18. Potere e Giustizia
*SPOILER ALERT*
Il capitolo contiene spoiler TOTALI su "Sons Of Anarchy"; sconsiglio vivamente la lettura a chi seguisse la serie TV e non avesse ancora concluso la visione della settima stagione.
***
"Se gli occhi sono lo specchio dell'anima, il dolore di una perdita è la porta. Finché resta chiusa ci protegge da un lato di noi stessi. Se ti tieni a distanza resta chiusa per sempre. Ma se apri quella porta, la sofferenza diventa l'unica verità "
Dexter Morgan
Jax Teller, in Sons Of Anarchy, ha detto: "Quando ci impegniamo per vendicare chi ci è caro, la giustizia personale si scontra con quella di Dio e della società. Diventiamo giudici, giuria e Dio. Quella scelta comporta una spaventosa responsabilità... Alcuni sono sopraffatti da tale peso; altri finiscono per abusarne. Il vero fuorilegge trova il giusto equilibrio tra la passione del proprio cuore e del potere della propria mente... Ci deve essere la stessa dose... Di potere, e di giustizia!".
Ci sono un milione di motivi diversi per i quali ho amato questo personaggio, venerandolo al punto tale che l'adorazione è diventata dolore fisico quando ho compreso il destino che aveva scelto per sé stesso, in piena autonomia; Jax ha ribaltato i ruoli, è riuscito a trasformare Dio in un fuorilegge ancora più spietato del filibustiere che reclamava nel proprio penitenziario. Jax ha vinto l'invincibile, e la sua vittoria mi ha straziata per mesi. Anche adesso che ho incontrato la Mietitrice in prima persona, la consapevolezza del dislivello tra i nostri percorsi mi strazia il cuore, mi annienta l'animo, è capace di affogarmi in una disperazione insopportabile per colpa di tutto ciò che non sono riuscita a portare a termine, di tutto quello che non ho avuto il tempo di sistemare, di tutte le esperienze che mi sono negata per incapacità. Soprattutto, però, c'è la delusione, per aver sprecato la mia morte, generando uno squilibrio, e con essa ogni barlume di potere e giustizia.
«A cosa pensi?» Metcalfe è ancora dentro di me, e io sono ancora avvolta a lui, con la mia interiorità, persa nella sua aura incollocabile.
«A Jax Teller» borbotto tra i suoi capelli, rimanendo immobile anche quando il suo corpo sussulta leggermente, e la sua schiena, appoggiata al divano, si irrigidisce.
Fa un mezzo tentativo di schiarirsi la voce. «Chi è?» domanda titubante.
«Un personaggio televisivo» dico. «Il protagonista di una serie che amo molto».
«E perché pensi a lui?» nella sua voce distinguo una volontà di comprendere e al contempo un'opinione già completa e discordante, come se ritenesse offensivo che io possa pensare a qualcun'altro in questo momento, proprio ora che la mia concentrazione dovrebbe essere devota solo all'uomo dentro di me.
«Per invidia, credo. Anzi, ne sono quasi certa».
«Non ti seguo, Shelly...»
«Lo so, è complicato» libero una risatina convulsa e mi sforzo di trovare le parole per esprimergli il mio pensiero. «Anche solo accennarti la trama richiederebbe un tempo infinito. E noi non abbiamo tempo...».
«Va bene, ma prova almeno a sintetizzarmi la sostanza... farmi capire come mai senti questa invidia» insiste Metcalfe.
Come se fosse facile...
«Oh... be', è un uomo che ha spontaneamente scelto di incontrare la Mietitrice, e farlo suppongo gli abbia permesso di non lasciare nulla in sospeso, di consegnare un'eredità pressoché perfetta, senza macchia, ai propri affetti. E' morto nell'istante preciso in cui ha scelto di morire, ripulendo sé stesso e gli altri da tutti i peccati commessi nella propria vita». Finisco la frase e l'immagine dei corvi, del pezzo di pane, del sangue che scorreva inesorabile verso di esso, mi provoca un brivido involontario.
«Cioè, si è suicidato» postilla Metcalfe, senza nemmeno rendersi conto che definire suicidio il gesto di Jax equivale a insultare non solo l'uomo ma anche l'intenzione.
«Se conoscessi tutta la storia non la metteresti così!» scostandomi, lo fisso determinata. «E in ogni caso non volevo rovinare il nostro momento, stavo semplicemente riflettendo su quanto sia stata inutile la mia morte... improduttiva».
La sua mano è sul mio viso, passa il pollice sulle mie labbra. «Non dirlo, Shelly» nel suo sguardo scorgo chiaramente un rimprovero. «Non è colpa tua. Sono sicuro che se solo avessi saputo quello che stava per accaderti avresti fatto in modo di...» Non posso lasciargli terminare il concetto, perché non mi piace per niente la piega che sta prendendo la conversazione. So cosa sta cercando di fare, e non voglio che sprechi le sue energie per trovare una giustificazione al mio sensato stato d'animo.
«Di cosa? Cosa avrei potuto fare da qui? Chiamare nell'ultimo minuto di vita tutte le persone a cui ho fatto del male? Fare testamento? Pensare una cosa bella aspettando che la falce mi trapassasse il cuore?» La mia intimità si contrae involontariamente, forse per la tensione, ed è comunque una sensazione metafisica essere fusa con Metcalfe; una parte di me, quella che ha sempre privilegiato la visione di una serie tv a un appuntamento romantico, è dispiaciuta di infangare la memoria di Jax Teller, ma l'altra, per tutta la vita ignara dell'esistenza di emozioni di questo tipo, è totalmente concentrata sulla magnificenza della nostra fusione.
E' vero, insopportabilmente provato, ho fatto del male a tante persone in passato, e la mia indifferenza cronica ha esasperato il finale della maggior parte di questi rapporti fallimentari, per ultimo quello con Stephen, forse la sola persona che davvero non si è meritata una sola briciola della mia freddezza.
Metcalfe risponde alla mia contrazione con un gemito strozzato e uno spasmo d'eccitazione. «Scusa» trattiene a stento un sorriso. «Ma se continui a stringerla così non posso garantirti anche la sua partecipazione drammatica» abbassa per una frazione di secondo le palpebre, sottolineando quello che a me è parso ovvio fin da subito, e la sua reazione spontanea mi costringe a catturargli le labbra con le mie.
«Sei incredibile, Signor Nott. Lo sai, vero?» dichiaro dopo il bacio, la fronte contro la sua.
«Oh, lo so, Signorina Morgan» sfiora la punta del mio naso con le labbra umide. «Ma è bello avere una tua conferma» dice e, rapidamente, l'ironia sfuma in un'espressione virtuosa, le iridi cerulee si rimpiccioliscono e un velo acquoso si stende sui suoi occhi puntati nei miei. Mi stringe i fianchi, sento la punta delle otto dita sulla colonna vertebrale e i pollici esercitare una lieve pressione sulle costole. «Il fatto che non abbia la più pallida idea di chi sia questo Jax, di cosa abbia fatto... di come sia morto e perché, non significa niente. Ho compreso perfettamente il messaggio, e con esso i tuoi turbamenti, Shelly. Non ho il potere di cambiare le cose, non ho il potere di interrompre la reazione a catena generata dal mio incontenibile bisogno di conoscerti, ma posso lottare fino all'ultimo per convincerti che la tua morte non è stata improduttiva e che tu, nella maniera più assoluta, non devi invidiare nessuno». Solleva la mano destra, roteandola vicino alla mia spalla, le sue dita si aprono e si richiudono su un drappo di seta nera con il quale Metcalfe avvolge entrambi.
Ci eclissiamo in questa nuova atmosfera, dimentichi di tutto fuorché della nostra travolgente interdipendenza, ricominciamo a muoverci lentamente, i nostri fiati si scontrano e il calore espulso dai nostri corpi sale verso l'altro in piccole volute diamantate: facciamo davvero scintille, avallando la metafora tanto amata dalle coppie sessualmente compatibili.
Tutto d'un tratto, non sono più così certa del disastro periziato dalla mia mente sovraccarica: un dubbio si fa largo nella confusione e prende consistenza, abbozzando i contorni di una magia che non si sarebbe mai compiuta senza la tragedicità della mia dipartita. Non avrei tutto questo, ora, se non fossi morta su quell'auto, quel giorno, in quel momento preciso. Non avrei lui, e lui non avrebbe me. Sebbene questo legame sia sconsiderato e rischioso, devo ammettere di fiutare distintamente tutto il bene che la mia presenza ha portato a Metcalfe, e quello che la sua ha portato a me. E' assurdo, non riesco a spiegarmi il perché di questa sensazione astrusa, sento solo che è giusta, che è vera quanto lo siamo io e lui adesso.
«Non posso accettarlo» ripeto, emettendo a voce, per la terza volta, una sentenza già espressa migliaia di volte nella mia testa. «Non accetto che debba finire per sempre, Met. Deve esserci una scappatoia, un qualcosa che possiamo fare per sparire e...»
«Oh, piccola» mi interrompe ansimandomi sul collo. «Il tuo stoicismo è disarmante. Se Zenone ti avesse conosciuta, sarebbe stato costretto a rivedere la sua dottrina. Avresti dirottato l'intera filosofia».
«Peccato che questo coraggio stia tagliando il traguardo in un ritardo clamoroso» sbuffo, ma non perdo di vista il mio obiettivo. «Quindi? Cosa mi rispondi?».
«Vorrei poterti rispondere con uno dei vostri detti, e precisamente: "Gli ultimi saranno i primi"...»
«Ma?» lo sprono, impaziente.
«Ma sarebbe una colossale presa per il culo, Shelly» termina serio, e la serietà delle sue parole è un pugno in pieno stomaco che riempie una vasca già zeppa di impotenza.
Non si scende a patti con il destino. Non si può corrompere la fine, vendere l'anima affinché ti permetta di esistere e poter amare l'unico uomo che non potrà mai essere tuo. Da piccola, quando mi dicevano che l'amore è più forte di tutto, che sconfigge ogni cosa... mentivano. Se le cose stessero realmente in questo modo, io e lui saremmo liberi di far ripartire il tempo... e amarci come se il tempo non esistesse.
«Il tempo sta per scadere» sussurro più a me stessa che a lui. «Il tempo...»
«...è scaduto da un pezzo, Shelly Eliza Morgan!» la voce pungente di una donna taglia di netto sia la mia frase che i nostri respiri.
Prima che possa rendermene conto, Metcalfe mi sposta sul lato, fasciandomi alla meglio con il drappo di seta, e mi fa scudo con il suo corpo nudo, oscurandomi la visuale sull'intrusa, esattamente come aveva fatto quando Tristan ci aveva sorpresi due giorni prima.
«Cathrine» ringhia, portando le mani dietro la schiena per afferrarmi le gambe.
La sconosciuta ride sguaiata. «Oh, ma quadretto toccante, Metcalfe» continua con lo stesso tono sarcastico. Provo a sporgermi per vederla, ma la presa ferrea di Metcalfe mi impedisce qualsiasi movimento. «Ti confesso di non aver creduto subito a Tristan. Non che abbia deciso di collaborare spontaneamente, intendiamoci, tutti i suoi miserabili tentativi di oscurare il tuo operato sono stati ammirevoli. Hai accoliti devoti, Metcalfe, ma io so essere molto, come dire... persuasiva» ride di nuovo, e Metcalfe si solleva sulle ginocchia, tendendo i muscoli come se fosse sul punto di attaccarla.
Inizio a tremare, rinsaccandomi nella seta mentre il panico si impossessa con furia di tutto mio essere. Avverto il gelo cristallizzare ogni organo interno, scoprendo con orrore che ho smesso di respirare da quando questa diabolica donna è entrata nella stanza, realizzando che il respiro non mi è affatto necessario. Non mi manca l'aria. Non sento niente.
«Tristan!» urla Metcalfe, e in qualche modo ho l'impressione che la sua rabbia derivi da ciò che vede e non dal tradimento dell'amico.
«Sono desolato, Met» dice, presumibilmente, Tristan con una voce roca e sommessa. «Ho fatto il possibile, amico».
La testa di Metcalfe scatta a sinistra. «Sei una lurida puttana!» tuona. Con la pianta dei piedi mi spinge indietro e, assecondando il suo gesto, raggiungo il lato dell'ottomana e mi acquatto, abbassandomi il più possibile. «Come hai potuto ridurlo così? Sei l'essere più spregevole della Geenna! Tu e tutto il tuo maledettissimo seguito!» Con un salto si rimette in piedi, le gambe divaricate e i pugni chiusi lungo i fianchi.
«Affrontarmi in costume adamitico non ti servirà, Metcalfe. Non questa volta» dice lei evocativa.
Che significa "non questa volta"? Lo ha già visto nudo? E in che modo Metcalfe aveva usato la sua nudità? A quale scopo? Nel tempo in cui mi lascio assillare dal dubbio, trovo il coraggio di sbirciare in direzione dei nuovi arrivati; scostandomi una ciocca di capelli dagli occhi, e badando a usare solo l'occhio sinistro, riesco infine a distingure Tristan, l'unica figura non oscurata dal corpo di Metcalfe, ma faccio comunque fatica ad associarlo all'impavido ragazzo che ricordavo: ha jeans e camicia strappati, zuppi di sangue, un ginocchio piegato in modo innaturale e il volto tumefatto, gli occhi gonfi sono socchiusi e lacrime rosse gli rigano tutto il viso.
Mio Dio...
«Cosa farai ora, Metcalfe? Salverai la puttanella morta o il tuo cagnolino fedele?» domanda Catrhine acida e, nonostante Metcalfe azzarda un mezzo passo in avanti, prosegue: «Te lo dico io cosa farai: assolutamente nulla! Perché non esiste un modo per impedirmi di portare a termine gli ordini del Consiglio. Quindi fatti da parte e consegnami la ragazza, o di' pure addio al tuo amato braccio destro».
Dallo spazio piramidale tra le gambe di Metcalfe intravedo un paio di decolleté nere dal tacco altissimo; mi abbasso un altro po' e seguo i contorni delle sue gambe perfette, ai lati della quali svolazza un soprabito scuro.
Metcalfe allinea il mento alla spalla, cercandomi con la coda dell'occhio. «Resta lì» ordina a bassa voce, poi allarga le braccia e rivolge i palmi davanti a sé. «Obice!» dice alzando il tono, e io sento sfrigolare qualcosa, come un campo elettromagnetico, e la stanza diventa blu, una luce tenue investe tutto ciò che vi è racchiuso. Schiocca le dita, una volta sola, e dei pantaloni di cuoio compaiono magicamente alle sue gambe. «Alzati» ordina di nuovo, arretrando cautamente. Io eseguo e lui trova le mie mani già protese, stringendole tra le sue. «Pronta?» mi chiede senza voltarsi.
«S-sì» rispondo tremando.
«Farà male stavolta» mi informa secco. «Ma non c'è alternativa».
«Sono pronta!» ribadisco ferma, chiudendo gli occhi e preparandomi al dolore preannunciato.
Metcalfe fa ancora un passo indietro, appoggiandosi a me. I muscoli della sua schiena si muovono in onde strane, le sento premere sulla pelle del mio viso e, nel momento stesso in cui provo a respirare, il mio corpo esplode.
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