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Cinque

Annabeth afferrò il primo enorme coltellaccio da cucina che trovò con le sue manine da bambina di sette anni. Soppesò l'arma, saggiandone il peso e cercando di intuirne i possibili difetti. Alla fine, decise che tutto sommato poteva andare bene ai suoi scopi, per il momento. Lo avrebbe utilizzato una sola volta, ripromise a se stessa, fissando i propri occhi grigi riflessi sulla lama. Facendo roteare la nuova arma con un movimento rapido ed esperto, la infilò nella cintura dei pantaloncini e la coprì con la maglietta. Annabeth rabbrividì, ma non per il contatto freddo del metallo appuntito. Il pensiero della matrigna che la scuoteva per la spalla, cercando di svegliarla, era ancora impresso a fuoco. Se avesse chiuso gli occhi, avrebbe rivisto la scena da dietro le palpebre. Era così che si era risvegliata: con lo sguardo della donna fisso nel suo. Destata da un sogno, secondo tutte le leggi razionali. Ma Annabeth aveva abbandonato da tempo il concetto molto poco semidivino di "razionalità", ed era sicura di essersi addormentata nel corpo di una diciassettenne raggomitolata in un letto della Cabina di Atena.
Ora aveva sette anni, un corpo molto più gracile. Tuttavia, sebbene le sue braccia non fossero allenate, aveva conservato la maestria nel maneggiare i pugnali. Magari con una spada non se la sarebbe cavata, ma la sua arma prediletta non era altrettanto pesante.
Camminando il più silenziosamente possibile, salì le scale della sua vecchia casa. Tese le orecchie, non colse nessun rumore. Era distratta, però. Ancora non capiva cosa stesse succedendo, e nel tentativo di trovare indizi a riguardo continuava a rivivere nella mente il momento in cui gli occhi della matrigna si erano accesi di un brillante color oro. Poi la donna la aveva afferrata per il collo e sollevata da terra.
-Pagherai, piccola figlia di Atena- le aveva urlato continuando a stringerle il collo.
-Chi sei? Cosa sei?- rantolava Annabeth. Alla fine era riuscita a darle un pugno dritto sul naso. La potenza era minima, probabilmente non le aveva nemmeno causato danni, ma era stato abbastanza da distrarla. La mano della donna si era aperta e Annabeth era caduta e aveva ricominciato a respirare. La bambina aveva afferrato con entrambe le mani un vaso di fiori e l'aveva scaraventato addosso alla donna, che si era accasciata sul pavimento e aveva chiuso gli occhi dorati. E ora la semidea stava per finirla. Annabeth non sapeva cosa sarebbe successo, ma aveva capito che si trattava di un eidolon. E questo le era bastato. Sperava solo che Percy stesse bene e che si spicciasse a trovarla. Giunse in cima alla scala, la lama fredda del coltello premuta contro la schiena.
Quando finirà questa cosa potrò chiarire la situazione e cercare Percy.
Fece un bel respiro ed entrò nella cameretta in cui si era svegliata e dove aveva steso la matrigna.
Deserta.
Solo la finestra aperta su una giornata di sole, il letto sfatto da cui era stata strappata e un vaso di fiori in frantumi. Il cuore le balzò in petto mentre si rendeva conto dell'errore.
Con un orribile presentimento, fece per voltarsi. Sulla soglia, in piedi e con una postura disinvolta, la matrigna la squadrava senza fretta con i suoi occhi brillanti.
Annabeth estrasse il coltello.
-Lasciala in pace! Perché la controlli?!
-E tu avresti attraversato il Tartaro?- chiese beffardo l'eidolon con la voce della matrigna. Annabeth non rispose e chiuse le dita sul manico della lama ancora più forte, fino a farsi sbiancare le nocche. Non sapeva cosa fare. Se avesse ucciso la matrigna l'eidolon se ne sarebbe andato. D'altronde, uccidere un'innocente (la donna del padre, oltretutto) era fuori discussione.
Ma dove diavolo è finito Percy?!
E se fosse un incubo?
Magari qualcuno la stava solo mettendo alla prova.
Ma per cosa?
Non riusciva a pensare e non ne aveva il tempo.
Perciò, quando l'eidolon le si lanciò addosso, Annabeth scagliò il coltello dritto nell'occhio destro del nemico. Il corpo della donna si contorse e Annabeth non riuscì a reprimere il senso di colpa. Si infilò tra il corpo piegato in due e lo stipite della porta e scappò fuori dalla casa. Pensava di avercela fatta, ne era convinta. Poi vide suo padre sul lato opposto della strada. Superò il cancello di casa e attraversò ignorando il traffico e gli insulti degli automobilisti. Doveva fermare il padre prima che entrasse in casa. Era quasi giunta dinnanzi all'uomo, quando questi sollevò la testa, rivelando un paio di occhi gialli.
-Dove scappi, bambina mia?
Annabeth stava seriamente iniziando ad odiare quella situazione. Perché era stata così stupida?!
Prese a correre in direzione opposta alla massima velocità concessa dalle sue gambette. Pensieri sconnessi cominciarono ad affollarsi nella sua mente.
Magari posso cercare Luke e Talia. È andata così l'ultima volta che sono scappata di casa...
Ma era certa che, nonstante lei fosse tornnata a essere una bambina, Luke continuasse a essere morto e Talia una Cacciatrice. Non sapeva nemmeno dove si trovasse.
Alla fine si voltò, esausta. Nessuno la rincorreva. Non la matrigna, non il padre. Si infilò in un vicolo secondario. Recuperando fiato, si lasciò scivolare lungo il muro.
Devo trovare Percy.
Poi sorrise, perché era sicura che Percy non avesse una soluzione. Ma lui la avrebbe aiutata comunque. Il solo averlo vicino le aveva fatto superare il Tartaro. Avrebbe sconfitto un paio di eidolon.
Doveva andare a Manhattan.

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