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Otto


Il treno giunse a destinazione sul far della sera. Annabeth si prese un attimo per stiracchiarsi e stropicciarsi gli occhi, poi scese dal treno in tutta fretta e si incamminò per le strade affollate di Manhattan.
Era estate e faceva un gran caldo. Il viaggio la aveva tranquillizzata: Annabeth aveva fatto attenzione ed era certa di non essere stata seguita dal padre e dalla matrigna. Li inmaginò con i loro occhi scintillanti mentre, in svantaggio di parecchi chilometri, setacciavano la casa nel tentativo di scovarla. Continuò a districarsi per le vie della città, attraversò strade e si guardò intorno circospetta. Infine giunse al condominio in cui abitava Percy. Cercò il nome di Sally Jackson tra i campanelli, premette il bottone e attese.
Dietro di lei, la strada illuminata dai lampioni e dai fari delle macchine inchiodate nel traffico. Sopra, il cielo ormai buio; non una stella brillava in quel manto nero.  Davanti a lei la porta a vetri.
Impaziente, si appoggiò al muro e suonò nuovamente il campanello.
La luce delle scale si accese all'interno. Annabeth incrociò le braccia al petto e trattenne un brivido di freddo, sperando che Sally le aprisse la porta e la facesse entrare. Continuò a scrutare l'ingresso illuminato.
Poi, proprio quando stava per rassegnarsi a cercare Percy da qualche altra parte, due paia di gambette da bambino comparvero sulle scale. Man mano che le due figure scendevano, la semidea coglieva sempre più particolari.
Le mani piccole ma tozze che si aggrappavano al corrimano. Braccia sottili. Visetti angelici e familiari.
Oh per gli dei.
Annabeth mosse qualche passo indietro quando riconobbe i due piccoli fratellastri. Che diavolo ci facevano lì?! Come erano entrati? Quando la luce delle scale si spense, Annabeth sapeva in anticipo che cosa avrebbe visto. Senza soffermarsi oltre ad osservare gli occhi giallo oro dei bambini galleggiare nell'oscurità al ritmo dei loro passi, si voltò e cominciò a correre. Il rumore della porta che si apriva e subito dopo si richiudeva la obbligò ad accelerare. Si infilò in vicoli malfamati e nascosti senza pensare. Non badò alle svolte imboccate e in breve perse l'orientamento. L'eco dei passi dei fratellastri alle sue spalle rimase costante. Sembravano instancabili. Annabeth sapeva che prima o poi l'avrebbero raggiunta. Gli eidolon stavano sfruttando i corpi dei due bambini al massimo e non la avrebbero lasciata sfuggire per niente al mondo. La semidea invece si stava già stancando: si era svegliata in un altro corpo e non aveva fatto altro che scappare per tutta la giornata.
Pur consapevole di come sarebbe finita, continuò a correre. Non poteva niente contro due eidolon, non con un misero coltello da cucina. Alla fine si infilò in un vicolo cieco. Un uomo dormiva appoggiato al muro, una bottiglia vuota ai suoi piedi. Quando Annabeth si rese conto dell'errore commesso, esitò un solo istante; in fondo se lo aspettava, ed era anzi sorpresa di essere stata in grado di evitare strade chiuse fino a quel momento. Si guardò intorno e trovò ciò che cercava.
Afferrò un bidone dell'immondizia vuoto che giaceva scuro e inutilizzato in un angolo e, ansimando e sbuffando, lo trascinò a fatica sotto il muro che chiudeva l'estremità della via. Voleva provare a scavalcarlo e gettarsi dall'altra parte. Salì in piedi sul bidone e, in bilico sul coperchio, saltò e si aggrappò con le mani ad un mattone sconnesso del muro, i piedi senza più appoggio.
Solo un'altra spinta.
Poi successe.
Uno dei due fratellini la raggiunse e si aggrappò alle sue gambe e lei perse la presa sul misero mattone cui era appesa.
Cadde di schiena sul lurido cemento del vicolo.
I polmoni le si svuotarono per la botta e lei rimase lì intontita a guardare l'oscuro nulla che era il cielo.
È un incubo. Vi prego, ditemi che è un incubo.
Nessuna risposta alle sue preghiere. Ma cosa le era saltato in mente? Percy poteva essere ovunque. Continuò a far vagare lo sguardo nel cielo, come se il figlio di Poseidone stesse per scendere in volo ad aiutarla.
Jason vola. Non Percy.
Uno dei due fratellini si intromise nella sua visuale, ed ecco che ora la notte era illuminata da due occhi gialli.
Alla fine Annabeth, dopo quelle che erano parse ore di attesa, ma che in realtà non erano che secondi, si riebbe. Lesta, strinse la mano sul manico del coltello riposto nella cintura e lo affondò nel fianco di uno dei due bambini. Poi si alzò, schivò un calcio da parte dell'altro e tornò ad arrampicarsi sul muro. Una lacrima solitaria le percorse il viso. Quante volte aveva giocato con i suoi fratellastri mortali, da quando si era riappacificata con il padre e con la matrigna? Quante volte li aveva portati al parco o a prendere un gelato?
Ora erano solo mucchietti di carne e ossa e sangue animati da malvagità pura.
Scavalcò il muro e si voltò indietro in tempo per vedere il bambino che aveva ferito estrarre il coltello dalla carne del fianco, rigirarselo tra le mani e, quasi senza prendere la mira, scagliarglielo addosso. Per Annabeth il tempo si fermò. Guardò la lama roteare e la immaginò affondare nel suo petto. Il bersaglio era quello, il lancio era perfetto.
La bambina si lasciò cadere di peso dall'altra parte del muro; il coltello continuò a roteare, ma invece di coglierla in qualche punto mortale le lacerò la carne del braccio sinistro. L'acciaio ghiacciato le scottò la pelle.
Cadde sui gomiti. Si voltò e, tenendosi l'arto ferito, fece per ripredere la sua fuga.
-Percy!- esclamò invece quando riconobbe la figura minuta da dodicenne del figlio di Poseidone.
Solo dopo si accorse dello sconosciuto incappucciato che teneva il semidio inchiodato al muro. Solo dopo si rese conto che la scena che stava vivendo era simile a quella del sogno, e solo dopo comprese di sapere chi si nascondesse sotto quel mantello nero. Era semplice, in fondo. Perché aveva già visto tutto, e non era finita bene. Poteva cambiare le cose. Gli occhi di Percy sarebbero rimasti verdi, questa volta.
Forse per la prima volta nella sua vita, Annabeth spense il cervello e si avventò contro la figura avvolta dal mantello. Sferrò deboli calci e pugni inefficaci con il braccio buono, ma bastò. Percy interruppe il contatto visivo con il suo aggressore il tempo sufficiente per riprendersi e sottrarsi alla sua presa. Incrociò lo sguardo di Annabeth e, in un qualche modo, le cose parvero tornare al loro posto.
Ma durò un attimo, perché, anche se non riuscivano a spiegarselo, entrambi sapevano cosa si nascondeva sotto quel mantello. Annabeth corse da Percy, lui le afferrò la mano e, finalmente insieme, cominciarono a correre.
Si voltarono solo una volta, in tempo per vedere che la figura si lanciava all'inseguimento.
Il cappuccio, nell'impeto, rivelò il volto nascosto.





Heyyy!
Sì, lo so che adesso non si capisce, lasciatemi solo un paio di capitoli per spiegare.
Capitolo lungo, non postavo da un po'. Dato che mi sono resa conto che non posto aggiornamenti di questa storia molto frequentemente, pensavo di stabilire un giorno fisso per pubblicare capitoli nuovi, magari il lunedì. Così se non altro posto sicuramente una volta a settimana.
Ditemi cosa ne pensate!

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