentre parlavo, dicendomi di essere contenta per me, e della mia “felicità”.
E io sono talmente egoista che manterrò questa finzione per lei. Non voglio creargli ulteriori pensieri, voglio che ogni attimo d’ora in poi sia tranquillo e appagante per lei. Ha già sofferto abbastanza.
E poi non sono così sprovveduto da non sapere che Jennifer se ne andrà alla fine dell’anno. E io la lascerò andare. Anche se dovesse costarmi più di un cuore spezzato.
Tic Tac il tempo passa.
«Piuttosto dovresti preoccuparti di me, che tra meno di un minuto ti butterò su quel letto e ti farò gridare».
Lei sussulta e il suo rossore aumenta, anche sul collo, facendomi notare quanto la influenzi. E cazzo se questa cosa mi fa eccitare. Peggio dei preliminari.
«Allora sarà meglio scappare» sussurra, e in un attimo si scioglie dal mio abbraccio e fila fuori dalla porta, prima che possa trattenerla.
«Jennifer, pessima mossa, sai che ti troverò».
Un urlo di gioia dopata con l’adrenalina, arriva dalle scale e io lo seguo, come se fosse il mio unico obiettivo nella vita. Come se lei fosse la preda e il fottuto cacciatore.
Eppure perché mi sento con ruoli invertiti.
Ormai mi ha preso, sono nella sua tela, ogni mio pensiero è suo, il mio corpo è suo e ho paura che anche il mio cuore presto sarà suo.
La trovo in salotto, vicino alla nostra poltrona, o almeno l’ho sentita lei chiamarla così un giorno. Effettivamente è un gioco della sedia continuo, io la occupo, ma appena mi alzo, eccola lì spaparanzata a leggere un nuovo libro. In una guerra continua.
«Time-out, visto l’orario proporrei di rinviare questo genere di attività al nostro ritorno» sussurra lei, guardandomi altezzosa.
Cazzo quando fa la maestrina è irresistibile, vorrei quasi farmi mettere in punizione. Basta che la punizione comprenda mettermi in ginocchio davanti a lei, e leccare quel Nirvana che si ritrova tra le gambe.
«Oh sarò ben lieto di continuare dopo», sussurro e mi avvicino lentamente, senza staccare gli occhi dai suoi.
«Sempre se mi prendi», farfuglia e poi eccolo quel luccichio di sfida nei suoi occhi. E non la smette mai, anche perché alla fine vinciamo insieme. Oppure perdiamo?
«Lumachina, ti ho già preso, è una partita persa in partenza».
Lei avanza di un passo, annullando la poca distanza che ci separava e arriva a pochi millimetri dalle mie labbra, sfiorandomi con il suo respiro.
«Vedremo».
***
Apro la porta della sua stanza, e non tardo a trovarla. E sul divanetto davanti al piccolo balcone che dà un’ottima vista sull’Hudson in lontananza. E sta facendo l’uncinetto.
Gli hanno detto che è un ottimo modo per tenere la testa impegnata, e anche se ha un pessimo talento, lei ci prova.
Si alza appena ci nota e lancia tutto sul divano, sparpagliando i fili dappertutto e un gomitolo rotola fino alla finestra ribalzando.
«Matty, che bello vederti» mormora dolcemente per poi attirarmi nel suo fragile abbraccio. Ricambio, lasciando la mano di Jennifer che come per darci un momento, indietreggia di un passo.
«Come stai mamma?» le chiedo e lei sembra rilassarsi nella mia stretta.
«Bene Matty», farfuglia per poi allontanarsi, come se non volesse affrontare l’argomento. «Ma ora presentami questa bellezza», sussurra, indicando Jennifer che in un completo stato d’imbarazzo, si ritrova a guardarci con in mano un vaso di petunie rosa.
Quando ha scoperto che c’era un balcone aveva deciso di andare da un fiorista e prendere questa piantina, che poi ha messo in un vaso più grande decorato da disegni dorati.
Ci ha impiegato un’ora buona, mentre io la spiavo dalla cucina.
«Salve signora sono Jennifer, ho pensato di portarle questi fiori, sono poco impegnativi e staranno benissimo sul balcone», sussurra lei, e il sorriso di mia madre si allarga.
«Sono bellissimi grazie mille cara. Però chiamami Elisabeth per favore».
Le ore passano e il vociare nella stanza aumenta, insieme alle risate. Jennifer e mia madre parlano senza interruzioni e la cosa è bella quanto interessante. È incredibile come siano così affine e pettegole, dopo nemmeno un giorno che si conoscono.
Io resto in disparte, a guardare e ad ascoltarle con interesse, senza però interrompere, per paura di far scoppiare la bolla.
Da quando siamo entrati l’aria sembra essersi fatta più calda e leggera, come una leggera brezza estiva e so che tutto questo è merito di Jennifer.
«Sì, le allergie sono terribili, una volta la mia migliore amica, mentre eravamo in spiaggia, ha scoperto di essere allergica a delle strane alghe, abbiamo passato il weekend in ospedale», sussurra con tono ancora sconvolto Jennifer.
Da quando sono passate a parlare delle repliche di Friends che fanno ogni giorno in TV, ripromettendosi di guardarle a distanza, a questo?
Forse perché sei troppo concentrato sulle gambe di Jennifer…
Effettivamente. Sono accavallate una sull'altra, con lo spacco che apre la vista sulla sua coscia morbida e liscia, per non parlare della gamba che oscilla leggermente, facendomi spostare lo sguardo sul suo piede racchiuso in una Louboutin dalla suola rossa che gli ho regalato l'altro giorno. Regalo azzeccato alla perfezione.
E dopo una lunga persuasione per fargliele accettare, l’ho fatta sedere sul bordo del lavandino in camera nostra e gliele ho infilate lentamente, come se fosse la mia cenerentola. L'unica e sola.
E poi l'ho spogliata e l'ho fatta mia contro quel lavabo, con solo quelle addosso.
«Anche Matt da bambino soffriva di brutte asme, ormai l’aria e il mondo non è più come un tempo».
Ecco una corda stonata in questo quadretto, che fa infrangere tutte quelle fantasie troppo sconce, come un martello contro uno specchio
Non era asma, ma non gliel'ho mai rivelato, solo mio padre era venuto a saperlo dal dottore. Cosa che gli aveva dato un'ulteriore prova di quanto fossi un fallito ai suoi occhi.
Di quanto non contassi nulla per lui, e di quanto potesse schiacciarmi sotto alla sua suola, ogni volta che voleva.
Jennifer volta lo sguardo su di me, con un dolce sorriso, pronta a dire qualcosa, ma si blocca a vedere il mio sguardo, e la sua espressione cambia.
Da quando sono un libro aperto per lei?
Cerco di assumere di nuovo la mia maschera, ma lei sembra vedermi lo stesso, cosa che mi destabilizza e non poco.
È come se mi guardasse dentro, senza che io possa nascondergli nulla, dandogli il potere di distruggermi, proprio come ha fatto mio padre. Stringo i pugni, pronto a riceve un suo sguardo di pena o di disprezzo. Ma lei mi sorride.
Quel sorriso che mi concede ogni volta che la chiamo, ogni volta che aspetta che mi sveglio, ogni volta che la trovo a guardarmi. Quel sorriso che mi fa precipitare e poi tornare in cima come un Bungee jumping, infinito. E io non ho paura, anzi, non vedo l'ora di buttarmi di nuovo.
Faccio un sospiro profondo e rispondo al suo sorriso, trattenendo il mio bisogno di averla tra le braccia e di affogare nel suo profumo.
«Che ne dite di un caffè?» chiede alzandosi in piedi e voltandosi verso mia madre.
«Oh no grazie cara, tra poco arriverà il mio cocktail di medicinali, meglio evitare la caffeina» spiega mia madre, tirando fuori un tono caldo e sincero, in contrasto con le sue parole.
Ma no, non posso pensarci ora, più tardi potrò sentirmi in colpa, quando Jennifer si addormenterà, ma non ora.
«Tu?» mi chiede e non posso ignorare il luccichio nei suoi occhi. La mia donna magica.
«Sí grazie Jenny», farfuglio dolcemente, allungando la mano per lasciargli una dolce carezza sul braccio.
Appena esce mia madre mi invita a sedermi vicino a lei, al posto di Jennifer, facendo battere la mano sulla stoffa verde del divano. L'accontento e mi siedo vicino a lei attirandola in un abbraccio.
«È fantastica Matty, non pensavo, mi aspettavo completamente un'altra persona, ma lei mi piace davvero», commenta con tono dolce appoggiando una mano sul mio petto, e con la testa sulla mia spalla.
Sorrido ma qualcosa dentro di me s’incrina. Esatto è troppo perfetta, troppo per me, troppo speciale per farsi rovinare da me. E tra meno di un anno lei sparirà.
«Sono contenta e felice che hai trovato qualcuno che ti starà accanto e che ti proteggerà, anche quando io non ci sarò».
Altra martellata, che mi riduce completamente in polvere, spargendo parti di me ovunque.
Lei lo sa, io lo so. Ma questo non vuol dire che fa meno male, soprattutto detto a voce alta.
«Mamma…» sussurro ma lei mi ferma.
«Matty ne abbiamo parlato per giorni, succederà, probabilmente prima di quanto possiamo sperare, ma ora sono molto più tranquilla, lei ti aiuterà», mormora e io chiudo gli occhi cercando di contenere le lacrime che minacciano di uscire, come un temporale che avvisa del suo arrivo con i tuoni e i fulmini.
«Ma quello di cui volevo parlarti prima di dimenticarmi e che c’è un altra famiglia e tu la devi aiutare».
Cosa?
Mi sollevo portandola con me e il suo sguardo terrorizzato, sempre presente quando era in quella casa, torna ad oscurare il suo viso.
«Di cosa parli mamma?» gli chiedo e lei fa un profondo respiro, passandosi le mani tremanti sul viso, prima di tornare a guardarmi.
«Tuo padre ha sempre avuto una seconda famiglia, sin da quando tu eri piccolo, anche se io l’ho scoperto circa cinque anni fa'» ammette ma io sono così scioccato da non interromperla, e lei continua.
«So che lei è molto più giovane di me, ed è rimasta incinta di un maschio quando tu avevi circa otto anni, è da loro che andava ogni volta che spariva per settimane».
I momenti belli della mia infanzia, quando lui non c'era per giorni e io pregavo che restasse il più lontano possibile per altri giorni.
Un'altra famiglia, un figlio, un fratellastro.
«E so che anche lei ha avuto…il mio stesso trattamento» mormora e la sua voce trema.
«Sappiamo entrambi che un giorno non molto lontano uscirà Matthew, e ho paura che possa andare da loro e arrabbiato come sarà…ho paura. Ho provato a scrivere a loro ma non ho ricevuto nessuna risposta. Si trovano vicino ad Aurora nell’Illinois e so anche i loro nomi» ammette senza chiarire come realmente sappia di loro.
Forse è riuscita a scoprire qualche documento nell'ufficio di lui?
«E cosa vuoi che faccia?» gli chiedo appoggiando il viso fra le mie mani.
Ha un'altra famiglia, un altro figlio che avrà vissuto il mio stesso inferno, un'altra donna che avrà picchiato e torturato. Se ce l'avessi ancora tra le mani, credo che non riuscirei a controllarmi dal prenderlo a pugni, fino a che della sua faccia non rimanesse altro che una poltiglia.
«Si chiamano Cloe e Micheal. Salvali…salvali come hai salvato me».
***
Il ritorno in auto è silenzioso, e Jennifer non mi ha fatto domande ma si è rannicchiata contro di me, prendendomi tra le braccia. E questo vale più di mille parole.
Sta assorbendo e assimilando il mio dolore, senza chiedere nulla in cambio.
Quando è tornata dalla caffetteria ha capito che c'era un gigantesco elefante nella stanza, che assorbiva tutto l'ossigeno. Ma l'ha ignorato, e ci ha sorriso cercando di introdurre una conversazione semplice, e passandomi il caffè. E come quando era una ragazzina che entrava in una stanza illuminando tutto ciò che la circondava, ancora ci riesce ed è incredibile.
«Mi fai stare bene» sussurro d'impeto e lei si irrigidisce per un istante, prima di sciogliersi tra le mie braccia ancora di più, sollevando lo sguardo e incrociando il mio.
«Anche tu mi fai stare bene» afferma per poi stamparmi un dolce bacio, che non mi da il tempo di approfondire.
«Detto da una che due mesi fa proclamava di odiarmi, beh è bel passo avanti» commento tagliente facendola sobbalzare. Ridacchio e lei mi lascia un leggero schiaffo sul petto.
«Detto da uno che mi è venuto addosso con l’auto…potevi farmi fuori» obbietta concisa e con superbia.
Mi mordo il labbro inferiore per non ridere e la prendo meglio tra le braccia, mettendola a cavalcioni su di me, con le gambe ai lati delle mie.
«Ma poi ti ho sposato» mi difendo.
«Quindi mi stai dicendo che l'hai fatto per i sensi di colpa? O era tutto un piano ben studiato?» chiede e si posa un dito sulle labbra alzando lo sguardo pensierosa.
Rido e la attiro ancora di più a me, stringendo il suo culo tra le mani.
«Sta di fatto che ora sei mia Jennifer» sussurro a fior di labbra con le sue.
Solo dio sa quanto mi sto trattenendo dal perdermi in quella bocca o semplicemente in lei.
«Che strano e io che pensavo di essere una donna libera e indipendente, credo che tu ti sbagli», mormora sfidandomi con quei occhi nocciola.
La prendo per la coda e tiro leggermente facendo indietreggiare la sua testa e con l'altra mano gli afferro il viso.
«Io non mi sbaglio mai Jennifer, sei mia moglie, la mia coinquilina fastidiosa, la mia assistente, la mia confidente, la migliore amica che io abbia mai avuto, tu sei mia e basta e io sono tuo» lei sussulta ancora e le sue gambe mi stringono ancora di più nella sua presa, mentre la mia confessione aleggia nell'aria, impregnandoci come pioggia che ci entra nei vestiti, ci scorre sulla pelle e ci fa annegare.
Prima che possa prevederlo, la sua bocca cade sulla mia, affamata ma allo stesso tempo dolce. Un mix perfetto per distruggermi e risanarmi allo stesso tempo.
Cazzo quanto è bella, e quanto amo le sue labbra contro le mie.
Ormai l'ho detto e ora non si torna più indietro.
Le sue mani trafficano con la mia cravatta sciogliendo il nodo in semplici mosse, per poi sfilarla dal colletto.
Si allontana giusto qualche centimetro e i nostri respiri affannosi riempiono l'abitacolo chiuso solo per un leggero divisorio tra noi e William.
Noto che siamo quasi alla villa, e so già cosa farò. In meno di dieci minuti mi troverò già perso tra le sue gambe.
Dopo penserò a tutti i miei problemi. Prima lei.
«Chiudi gli occhi» mormora e io la guardo incuriosito quanto titubante. E ora che ha in mente.
In queste settimane ho capito che questa sua facciata da agnellino è esattamente solo una facciata. Sotto c'è un lupo affamato e selvaggio, pronto a mangiarmi in un solo boccone.
E cazzo se questa cosa mi piace. Non è più quella ragazzina che avevo conosciuto. No ora è una donna che sa cosa vuole e come ottenerlo, dannazione se lo sa. E questo ha solo lati positivi.
«Puoi fidarti? E non sbirciare! Ti osservo» sussurra e il suo sorriso beffardo non mi convince per nulla. So già che sarà la mia fine, ma come posso dirgli di no?
Sospiro profondamente e chiudo gli occhi.
«Ora solleva le braccia e posa le mani dietro la testa» mi ordina e io sollevo leggermente gli occhi beccando la sua occhiataccia.
«Matt!» mi rimprovera e io ridacchio per poi fare come mi dice, seguendo le sue istruzioni.
La sento muoversi su di me, allungandomi su di me fino a che sento qualcosa di morbido sbattere contro alla mia faccia.
«Sono le tue tette?» gli chiedo per poi strusciarmi contro di lei. Oh sì sono proprio loro.
«Matt! Smettila» mormora scoppiando a ridere mentre non smetto di strusciarmi, come il peggior adolescente con la sua prima ragazza, appena vede delle tette.
«Sei senza reggiseno?» domando ancora e non so come faccio a non aprire gli occhi. Qualcuno mi dia la forza.
«Si che c'è, ma è sottile» farfuglia lei mentre continua a fare qualcosa che non riesco a capire, perché il mio cervello o meglio il mio cazzo è concentrato su qualcos'altro.
«Sottile? Direi inesistente…guarda» sposto il viso finché trovo quello che cerco con la bocca.
In un piccolo morso riesco a chiudergli il capezzolo, bagnando la stoffa del vestito.
Lei sobbalza e geme, strusciandosi sul mio cazzo, che preme sui pantaloni, pregando di uscire.
«Vedi? Inesistente…» ribatto, contento di difendere la mia tesi. Lei ridacchia e mi lascia un dolce bacio mentre l'auto si ferma.
«Prima abbiamo interrotto qualcosa ricordi?» mi domanda e io riapro gli occhi, sbattendoli diverse volte prima di mettere a fuoco il suo viso arrossato e il suo sorriso malefico.
«Vediamo allora se mi prendi» sussurra, e solo ora mi rendo conto che mi ha legato.
Non ci credo. Faccio per sfilarmi dalla presa ma non ci riesco. Mi ha legato al poggiatesta del sedile, con la mia cravatta rossa.
«Jennifer» la chiamo serio, mentre lei apre la portiera dell'auto, lasciandomi indietro.
«Cosa?» chiede mordendosi il labbro inferiore tra i denti. Si sta divertendo e la cosa mi divide. C'è una parte di me che in questo momento vuole solo assecondarla, mentre l'altra vorrebbe afferrarla e sbatterla contro l'auto facendola pregare il mio perdono.
«Appena mi libero e sai che accadrà, io ti troverò e nulla ti salverà» minaccio con il nervoso che cola dal mio tono. Diciamo che il cazzo insoddisfatto nei miei pantaloni sembra farmi male, cosa che non rende facile non esserlo.
Ma poi c'è anche questa continua sfida tra di noi, che non fa che mettere pepe sulla ferita, non posso perdere, non così facilmente.
«Solo parole Matt, ci vediamo, vediamo se mi prendi…» chiude la portiera, poi mi fa l'occhiolino e mi manda un bacio con la mano, sparendo dalla mia vista.
Oh sì la troverò.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro