Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

1


Giocarsi il primo amore in una partita a carte? Lo aveva fatto.

Aveva diciassette anni, i capelli scuri lunghi fino al fondoschiena e le labbra carnose ereditate dalla madre. Gli aveva sorriso, consapevole che, se avesse perso, si sarebbe dovuta prodigare nella più imbarazzante –nonché prima- confessione della propria esistenza. E ovviamente era andata così.

La sua prima vera storia d'amore era iniziata quindi sull'umido tavolo in plastica di un bar da quattro soldi, l'ultimo giorno di un agosto torrido, con qualche birra in corpo –perché tanto l'età non la chiedevano mai a nessuno- e moltissima tensione nei muscoli. Si era limitata a poche parole, però: un rapido "mi piaci" e lui, come se sin da principio ne fosse stato al corrente, le aveva sorriso, per poi allungarsi verso di lei e baciarla. Baciarla piano, da bravo ragazzo, come dimentico di tutte le storie che lei gli aveva raccontato riguardo il fatto che le piacesse flirtare con i ragazzi alle feste, che non fosse una santarellina, e che alcuni tendessero a calunniarla ed etichettarla come "troia".

"Ma siamo nel duemilaquindici quindi non ci faccio caso e basta." Aveva commentato.

Forse a fare innamorare lui era stata proprio quella frase così leggera. Quella sua maniera di dire che alla fine non le importava davvero di nessuno, che tanto erano tutti bastardi, ma che ormai lo sapeva fin troppo bene; d'altra parte aveva perso la verginità con uno di loro. Gli aveva parlato anche di questo:
"Sì, ero follemente cotta di quell'imbecille, ma lui voleva solo sfogarsi un po'."

Aveva un modo di fare così misterioso che, continuava a ripetersi, sarebbe potuto andare avanti a guardarla e studiarla come un pazzo per sempre, senza mai stancarsi. I suoi occhi sottili, vagamente felini, lo facevano pensare a una bellezza orientale, proveniente da un paese così distante e così pieno di fascino che solamente su di lei sarebbero potuti calzare bene.

Ciò nonostante, Mia non si vedeva bella; non portava mai gonne, né abiti eleganti. Durante l'estate, che tanto detestava, a stento indossava gli shorts. Era così bizzarra che Mirco non aveva mai idea di cosa si sarebbe dovuto aspettare da lei.

Era come se fosse stata in grado di vedere magia in ogni più piccolo e degradato angolo di mondo, pur avendo perso fiducia in qualsiasi cosa.

E fumava le sue stesse sigarette, solamente molto più di quante ne fumasse lui.


Cosa vedesse in lui Mia, invece, era ai più sconosciuto; soprattutto agli amici di lei, che faticavano non poco a immaginare quello spirito libero così difficile da legare a un secondo essere, improvvisamente innamorato. Per lei, però, era evidente:

"è così diverso da me." E le piaceva da morire.

Per forza di cose, dopo un'infanzia passata a essere presa in giro per i suoi gusti bizzarri, i tagli di capelli da maschietto e la musica datata che ascoltava, Mia era stata costretta a circondarsi esclusivamente di outsider. E li amava; non aveva mai nascosto di essersi accuratamente scelta gli amici più sociopatici e detestati del pidocchiosissimo paese in cui abitava, nonché di andarne tremendamente fiera, ma non si era mai avvicinata a nessuna persona al di fuori di quella cerchia. Perciò, per quanto a un occhio esterno gli "strani" potessero essere lei e la sua compagnia, Mia non riuscì a fare a meno di pensare che Mirco fosse un ragazzo proprio interessante con la sua testa perfettamente in equilibrio sulle spalle, una passione sfrenata per il buon vino e proveniente dal prototipo di famiglia perfetta. Le piaceva veramente, soprattutto quando si ritrovavano a parlare, e in particolare quando vedeva le sue reazioni così sorprese di fronte tutte quelle proprie elucubrazioni assolutamente folli sull'esistenza.

Lentamente, però, le cose cambiarono.


La loro relazione durò due anni costellati di sentimenti e sensazioni vere. Eppure lentamente, mese dopo mese, lui iniziò a notare sempre più cose di lei che forse non lo soddisfavano a pieno: Mia era davvero strana e, man mano che i misteri si svelavano, la passione andava con lo scemare. Rimaneva una persona bella, certo, ma così profondamente radicata in un mondo a lui irraggiungibile, che faticava a comprenderla a pieno. E questo nonostante lei si impegnasse al massimo per essere la fidanzata migliore del pianeta; aveva smesso di vestirsi con quei suoi jeans vecchi, ereditati dai fratelli più grandi, sacrificandoli per nuovi Levi's assolutamente impeccabili. Aveva riposto in un angolo dell'armadio le felpe sbiadite del padre, che aveva sempre trovato tanto confortevoli, così da potere sembrare sempre un po' più attraente agli occhi azzurri di Mirco. Aveva continuato a tenere i capelli lunghi solamente perché lui le aveva detto che, forse, non le sarebbero stati poi così bene corti.

Così, nel giugno di due anni dopo, Mia lo lasciò.


Straordinariamente, lui ci rimase male: "Perché?"

Lei non riuscì a spiegarsi neppure per un istante una reazione tanto ostentata. Le era parso estremamente evidente il fatto che le cose non funzionassero, che crescendo fossero cambiati troppo per potere continuare a sostenere la loro storia: "Non funziona. Stiamo facendo finta che io sia la ragazza perfetta per te."

Mirco aveva scosso la testa, immobile al centro del marciapiede desolato, in piena notte. Erano appena stati a cena insieme in uno di quei ristoranti così pretenziosi che lui amava tanto. Mia aveva insistito per pagare la propria parte. Corrugò la fronte:

"Non capisco di cosa tu stia parlando."

Lei sbuffò, trattenendo a stento le lacrime. Avvertiva risuonare dentro la propria mente "Boys don't cry" dei The Cure. Si erano entrambi dati per scontati.

Valutò se essere gentile e andarci piano, o se fare la cattiva. In viso portava un make up pesante, nero, molto punk, e decise di optare per la seconda opzione: "Mirco, tengo i capelli lunghi fino ai fianchi solamente perché ti piacciono, stessa cosa per i vestiti. Non hai notato quanto sia cambiata rispetto a due anni fa?"

Le labbra di lui si irrigidirono: "Scusa?" aveva incalzato "Credevo fossi cresciuta."

"Perché? Cambiare abiti è sinonimo di crescita interiore?" domandò lei ironica "E se domani mi andasse di vestirmi come mia nonna?"

"Oddio." Si lasciò sfuggire lui, facendo infuriare ancora di più lei.

"Sono seria. Ci stiamo impegnando per essere perfetti l'uno per l'altra, ma siamo solamente patetici."

Lui scrollò le spalle incredulo, incapace di dire altro se non formulare una semplice, evidentemente retorica, domanda: "Quindi mi lasci?"

Mia annuì: "E domani mi taglio i capelli. Corti."



A seguito di quel siparietto tragicomico, continuarono a frequentarsi per altri tre mesi, non parlandone con nessuno e limitandosi a brevi, rabbiosi incontri sessuali, a tratti romantici e a tratti prettamente passionali.

Mia si tagliò davvero i capelli, adottando un caschetto parecchio corto, e fece anche il proprio primo tatuaggio, su una spalla, nello studio illegale della madre di un'amica, pagandolo pochissimo e ottenendo ottimi risultati. Alla sua, di madre, però disse di essere andata da uno dei migliori tatuatori di Bologna. La amava; non avrebbe mai potuto farla preoccupare.

Da un giorno all'altro, poi, smise di vedere Mirco. Non ci stette male come avrebbe potuto credere. Pianse molto, certo, ma le cose avvennero in maniera così lenta e naturale che le parvero molto più leggere da sostenere. Una domenica sera gli diede la buonanotte, ma il giorno successivo non gli scrisse nessun buongiorno. Le passò di mente e, pian piano, iniziò ad accantonare tutte quelle piccole abitudini che, nel corso della loro storia d'amore, aveva ottenuto; appena sveglia smise di andare al bar, comprare due caffè da asporto e incamminarsi verso casa sua. Smise di fare la spesa pensando a cosa sarebbe piaciuto mangiare anche a lui durante le serate-film, e tornò ad acquistare quantità industriali di gallette di mais, che lei adorava, ma che lui aveva sempre detestato. La sola cosa che decise di custodire di lui –ovviamente in segreto- fu una vecchia felpa con la zip rotta, che le stava parecchio larga, ma che le faceva sentire un caldo estremamente piacevole.

Lui non gliela domandò mai indietro. Tanto meglio.


Tornò a saltare sul letto come una dodicenne ascoltando le canzoni dei The All-American Rejects –sentendosi immensamente libera nel farlo- e riprese a fumare erba, ovviamente sempre in segreto, alle volte da sola e alle volte in compagnia degli amici di una vita.

Un pomeriggio, infine, capì di non avere bisogno di un ragazzo. Di non avere fretta. E di non volersi fare ricrescere i capelli per un bel po'.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro