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CAPITOLO 38

La festa di beneficienza pt.3 

Jennifer

Una volta arrivata mi appoggio al parapetto di vetro e cerco di trovarlo tra la gente, invano. Menomale che non dovevo allontanarmi. Da che pulpito.

Sbuffo e da sola mi guardo intorno curiosa nello scoprire altro su questo posto. Supero un lungo corridoio dalle pareti dipinte di rosso e dalle luci soffuse, con appesi diversi quadri di paesaggi. In uno dei campi arati, in un altro una citta urbana molto simile a New York. Ma quello che mi colpisce di più è quello in cui protagonista c'è una notte stellata, o forse sono le montagne innevate sottostanti, grandi e impetuose, ma non quanto la notte.

So che è un quadro e che probabilmente non esiste un celo così stellato o se c'è mai lo vedrò. Ma è quasi magico e rilassante, sembra quasi ricordarmi che i miei problemi saranno sempre insulsi rispetto a questo.

Rimango ancora qualche attimo per apprezzarlo e poi memorizzo il nome che il pittore gli ha lasciato. Catarsi.

La liberazione emotiva da una grande sofferenza. Mi piace.

A meno che non intende la catarsi per i greci, sarebbe un po' macabro.

Continuo con la mia avanscoperta, fino ad arrivare davanti una porta finestra, che si affaccia su un grande terrazzo.

Curiosa e intrepida apro la porta e decisa esco, facendomi accogliere dall'aria fredda di gennaio.

Il cielo è scuro e nuvoloso, nascondendo al di sotto un tappeto di stelle. Ma non le stelle di quel quadro, troppo inquinamento luminoso in questa città.

Abbasso lo sguardo sulla ringhiera della terrazza, che è ancora comparsa di lucine natalizie che con i loro colori illuminano ciò che mi circonda. Mi avvicino ad essa, appoggiandomi alla barra di ferro con i gomiti, un brivido di freddo mi riscuote ma lo ignoro.

La vista non è mozzafiato, davanti a me, ci sono molti palazzi e case, in cui dalle canne fumarie, si propaga del fumo che poi sparisce confondendosi con la notte.

Ma se mi sposto un po', ed allungo un po' la testa, in lontananza, riesco a vedere Central Park, con qualche luce accesa e la sua magnifica grandezza.

Sospiro e mi stringo tra le braccia, cercando di ignorare il freddo della notte, mentre mi godo la solitudine, almeno per pochi minuti.

Ma di colpo sento la portafinestra che avevo socchiuso, cigolare. Mi aspetto di vedere Matt e un sorriso mi esce sulle labbra, ma subito si spegne, quando mi accorgo che non è Matt, bensì un altro uomo, che appena mi nota, sorride beffardo «signora Dallas, è un piacere conoscerla finalmente».

Confusa cerco di guardare la faccia dell'uomo, ancora oscurata dal buio della notte «chi è lei?» domando e finalmente la luce tenue delle lampadine, colpisce il suo viso mostrandomelo.

Ha dei capelli biondi e alcune ciocche gli cadono sulla fronte, un sorriso strafottente e degli occhi castani, che non fanno altro che osservarmi.

«Mi chiamo Jonathan Dallas, è un piacere conoscere un nuovo membro della famiglia» mi tende la mano, ma la sua aurea negativa mi impedisce di stringerla, e ignorandolo, indietreggio di qualche passo.

«È un cugino di mio marito?» domando curiosa, mentre lui annulla la distanza che avevo creato con due semplici passi.

Una strana smorfia gli oscura il viso, mentre appoggia una mano sulla ringhiera alla mia destra. «Sono il figlio bastardo di Richard, quindi sì, praticamente Matt è mio cugino» i suoi occhi mi scrutano, come i miei fanno con lui.

Se è il figlio di Richard, allora perché l'azienda era andata a Matt? Forse è lui che non me la racconta giusta, qualcosa mi dice di stargli lontano, e credo di voler ascoltare quella voce.

Lui ignorando il mio disinteresse continua a parlare «ma ora, io voglio conoscere lei», mormora e il suo tono pretenzioso mi mette i brividi. Sposto lo sguardo sui palazzi davanti a me e sbuffo, e qui da pochi secondi e già mi sta innervosendo. Silenziosamente mi allontano di qualche passo, sperando di non far notare quanto questa situazione non mi piaccia.

«E perché mai?» chiedo cercando di mantenere il tono più indifferente possibile, ma un risolino per niente allegro gli esce dalla bocca, accendendo un'altra spia rossa nel mio cervello.

«La trovo bellissima, e non capisco come una donna come lei, stia con quel perdente di Matthew» sussurra deridendolo.

Mi volto e incapace di trattenermi lo fulmino con lo sguardo «sta parlando di mio marito! E lei non piace per niente» mormoro infastidita. Lui sorride sornione, come se fosse riuscito nel suo intento di infastidirmi. «Mi scuso, volevo solo farle sapere quanto è desiderabile, non volevo importunarla» risponde sempre canzonatorio. È snervante non poterlo prendere a ceffoni, anche solo per quel ridicolo e beffardo sorriso.

Lo osservo scettica «la sconvolgerà questa rivelazione, ma mi sta importunando da quando è arrivato», chiarisco e il mio tono amaro impregna ogni sillaba.

Lui ride come se si stesse prendendo gioco di me, cosa che mi fa ancora di più alterare «mi dica un po', sta difendendo tanto suo marito, ma perché ora lui non è qui? È troppo impegnato con il lavoro, o lei è poco importante per lui?».

Le sue parole sebbene dette con sarcasmo, mi colpiscono nel petto come un coltello. Ha perfettamente ragione, eppure non voglio per niente dargliela vinta.

«Chi tace acconsente deduco» osserva saccente.

Una strana rabbia inizia a scorrermi nelle vene e l'unica cosa che vorrei fare in questo momento, è togliergli quel sorriso strafottente, a suon di pugni. Ma devo ricordarmi che non so tirare pugni e che lui molto più alto di me, ne uscirei distrutta.

«Si sbaglia, sono venuta a prendere solo un po' d'aria, e sì lui si sta occupando di lavoro, come vede siamo ad una festa aziendale» gli rispondo a tono, ma lui non sembra sbilanciarsi, anzi, più gli dò corda più lui sorride vittorioso, che diavolo vuole da me? Si avvicina a me e appoggia la schiena contro la ringhiera, senza staccare gli occhi dai miei.

«Questa scusa se la ripete per autoconvincersi o l'ha appena inventata?» socchiudo gli occhi ad una fessura e stringo i pugni. «Di sicuro non starò qui, a farmi prendere in giro da lei, uno a cui il padre non ha lasciato nemmeno una parte di azienda» sibilo, ipotizzando su tutto, perché non so davvero la sua storia.

Ma a giudicare di come la sua mascella scatta e suoi occhi si rabbuiano, credo di aver fatto centro nel suo ego.

Faccio per andarmene quando lui mi afferra per il braccio, e la sua mano fredda sembra congelarmi. «Non si azzardi a toccarmi!» gli urlo contro, mentre una strana paura inizia a farsi strada lentamente in me.

Lui alza le mani in segno di resa indietreggiando di qualche passo. «Mi scuso, non volevo turbarla durante la sua pausa d'aria» mormora e qualcosa mi dice che ancora sta giocando con me.

Metto le braccia conserte, mentre io lo guardo sprezzante «certo come no, eppure l'ha rovinata con la sua presenza».

Sorride malizioso e io sospiro rumorosamente «lingua ardente la ragazza» socchiudo gli occhi e scuoto la testa, perché sono ancora qui? Faccio ancora qualche passo verso la porta finestra, senza però staccare gli occhi da lui.

Lui nel mentre si passa una mano fra i capelli e il suo sguardo torna a sbeffeggiarmi «sembra così triste».

Mi mordo la lingua prima di dire qualcosa di poco etico e più scurrile. «Quando si parla con una persona fastidiosa e antipatica, non è facile sorridere» sussurro, e lui fa una smorfia delusa.

«Eppure scommetto che il suo viso sarebbe ancora più bello con un sorriso, così tanto, che i suoi occhi nocciola brillerebbero» certo che ha una bella faccia tosta, la voglia di andarmene equivale a quella di chiudergli la bocca, per tutte le idiozie che sta dicendo. So che sta cercando di portarmi al limite, ma perché? «Mi dispiace per lei, ma non credo che vedrà un sorriso, né oggi né mai».

Mi tiro indietro una ciocca che mi era caduta sul viso per colpa dell'aria, e lo fisso «la sua presenza non mi fa di certo sorridere» sussurro nel vano tentativo di offenderlo, e sperando, che finalmente mi lasci di nuovo da sola, in questo piccolo terrazzino, ma al contrario, scoppia in una fragorosa risata.

«Forse dovrei compatire Matthew, invece di invidiarlo, avere a che fare con te non dev'essere facile», scuoto la testa scioccata e mi allontano voltandogli le spalle, ma prima che possa raggiungere l'entrata, il suo braccio mi ferma ancora «le ho detto di non toccarmi!» gli urlo ancora addosso girandomi, e guardandolo in cagnesco.

«Non mi saluta nemmeno? È scortese da parte sua» mormora guardandomi con la testa leggermente chinata da un lato, sebbene mi costi davvero molto, decido di accontentarlo, altrimenti non me lo toglierò mai di dosso.

«Arrivederci» sussurro a denti stretti. Mi volto, e proprio in quel momento la portafinestra si apre, la figura di Matt si avvicina a noi con un'espressione arrabbiata, che subito mi fa rabbrividire.

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