CAPITOLO 50
Scappare
Jennifer
Finisco di asciugarmi i capelli e mi guardo allo specchio, le mie labbra sono ancora rosse e gonfie dai baci. Solo al pensiero di poco fa, dei brividi di piacere mi percorrono il corpo e il mio cuore, inizia a battere frenetico. Riesco ancora a sentirli, mentre li lasciava sulla mia pelle, persino le sue mani che hanno percorso il mio corpo febbricitante...ma anche il suo sguardo sulla mia schiena, dispiaciuto e dolente, di quando sono fuggita via, con la coda fra le gambe.
No, non mi devo sentire in colpa, dannazione lui è Matthew Dallas! L'uomo che non vuole relazioni stabili, l'uomo che scappa dopo averti scopata, l'uomo che va via durante la notte, sparendo per giorni.
Sono sicura che ora sarà al piano di sotto, con un sorriso trionfante, per essere riuscito finalmente a portarmi a letto, e non si starà facendo mille paranoie, come la sottoscritta in questo momento. Siamo adulti e affronteremo la situazione, come persone mature, che hanno fatto del normale sesso.
Normale? È stato il miglior sesso della tua vita!
É stato solo uno sbaglio! Seppur dannatamente bello.
Sospiro alla mia figura riflessa nel grande specchio, per poi uscire dal bagno.
Quando raggiungo le scale ormai vestita e asciutta, un profumo di cioccolato mi obbliga a scendere gradino per gradino, fino ad arrivare alla cucina, e immediatamente lo vedo.
Si trova dietro il bancone della cucina, con indosso solo un paio di pantaloni della tuta, ma il suo corpo è rigido, e ha uno sguardo serioso e triste.
Quando si volta, per mettere da lavare una ciotola, riesco a notare i graffi che gli ho lasciato sulla schiena.
Sussulto e indietreggio, andando a sbattere contro al muro.
Solo ora mi rendo conto di non averli fatti solo per il piacere, il mio subconscio lo voleva marchiare, e devo dire che ci sono riuscita egregiamente.
Il mio cuore smette di battere, e il senso di colpa sembra scivolarmi addosso come un serpente, che si arrotola intorno al mio collo, soffocandomi. Sono stata una stronza. Devo esserne conscia.
Forza Jenny puoi farcela, devi solo affrontarlo, come se non fosse successo nulla. Con ancora i tuoi baci sulla sua pelle e con la sua schiena marchiata?
Mi avvicino, e quando lui mi sente, si irrigidisce e rimane fermo, senza rivolgermi neanche uno sguardo.
«Non sai fare una pasta al sugo, ma sai cucinare una torta al cioccolato? Mi sorprendi» commento, cercando di sdrammatizzare, sebbene il mio tono di voce non è per niente sarcastico. Neanche lui sembra in vena di ridere.
«È un preparato, ho solo aggiunto le uova e la farina» spiega, mettendo le stoviglie sporche nel lavabo. Uno strano silenzio cade fra di noi, e l'angoscia prende il possesso del mio corpo. «Possiamo parlare?» chiedo in un sussurro, così lieve che credo non mi abbia nemmeno sentito.
Invece si volta e finalmente mi guarda negli occhi, quegli occhi smeraldo che ora sono velati di rabbia e irritazione.
«Credo che tu abbia già detto tutto, o sbaglio?» la sua voce è fredda, e non roca come quando mi sussurrava cose sconce all'orecchio, mentre eravamo sul tappeto.
«Infondo sei scappata via come una codarda», commenta oltraggiato.
Davvero lui mi fa la morale sul fatto che sono scappata? Lo guardo scioccata e faccio il giro del tavolo per raggiungerlo, puntandogli un dito contro al petto e alzando fin troppo la voce. «Da che pulpito mi arriva la lezione di moralità!».
Lui mi guarda confuso incrociando le braccia al petto, pronto a discutere.
«Di cosa parli?» chiede, e io esito prima di dirgli la verità. Però forse è giunta l'ora di far uscire tutta la verità.
«Ti ho mentito, io ricordo tutto di quella notte, quello che è successo, il sesso, il tuo stupido biglietto di scuse e il fatto che la mattina seguente ti ho visto con un'altra, quindi non fare la morale a me! Tu sei stato il primo a scappare!».
Per qualche secondo tutto sembra fermarsi, come se fosse caduta una bomba, e noi stessimo a guardare, aspettando l'onda di distruzione che ci spazzerà via.
Spalanca la bocca e poi una smorfia gli oscura il viso «Jenny...io ti chiedo scusa, è ho cercato diverse volte di farlo, di chiederti perdono».
Fa un profondo respiro e chiude gli occhi, per poi passarsi una mano sul viso. Come se non riuscisse a sopportare quel ricordo.
«So benissimo di aver sbagliato quella mattina, ma ero proprio un bastardo all'epoca», ammette e la sua voce mi strazia. Però la rabbia è stata repressa troppo a lungo, e io non sono più disposta a metterci una pietra sopra.
«Lo sei ancora», commento, per poi osservare la sua espressione offesa e confusa.
«Perché l'hai fatto ancora, dopo la serata di beneficenza, alla mattina tu non c'eri, sei sparito ancora una volta», lo incolpo, ignorando il suo sguardo, ho troppa paura.
«Jenny non è come credi, non sono scappato da te, non quella volta», obbietta stringendo le mani a pugno.
Lo fulmino con gli occhi e mi avvicino di nuovo «sai che sono io a gestire la tua agenda? Non c'era nessun viaggio di lavoro Matt...come con l'ultimo viaggio, tu sei scappato, perché all'improvviso stava diventando tutto troppo complicato».
Scuote la testa e sospira profondamente, appoggiando le mani sul marmo, e noto una cosa che mi fa sussultare, sta tremando.
Chiudo le mani in due pugni e mi mordo il labbro inferiore che ha iniziato a tremare, costringendomi a non avvicinarmi.
«È vero non c'era nessun incontro di lavoro, sono dovuto andare a Chicago, da mia madre», ammette, abbassando gli occhi sulle sue mani.
La notizia mi sorprende talmente tanto che sussulto, senza però interromperlo.
«Mi ha chiamato quella stessa mattina, doveva parlarmi urgentemente e quindi sono partito. Non ti ho chiesto di venire con me, perché...» si ferma, per poi intercettare il mio sguardo, guardandomi con una certa malinconia. Cos'è che non mi dice? Cos'è che lo sconvolge così tanto?
«Diciamo che la mia famiglia è un fottuto casino, e ci sarebbero così tante cose che vorrei confidarti, ma...».
Mi avvicino e gli appoggio una mano sulla schiena, accarezzandolo dolcemente, sentendo la sua pelle calda, sotto al mio palmo.
«Allora parlarmi, io non ti giudicherò Matt, non sono fatta così, però non mentirmi più», mi allungo e gli lascio un bacio sulla guancia. Lui in risposta mi attira in un abbraccio e io mi sciolgo. Perché è così bello?
«Io...mi vergogno», ammette. E la sua confessione è come un scossa elettrica che non mi aspettavo.
Seppellisco la mia faccia nel suo petto e la sua mano si perde nei miei capelli.
«Io sono qui quando vorrai, sono pronta ad ascoltarti, oggi, tra un mese, tra dieci anni, io Matt sarò qui», gli confido anche se non so se potrà essere davvero così.
Potremmo davvero restare amici, dopo questo anno? Ora come ora, l'idea di perderlo, di non sentirlo, mi strazia talmente tanto che... no non voglio nemmeno pensarci.
«Lo so, è anche per questo che ti ho portata qui, volevo parlarti di una cosa che ho scoperto... e che non so come affrontare e...».
Credo di averlo visto pochissime volte, talmente oppresso dai pensieri, da non riuscire a parlare. Deve essere successo qualcosa di grave. Ma non conosco abbastanza cose sulla sua famiglia, da ipotizzare qualche possibile scenario.
Si allontana quel tanto per sollevarmi il viso per potermi guardare negli occhi «però ora voglio parlare di noi, non sono scappato Jenny, non sai quanto avrei voluto stare con te in quel letto, sono andato via senza dirti niente, solo per proteggerti».
Spiega e annuisco, cercando di trattenere le lacrime. Non so se per la sua confessione, o per il fatto che si fida così tanto di me, da volermi confessare qualcosa di così letale da sconvolgerlo.
Ma la situazione sembra aver aperto gli argini delle mie lacrime.
Ho pensato male di lui, senza prima chiedere spiegazioni.
«E tu che scusa hai per essere scappata, sentiamo», commenta con tono accusatorio.
Indietreggio leggermente e distolgo lo sguardo verso la finestra, accorgendomi che fuori piove ancora, come dentro di me in questo momento.
«Tra meno di un anno ci separeremo, il contratto finirà e le nostre vite si divideranno ancora», rispondo per poi osservare la sua reazione. E come poco prima, si richiude in sé stesso e si volta sistemando il bancone.
«Fai come vuoi Jennifer...».
Odio e non sopporto quando usa il mio nome intero, con quella voce severa e rancorosa. Lo raggiungo e lo afferro per il braccio, obbligandolo a guardarmi.
«Cosa vuol dire fai come vuoi? La pensiamo allo stesso modo, abbiamo stretto un contratto insieme!» esclamo alterata.
Lui si volta, sovrastandomi con il suo corpo e obbligandomi ad appoggiare la schiena contro al tavolo. Come faccio a finire sempre in queste situazioni?
Scocca la lingua contro al palato e mi guarda con un misto di rabbia ed eccitazione nello sguardo, che sembrano sovrastarsi a vicenda.
«Secondo te, in questo momento me ne frega qualcosa del contratto? Cazzo Jennifer, quello che è successo poco fa, non è stato solo sesso, e lo sai anche tu!».
Deglutisco mentre il cuore mi rimbomba nelle orecchie e la speranza si accende dentro di me.
Ma scuoto la testa, non può dire queste parole ora. Sono parole che avrei voluto ricevere otto anni fa. Parole che probabilmente avrebbero cambiato la nostra vita.
Ma ora non so cosa fare, cosa pensare.
Sussulto, mentre lui fa combaciare il suo corpo con il mio, e mi accarezza dolcemente la guancia, spostando una ciocca ribelle, dietro l'orecchio.
Una lacrima mi scende lungo la guancia, ma lui la toglie con il pollice prima che possa sparire lungo il collo.
«È stata un'eccezione Matt» sussurro, cercando di convincere anche me. Ma lui scuote la testa e sorride facendo scontrare il naso contro al mio. «Sei tu la mia eccezione Jenny, quando lo capirai?».
Al diavolo le insicurezze, la sofferenza, le regole...al diavolo tutto.
Con delle semplici parole, è riuscito a spazzare via tutte le mie incertezze. Prima che lui possa fare qualcosa, mi alzo in punta di piedi e lo bacio, un bacio dolce e sincero, di quelli rari e speciali, che non tutti hanno il piacere di ricevere nella vita.
Ed eccomi qui a baciare un uomo che credevo di odiare, che mi ha tolto tutto, ma allo stesso tempo mi ha dato tutto, sconvolgendo la mia testa, la mia vita e il mio cuore.
Lui mi prende dalle gambe, e mi appoggia sulla superficie del tavolo, ma così facendo, fa cadere il sacco di farina affianco a noi, sui nostri corpi.
Scoppio a ridere sulle sue labbra e lui si allontana, guardando il casino che ha appena combinato.
«Non ridere...non è divertente», mi ordina, ma lo ignoro e continuo a ridere, mentre lui si toglie la farina dai pantaloni, facendola alzare tutta per aria.
Sbuffa e vedendomi ancora sogghignare, prende una manciata di polvere dal tavolo e me la fa cadere addosso, sul viso e sui capelli.
«Questo, è per quello che hai fatto prima» spiega spiritosamente, mentre io lo guardo scioccata.
«L'hai fatto davvero?» gli chiedo mentre la polverina mi solletica la pelle e il naso. Lui annuisce fiero di sé, ma prima che possa ridere, io ricambio il gesto, buttandogli il restante della busta, sui suoi capelli perfetti.
Si ferma, e per un attimo mi guarda serioso, scuotendo la testa, per far cadere il grosso della polvere tutta intorno a noi.
«Sei in grossi guai ora mia cara», sussurra e dalla mia bocca esce un risolino di sfida.
«Oh mio dio che paura, sto tremando», commento sarcastica e non ho nemmeno il tempo di guardarlo negli occhi, che lui mi prende in spalla come se fossi un sacco di patate.
Come un déjà-vu, ricordo il giorno del nostro matrimonio, quando l'ha fatto per portarmi su per le scale, e sa benissimo quanto mi dia fastidio.
«MATT! Io giuro, che se non mi metti giù, te la faccio pagare!» lui ride, mentre con velocità raggiunge le scale.
«Tu non sei un dannato uomo delle caverne e io non sono la tua preda, mettimi subito giù» urlo, ma la sua risata sovrasta la mia voce.
«Ne sei sicura Jenny? E poi sei di nuovo tutta sporca, penso che tu abbia bisogno di un'altra doccia, lo sto facendo per te» commenta ironico.
In risposta gli do una sculacciata sulla chiappa, e senza cogliermi di sorpresa, ne ricevo una anch'io.
«Sei un bugiardo, lo fai solo per piacere personale, ma sarai deluso perché non entrerai in quella doccia con me».
Finalmente arriva nel bagno, ma non mi mette giù come speravo. «Non sfidarmi piccola, perderesti» commenta, per poi aprire il rubinetto della doccia, e subito l'acqua inizia a uscire dal soffione.
«Matthew Dallas non ci provare! So che cosa stai pensando...non azzardarti a farlo!» non riesco a vedere il suo sguardo, ma so per certa, che sta sorridendo come un'ebete.
«Hai usato il nome completo, dovrei essere preoccupato?» chiede ironico. Non mi dà il tempo di rispondere, che entra nella doccia, con ancora me in spalla, per poi farmi scendere lentamente contro al suo corpo, facendomi sentire ogni suo maledettissimo muscolo. L'acqua ci cade addosso, pesante e aggressiva, ma entrambi sembriamo avere gli occhi solo per l'altro.
Più i vestiti cadono sul fondo della doccia, più in nostri corpi entrano in sincronizzazione insieme ai nostri cuori.
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