CAPITOLO 18
La biblioteca
Jennifer
Scendere le scale è più complicato di quanto pensavo, il sedere mi fa veramente male, ma almeno, trovo subito la cucina. O almeno al secondo tentativo.
Matthew è seduto su uno sgabello, intorno al tavolo a penisola, intento a scrivere qualcosa sul portatile, mentre distrattamente fischietta una canzone che non riconosco. Sembra così assorto nel suo lavoro, che quasi mi sento un'estranea in questa bolla, che sto per far esplodere. Forse dovrei farmi un giro da sola, senza disturbarlo. Sto per fare un passo indietro, quando mi fermo di nuovo. Ma a cosa sto pensando? Dopo tutto quello che mi ha fatto passare, penso ancora e trattarlo bene? Ecco perché Tess dice sempre che sono troppo buona.
Varco la stanza con il mio passo pesante, attirando il suo sguardo. I suoi occhi mi cercano, osservandomi, e spero che la tuta nera che ho indossato, gli faccia dimenticare quello che ha visto poco fa. Cosa probabilmente impossibile.
Non mi considero una modella, però quello stupido completino mi stava dannatamente bene, mi valorizzava ogni curva, per non parlare del seno.
«Come sta il tuo dolce culetto?» chiede alzando un sopracciglio, con tono divertito.
«In realtà credo di essermi fatta veramente male», sussurro, ancora imbarazzata dall'accaduto. Di certo resterà negli annali delle mie figuracce.
«Vai a stenderti sul divano», mormora con tono serio. Ma non vedendomi camminare, si avvicina a me, sfidandomi con lo sguardo, e incrociando le braccia al petto.
«Vai sul divano» ripete in tono perentorio. Ma chi si crede di essere? Tuo marito?
Sbuffo e controvoglia mi dirigo verso il divano, accontentandolo. Anche se a pensarci bene, come diavolo si permette ad ordinarmi cosa fare?
Dovrei tornare indietro, solo per dimostrargli che io non prendo ordini da nessuno, men che meno da lui.
Però, per quanto l'orgoglio mi prema di impuntare i piedi, la stanchezza me lo impedisce. Con una smorfia mi sdraio sul lato per non sentire dolore. Domani so già che avrò un bel livido sul mio povero fondoschiena.
I passi di lui mi risvegliano dai miei pensieri e lo osservo, mentre entra con una sacca da ghiaccio fra le mani.
La sua figura mi sovrasta, mentre non smetto di osservarlo. Ha davvero fatto questo per me?
Delicatamente mi fa sdraiare a pancia in giù, con un'unica mossa, per poi appoggiare la borsa sul mio sedere, facendomi rabbrividire dal freddo per qualche istante. I miei muscoli si irrigidiscono sentendo il corpo estraneo, per poi rilassarsi subito dopo.
«Grazie», sussurro scioccata dal gesto, per poi vederlo sorridere.
In risposta mi fa l'occhiolino, facendo un ghigno automaticamente con le labbra.
«Oggi ho promesso che mi sarei preso cura di te, anche se è una finta...voglio rispettare la promessa», spiega, e le sue parole mi fanno perdere qualche battito. Allora ha un cuore sotto sotto...allora tiene a me sotto sotto.
Mi passa il telecomando appoggiandolo affianco alla mia mano. «Guardati un film, ascoltati della musica, fai quello che desideri», propone, per poi lasciarmi un buffetto sulla guancia. Un gesto veloce e leggero, così tanto che per un attimo mi chiedo se è davvero successo.
«Ah dimenticavo!» esclama, appoggiando il mio cellulare che gli avevo dato da tenere durante la cerimonia, sul cuscino affianco a me. «Tess ti ha tartassato il telefono nell'ultima ora», m'informa, indicando lo schermo, attualmente nero. «Grazie».
Mi volta le spalle, e i suo passi che si allontanano mi rimbombano nelle orecchie. Eppure più si allontana, più una strana sensazione s'insinua in me.
«Tu che fai?» gli chiedo, mentre sta già uscendo dalla stanza, facendolo fermare. Volta il viso e mi guarda negli occhi «devo finire un lavoro, poi ti faccio fare il tour della casa, e se dopo ti fa ancora male il culetto...se vuoi ti metto la cremina per la bua».
Mi confida, per poi uscire dalla stanza, ridendo delle sue stesse parole. Interdetta, e arrabbiata con me stessa, per aver pensato anche solo per un secondo che lui fosse una persona diversa. Sbuffo e sposto lo sguardo su Romeo, che mi guarda curioso dalla poltrona, mentre io cerco di abbassare la mia temperatura corporea e il mio impetuoso battito.
***
Dopo un tempo indefinito mi affaccio alla cucina e lo trovo chino sul suo portatile. Sembra molto concentrato sul lavoro che sta facendo, perciò mi prendo un momento per guardarlo. Camicia sgualcita e aperta sui primi due bottoni, capelli arruffati, dove alcune ciocche gli sfiorano la fronte. E quell'espressione seria quasi imbronciata, è quasi da fotografare.
Sarà sempre così durante quest'anno? Tranquillo e divertente? Lui che lavoro e io che faccio lo stesso? Lui che flirta e io che arrossisco? Lui che mi guarda con i suoi occhi ipnotici, e io che mi ci perdo completamente?
Sbuffo sovrastata dai pensieri, ma lui sentendomi, salta in aria spaventato.
«Scusa, non pensavo di essere così orribile», farfuglio, appoggiandomi alla parete e facendolo ridere. Chiude il portatile donandomi tutta la sua attenzione.
«Sei molte cose, ma non orribile», risponde, per poi ravvivare i capelli, come se fosse un gesto ordinario. Il suo braccio si tende sotto alla camicia e automaticamente si alza sull'addome, mostrandomi per qualche attimo gli addominali.
«Come stai? E il tuo culetto?» chiede, sollevando le sopracciglia ironicamente. Prima dice cose dolci, e poi ritorna l'insopportabile persona che è sempre stata.
«Molto bene, ma mi sto solo annoiando». Dopo aver fatto zapping per un'ora, mi ero arresa, e avevo deciso di coccolare l'enorme palla di pelo, che nel frattempo si era avvicinata a me.
Lui si alza e con passo felpato mi raggiunge, restando a pochi centimetri da me. E qualcosa mi paralizza, impendendomi di muovermi, come una scarica elettrica che fulmina ogni fibra del mio essere, immobilizzandomi in un vortice di tensione e timore, mentre la corrente dell'insicurezza scorre attraverso di me, rendendo impossibile ogni tentativo di liberarmi da questa prigione invisibile.
«Io avrei qualche idea per non annoiarci», sussurra, facendomi l'occhiolino e chinandosi verso di me, riversando il suo respiro caldo sulle mie labbra. Mi sta per baciare? Il mio respiro mi manca nei polmoni all'idea, e le mani mi tremano dal nervosismo.
Lo voglio davvero?
La mia mano istintivamente, finisce sulla sua guancia, creando un rumore sordo nella stanza, che sorprende anche me. Perché l'ho fatto?
Ma invece di prenderla male, lui mi sorride, guardandomi con luce negli occhi. «Non c'è bisogno di essere così manesca, non ti toccherò nemmeno con un dito, a meno che te non voglia» spiega accarezzandosi la guancia ispida, dalla leggera barba che la ricopre.
«E comunque volevo soffiarti sulla guancia, hai una ciglia», mi spiega, indicandomi la guancia destra.
Imbarazzata e completamente con i sensi di colpa gli afferro la mano, stringendola nella mia.
«Perdonami, non so perché l'ho fatto, davvero io...» abbozza un sorriso e mi stringe a sua volta la mano, prima di lasciarla andare. Lasciandomi un uno strano freddo sulla pelle.
«Hai ragione tu, non dovevo oltrepassare il tuo spazio», accenna un sorriso e si allontana di qualche passo.
«Ti ho promesso il tour della casa...andiamo?» propone, guardandomi negli occhi. Ancora sconvolta annuisco e mi faccio guidare.
Mi fa vedere le varie stanze al piano terra, compresa una piccola stanza in stile cinema, per poi portarmi al piano di sopra, dove trovo una palestra, le altre stanze da letto e infine la biblioteca. «Ecco qui il pezzo forte», mormora, per poi aprire la porta di legno davanti a me, e subito spalanco la bocca, guardando incantata le pareti pieni di libri. Saranno più di mille.
Decine e decine di scaffali in legno scuro, occupano la grande stanza, tranne per una scrivania davanti alla vetrata, ed un divanetto in pelle scura. Con una luce alta posta dietro di esso. Lasciato lì, in mezzo a tutti quei libri, come se fosse un angolo di pace.
Lascio la sua mano che per tutto quel tempo non aveva mollato la mia, e mi avvicino allo scaffale più vicino, e sorrido a vedere le opere e gli autori. «Hemingway, Oscar Wilde, Tolstoj, Virginia Woolf...tu zio aveva ottimi gusti», commento, per poi guardare la sua espressione.
«Avrei detto fossi una da Jane Austen», commenta e io rido. «Amo anche Jane Austen», gli rispondo di scherno e lui si appoggia contro la parete, osservandomi con curiosità.
«Non pensavo che il tuo punto debole fossero i libri» esordisce, con ironia.
Mi volto a guardarlo, con un sorriso imbarazzato «non sono solo libri, sono storie, esperienze, culture...lo trovo un modo per fuggire dalla realtà, e di vivere delle avventure, che non mi capiteranno mai nella vita».
Afferro un libro e accarezzo la rilegatura, che sotto ai miei polpastrelli risulta ruvida e polverosa.
«E poi, amo l'odore dei libri», sussurro, aprendo il libro e annusandolo. Scoppia a ridere, guardandomi divertito.
«Quando vorrai staccare la spina, questo posto è tutto tuo...sarà il tuo posto sicuro» annuncia, per poi venire verso di me lasciandomi un buffetto sulla guancia.
«Credo che andrò a cucinare, Frederick ci ha abbandonato, e non credo che tu voglia mangiare dei panini per cena» ridacchio, senza smettere di guardare i suoi occhi.
«Tu stai qui ancora un po', ti chiamo io», mi avvisa per poi indietreggiare raggiungendo la soglia della stanza.
«Matt», lo richiamo e lui si volta incuriosito, «grazie», sussurro. Accenna un sorriso timido e mi fa l'occhiolino, per poi uscire dalla stanza, lasciandomi sola.
Mi guardo intorno, osservando attentamente gli scaffali, in legno color ebano, per poi passare al divano dove una coperta rossa è ben piegata in un angolo. Posso già immaginarmi dopo una giornata di lavoro, io qui distesa a perdermi nelle storie. Ma poi la mia attenzione viene attirata da l'unica parete priva di uno scaffale, proprio vicino alla finestra. Diverse cornici piccole riempiono la superficie, creando un'accozzaglia di colori. Ma più mi avvicino, più tutto prende un senso.
In ogni foto c'è Matthew, che passa da quando ancora è un neonato, al bambino che ho imparato a conoscere, al bellissimo ragazzino che mi ha rubato al cuore, per poi fermarsi, con un ultima foto che sembra scattata solo qualche anno fa.
Lui e suo zio Richard, in una foto scattata senza che se ne accorgessero. Sono seduti vicino ad una tavola che sembra gremita di cose da mangiare. Stanno parlando, senza staccare il contatto visivo. La camicia di Matt aperta sui primi due bottoni, come quando è stanco. Come faccio già a sapere questo dettaglio?
I suoi capelli sempre folti e ondulati, lo sguardo serio e astuto.
Il contrario di quello divertito e spensierato, dello zio. Senza che me ne renda conto, mi ritrovo ad accarezzare la foto. Raffreddando i miei polpastrelli contro al vetro freddo e impolverato, mentre lascio una leggera carezza sulla figura di Matthew. Forse dovrei davvero perdermi nei libri, senza posare di nuovo gli occhi su Matt, anche se è solo una foto.
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