CAPITOLO 34
Una mattina inaspettata
Jennifer
Oggi Matt torna da Seattle e sinceramente sono sollevata. Ho passato gran parte delle giornate in ufficio e poi tornavo a casa da sola, visto che William era andato via con Matthew.
E fino a qui, la giornata andava per il meglio, ma poi la sera, questa casa sembrava troppo grande e troppo silenziosa per me. Soprattutto perché ero completamente da sola.
Non sapevo nemmeno come attivare l'allarme, visto che Frederick era sparito senza dire niente, probabilmente a farsi una vacanza, molto lontano da qui.
La scorsa notte ero così spaventata per aver sentito dei rumori, che mi ero alzata dal divano, avevo afferrato un coltello dalla cucina e infine avevo controllato ogni stanza della casa. Per poi rintanarmi nella camera di Matthew abbracciando il suo cuscino, che ancora aveva il suo profumo. Molto penoso da parte mia, se ora ci penso.
Mi abbandono sulla sua poltrona in salotto dove ho una buona visione dell'ingresso, e osservo i giornali che ho comprato ieri. Che avrebbero dovuto parlarmi di cronaca, invece eccomi a pagina 10. Anche se nulla di compromettente, solo io e Matthew che saliamo le scale della Dallas Corp. E anche l'articolo parla di nuovi progetti che presto verranno presentati alla conferenza annuale.
Fortunatamente non siamo più sotto molti riflettori, a parte qualche foto scattata, quando siamo in auto, oppure fuori il cancello di casa. E sebbene non mi piaccia l'idea di essere fotografata, perlomeno non sono foto scandalistiche. Tutto sta andando come deve andare, un matrimonio tranquillo e sereno, che però accidentalmente fra un anno finirà.
Romeo si avvicina, guardandomi minaccioso, e riportandomi alla realtà. Lo afferro, e lo poso sulle mie gambe, sentendo i suoi artigli attraversare la stoffa dei pantaloni.
«Smettila di fare il gattaccio minaccioso, so che sei un coccolone» commento, per poi accarezzargli dietro le orecchie, mentre con l'altra mano, gli accarezzo la pancia.
Immediatamente inizia a fare le fusa, facendomi ridere «lo sapevo, la tua debolezza è la pancia» perfetto ora parlo anche con i gatti. È deciso! Quando finirà quest'anno con Matthew, diventerò una zitella e finirò il resto dei miei giorni, con molti gatti in casa.
Ridacchio da sola, ma il rumore della porta in salotto che si spalanca mi riporta alla realtà e Romeo salta giù dalle mie gambe spaventato, e rifugiandosi sotto al divano.
Infilo le ciabatte e raggiungo la porta, dove trovo Matt, ma in un pessimo stato. Il suo viso è pallido, ha gli occhi socchiusi, ed è completamente appoggiato a William, che mi saluta cortesemente.
«Che cosa gli è successo?» chiedo preoccupata, all'uomo, con cui ancora non ho restaurato un rapporto confidenziale.
«Guarda che posso parlare!» borbotta orgoglioso Matt, avanzando traballante fino alla poltrona, dove ero seduta io, qualche attimo fa.
«Lui...» si gratta la testa imbarazzato, mentre io lo guardo in cerca di risposta «è molto ubriaco e non smette di...rimettere» risponde secco, facendo una faccia inorridita.
Posso solo immaginare, il suo terribile viaggio in aereo, con un odore nauseabondo e dei rumori assolutamente disgustosi.
«Vai pure, mi occupo io ora di lui» mormoro per poi voltarmi verso il vomitatore ambulante. In salute e in malattia...
Lui sollevato, non se lo fa ripetere due volte e subito esce di casa.
Raggiungo Matt, l'uomo virile, che l'altro giorno mi ha baciato, ma che ora si nasconde dietro a un viso sofferente.
«Perché ti sei ridotto in questo modo?» gli chiedo, osservando il suo viso contratto.
«Non urlare» si lamenta lui sbuffando, e osservandomi da sotto le sue lunghe ciglia. La sua faccia si contrae e lui si passa una mano sullo stomaco. Sta davvero male.
«È questo il punto Matt, non sto urlando» commento. Che cosa ha scatenato, questa su irrefrenabile voglia di ridursi così? Cos'è scattato in lui? C'è un problema? Magari è andato male l'accordo. Fa ancora una smorfia, e io sospiro, improvvisamente infastidita dalla situazione.
«Che ne dici di andare nel letto a riposare?» gli propongo allegra, ma l'occhiataccia che mi rivolge, non è per niente amichevole e languida come al suo solito.
«Non ho per niente voglia di fare tutte quelle scale» brontola, chiudendo di nuovo gli occhi, come se la luce solare, che entra dalle finestre, gli desse fastidio.
Mi metto davanti a lui, con le braccia conserte guardandolo con sfida «ora tu alzi quel bel culo che ti ritrovi, e vai nel tuo letto, non puoi dormire sulla poltrona». Colto dalle mie parole, apre gli occhi e mi guarda ammiccante, o almeno ci prova.
«Ho un bel culo?» mi chiede, con quel poco sarcasmo che gli rimane. Sospiro e gli afferro le braccia, per poi tirarlo verso di me, senza riuscirci.
«Ti prego Matt, collabora» lo supplico per poi gemere dalla frustrazione. Lui riapre gli occhi e noto una strana malinconia attraversargli le iridi.
«Va bene! Dammi solo il tempo, di capire come non vomitare sulle scale» farfuglia, lui per poi sbuffare.
Dopo più di dieci minuti, ci ritroviamo finalmente in cima alle scale. La schiena mi sembra spezzata e mi sembra di grondare di sudore. Almeno ci ha messo del suo per aiutarmi, altrimenti saremmo probabilmente caduti giù da quei gradini.
Una volta dentro alla stanza, lo faccio sedere sul letto, per poi sgranchirmi la schiena, che ho forzato per aiutarlo.
Lui inizia a slacciarsi la camicia, con una lentezza inaudita, tanto che mi ritrovo a dondolarmi sui talloni per aspettarlo.
Dopo il secondo bottone solleva lo sguardo per guardarmi negli occhi. «Potresti aiutarmi?» biascica, e io per poco non mi strozzo con la saliva, colta dalla richiesta.
Eppure mi avvicino a lui e con velocità eseguo, facendo passare tutti i bottoni attraverso ogni asola. I nostri respiri si scontrano, insieme alla nostra pelle, qualche minimo contatto che mi fa venir voglia di averne di più. All'ultimo bottone lascio la presa dalla stoffa. Faccio per sfilarla dalle sue braccia, quando queste mi circondano la vita, e la sua forza mi attira addosso a lui. Colta dalla sorpresa il respiro mi manca nel petto e perdo l'equilibrio, finendogli completamente addosso.
«Jenny apprezzo che tu mi voglia, ma in questo momento, non sono al pieno delle mie forze fisiche» sussurra con malizia, per poi ridacchiare, delle sue stesse parole.
Sospiro rumorosamente e mi libero dalla sua presa, per poi vederlo cadere contro il materasso.
«Anche i pantaloni per favore» sussurra e io indietreggio. «Cosa?» gli chiedo sorpresa.
Lui solleva la testa guardandomi con un sorriso fin troppo sornione, «non dirmi che ora fai la pudica».
Gli lancio un'occhiataccia che lui ignora, richiudendo gli occhi. Esitante appoggio le mani sulla sua cintura e la sgancio, senza però sfilarla, per poi passare al bottone e alla cerniera.
Faccio un bel respiro e con un semplice gesto, slaccio il bottone e tiro giù la cerniera, che subito fa intravedere dei boxer neri. Dannazione!
Mi allontano dalla zona pericolo e mi avvicino alle sue scarpe, togliendole insieme ai calzini.
«Grazie Jenny» sussurra, anche se non ho ancora finito. Finalmente sfilo quei maledetti pantaloni e mi allontano, per poi osservarlo, mentre striscia per raggiungere il cuscino, appoggiando la testa.
«Ti chiudo le tapparelle?» domando, senza riuscire a staccare gli occhi, dal suo corpo. È completamente nudo tranne per i boxer neri ed è una vista quasi magica. La sua pelle sembra risplendere sotto alla luce solare che lo bacia gentilmente, e le ombre che si creano lungo il corpo sembrano come un dipinto su una tela. Dannazione Jen, riprenditi! Lui si volta, osservandomi con occhi socchiusi, «sì grazie».
Con mani esitanti, tiro giù le tapparelle schiacciando il pulsante verso il basso, fino ad oscurare totalmente la camera, si vede solo una leggera luce provenire dal corridoio, visto che la porta è ancora aperta.
Faccio per andare verso quella direzione, ma con il ginocchio vado contro la cassapanca davanti al letto. «Cazzo!» urlo, per poi massaggiarmi la parte dolente, sollevando in aria il ginocchio.
«Jenny...ti sei fatta male?» guardo verso la sua direzione, dove riesco a vedere, solo un leggero luccichio nei suoi occhi.
«Sì, ma sto bene, tu riposati» borbotto, ma la sua voce mi richiama ancora. «Vieni qui...per favore un secondo», susurra dolcemente.
Esitante lo raggiungo, senza prima assicurarmi di avere via libera. Mi prende la mano e inizia ad accarezzarla «sicura di stare bene?» chiede, e la sua voce calda mi fa tremare.
«Sì, tranquillo» farfuglio. Sebbene l'assenza di luce, sento il suo sguardo su di me, che mi fa infuocare la pelle.
«Scusami, non dovevo farlo», sussurra, e il mio cuore si addolcisce un poco. Anzi letteralmente si scioglie.
Mi abbasso su di lui e gli lascio un bacio sulla sua fronte bollente. Ha anche la febbre?
«Stai tranquillo, ma ti sei idratato? E hai preso qualcosa?» domando, ma invece di ricevere una sua risposta, le sue mani afferrarono i miei fianchi, e mi ritrovo di nuovo sopra di lui. «Matt che fai?!» gli urlo contro, mentre con le gambe mi sistema meglio sopra di lui, impedendomi di muovere alcun muscolo. «Non fare domande e dormi» borbotta, per poi farmi appoggiare la testa sul suo petto.
Sono completamente distesa sul suo corpo scolpito e...voglio andarmene! E non perché non sto bene, anzi proprio il contrario.
Sto così bene, che il pensiero mi fa male.
«Stai delirando» commento, mentre il mio corpo, si rilassa contro al suo, adattandosi alle sue forme. Sì ha anche la febbre, perché altrimenti non mi spiego questo suo comportamento.
«Sono troppo egoista in questo momento, e non voglio lasciarti andare» mormora vicino al mio orecchio.
Scuoto di nuovo la testa, mentre le sue mani allentano la stretta, posandosi tranquille sul mio corpo, come se fosse una cosa normale.
«Non sono il tuo orsacchiotto della buonanotte» mi lamento cercando di divincolarmi dalla sua presa. La sua improvvisa risata mi fa sobbalzare, ma allo stesso tempo mi stringe il cuore.
«Io non ho un orsacchiotto della buonanotte» mormora ancora divertito dalla mia accusa. Il suo petto ancora vibra sotto al mio, mentre il suo respiro mi accarezza la guancia.
«Sicuro? Me lo immagino con un nome tenerissimo tipo Teddy o Bubu» rispondo e mi mordo il labbro per non seguire la sua risata. Perché e così facile con lui? Fin troppo facile e la cosa mi spaventa.
Con Aiden a volte era una corsa ostacoli fare una conversazione normale, ma con lui...Che mi dice il cervello? Devo smetterla.
«Quando recupererai lucidità, ti renderai conto che hai dormito con il nemico» mormoro e la mia bocca gli sfiora la mandibola pronunciata. Lui trattiene una risata e mi passa una mano fra i capelli, accarezzandoli dolcemente e infilando le dita in mezzo. «Ti sbagli, mi ricorderò soltanto di aver dormito con mia moglie» risponde lui, come se fosse una cosa semplice e normale.
Mi godo lo strano calore che le sue parole mi provocano al cuore, e faccio l'unica cosa che non dovrei fare, l'unica cosa che mi avvicinerebbe ancora di più a lui, e alla mia sofferenza. Mi rilasso e chiudo gli occhi, con il suo battito cardiaco che mi culla e il suo corpo che mi scalda.
Mi addormento sul mio diavolo dagli occhi verdi, e senza pensarci troppo, mi godo anche se per poco, la sensazione di appartenere a qualcuno. A lui.
***
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