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17. One Last Night


"Sono diventato la cosa... quella che odiavo. E con questa consapevolezza, arrivano delle giornate... a volta settimane... in cui devo evitare di guardare verso uno specchio. Il mio odiarmi è così profondo, così palpabile... che temo di scattare verso la mia stessa immagine... spaccare lo specchio e tagliarmi con le schegge di un riflesso rotto."

Jax Teller - Sons of Anarchy (6x13 "A Mother's Work")



La fame è l'unica sensazione che accomuna ogni essere, vivente o non morto, nell'intero universo. Un bisogno di cibo, un'esigenza di nutrimento in qualsiasi forma, di qualunque natura. È sempre la fame a ricordarci cosa siamo, ritmando un tempo misterioso e sbruffone che non ci rivela mai la propria scadenza.

Ho fame, e il mio appetito si specchia su di una tavola tristemente sgombra. Neppure ora che lei è qui, disponibile e illuminata, può darmi ciò che più bramo ricevere. Nemmeno adesso, con il favore di questa tenebra artificiale, siamo al riparo da coloro che sorvegliano il mio operato.

Non c'è rimedio alla condanna. Non c'è scappatoia per un'esistenza imposta.

Io non ho potere.

Vorrei allungare un braccio per poterla sfiorare e, per la prima volta da quando sono, vorrei che il mio tocco fosse in grado di riportare entrambi alla vita che io non conosco ma che lei potrebbe insegnarmi.

Se ne sta lì, rannicchiata sul pavimento di fronte al camino spento, stringendosi forte le ginocchia al petto e oscillando avanti e indietro. E' la donna più strana che sia mai passata dalla mia frontiera, bellissima e riottosa come la più tenace delle dee guerriere. Nei grandi occhi grigi ha il riflesso della mia disobbedienza, incarnata in un corpo debole incapace di portare a termine la missione assegnatale.

Posso scegliere se morire di fame solo stanotte godendo della sua compagnia, o morire del tutto tra poche ore rischiando di non incontrala mai più. In ogni caso, la perderei per sempre. Lei non mi aiuterà, oramai l'ho capito. Non mi solleverà mai da quest'incombenza virando spontaneamente in direzione della resa.

Il mondo che ho costruito su misura dei miei ospiti è troppo piccolo e insignificante per lei; il parco giochi è smunto e arrugginito, le giostre non funzionano e non dispensano felicità.

Lei non è come gli altri, e io non posso diventare qualcos'altro.

«So che sei arrabbiata» prendo la parola dopo qualche minuto, tempo durante il quale il silenzio si è quasi fidanzato con la distanza enorme che ci separa l'uno dall'altra.

La testa di Shelly scatta verso l'alto e i suoi occhi arrosati si mostrano ai miei, altrettanto tristi e delusi. «No, non lo sai. Non lo puoi sapere, Metcalfe» ribatte eccezionalmente placida. «E, comunque, non ce l'ho con te» aggiunge, sollevando appena le spalle, e torna poi a nascondere il viso sulle ginocchia unite.

Rimango di stucco. «No?»

Sfrega la fronte sul tessuto bagnato, che le fascia le ginocchia come una benda stretta attorno a una ferita importante, una, due volte, e ritengo sia il suo modo di confermarmi la negazione di poco fa.

L'immobilità mi pesa più del silenzio, pertanto prendo a passeggiare su e giù per la stanza, tra i due divani, seguendo il percorso vagheggiato del simbolo dell'infinito.

«Hai scelto tu le parole?» chiede Shelly di punto in bianco.

«Intendi l'epitaffio?»

«Sì».

Interrompo la passeggiata, passandomi le mani tra i capelli e fissando l'interezza del capovolavoro che è tutta la sua figura. «Sì».

Mi scruta, riflessiva. «Perché proprio quelle? Che significato hanno?»

Questo dovresti dirmelo tu, piccola... Le ho trovate nel suo fascicolo, in una foto che ritraeva un pezzo di muro su cui erano state scritte quelle parole con un pennarello rosso. Dovrei parlarle delle cartelle, della documentazione che ho su ognuno dei miei ospiti, ma farlo ora comporterebbe un'ulteriore borderò di domande ostiche.

«Nessuno» dico, e in fondo è vero. «Mi pareva un pensiero lineare, né smielato, né eccessivamente drammatico».

«E' la frase di un serial killer» mi comunica fredda, e io, per la sorpresa, impallidisco. Ne ho la certezza. «Risponde con quelle parole alla domanda di una delle sue vittime».

La curiosità mi rende schiavo. «Quale domanda?».

«"Se mi uccidi cosa ti resterà?"» mi rivolge uno sguardo avvelenato da un'ironia scaltra, come se stesse sfruttando l'opportunità per dimostrarmi quanto quel concetto si possa benissino applicare alla nostra situazione.

«Un mondo senza di te» sussurro per completare la battuta luttuosa. Degli artigli mi martoriano il petto, frugando alla ricerca del cuore, uncinandolo per incrementare la mia sofferenza. «Mi dispiace» dico, e sono giunto all'ennesimo tentativo di chiedere il suo perdono da quando la conosco.

«Oh, smettila di ripetere questa stronzata, Metcalfe. Sai perfettamente che non spetta a te scusarti e che ormai è tutto inutile» raccoglie l'asciugamano e si strofina vigorosamente il viso. «Piuttosto dimmi quanto tempo ci rimane... cosa dobbiamo fare adesso?»

«Non molto. Qualche ora, forse» rispondo rassegnato. «Tristan mi ha comunicato che il Consiglio si è riunito. Decideranno cosa fare e poi qualcuno verrà a comunicarmelo» Qualcuno... so già che sarà Cathrine!

«Cosa pensi che succederà?»

«Questo ciclo sta per finire, tra meno di un mese tutti gli abitanti di Burgos passeranno. Ti ammoniranno e, con ogni probabilità, sarai costretta a rimanere in isolamento per un breve periodo. Ma, data l'irrilevanza del tuo reato, ti rilasceranno presto... senza ulteriori conseguenze al tuo trapasso». , penso con un leggero conforto, andrà in questo modo: la faranno continuare insieme a tutti gli altri.

«E...tu? A te, che accadrà?» c'è un cruccio autentico nella sua voce, il suo sguardo è penetrante.

Stringo i pugni e cerco di mantenere il controllo. «Mi termineranno, credo. E' questo ciò che fanno con chi osa sfidare i comandamenti e, giusto o sbagliato, io ho trasgredito a tutte le regole». Non posso più nasconderle la verità, men che meno questa.

«Metcalfe...»

«No, Shelly. Ti prego» stronco sul nascere la sua partecipazione. «Non voglio la tua pietà. Non voglio più niente...» mento. Quello a cui aspiro, e finalmente l'ho capito, è che lei rimanga con me fino all'ultimo, fino alla... fine. «Sapevo a cosa sarei andato incontro quando ho deciso di fare quello che ho fatto. E' stata una mia scelta» la guardo dritta negli occhi, gli stessi che sanno farmi più male dell'artiglio che si diverte a torturare il mio cuore. «E la rifarei! Non esiterei un istante a sacrificare tutto questo per rivivere anche solo una milionesima parte delle emozioni nate dal tempo che ho trascorso con te». Se questa è l'ultima occasione che abbiamo di stare insieme, voglio che lei sappia quello che sento, l'incredibile gioia che ha portato il suo essere nella mia esistenza.

Shelly si rimette in piedi con un'agilità sensazionale, il vestito che avevo scelto per lei avvolge le sue forme provocanti e la tonalità rosa pastello della sua pelle traspare attraverso il tessuto umido; arretro verso la finestra, sopraffatto da un panico che non pensavo di poter provare, e lei si sistema i capelli viscosi dietro le orecchie, come per vedermi meglio. E' dura trovare tra i miei ricordi di lei, un disegno che riesca a eguagliare la sua spettacolarità di ora.

«La pietà è un sentimento che ho provato pochissime volte, Metcalfe. Per mia fortuna, so ancora distinguere le sensazioni che accompagnano questo terribile stato d'animo, e ti assicuro che non un briciolo di quello che sento in questo momento può definirsi pietoso, anzi, tutto il contrario» spiega mentre i suoi occhi si ingigantiscono e abbracciano il mio sguardo fermo su di lei. «Non so se quello che provo dipende esclusivamente dal mio... stato, ma non riesco in alcun modo a smettere di volerti» indica prima sé stessa e poi me. «La prospettiva che questa cosa, tra me e te, stia terminando per sempre, spezza quel che è rimasto della mia voglia di vivere, anche se adesso so che non sto realmente vivendo».

Sono senza parole, un'altra volta. Ed è un bene perché, in ogni caso, non potrei allegare termini più perfetti alla sua già più che perfetta sintesi emozionale. Lotto ferocemente contro l'istinto di concretizzare la voglia che abbiamo entrambi, e mi impongo un'ubbidienza al rimasuglio del vigore del mio compito. Mi ero adeguato al suo bisogno di rimanere sola al cimitero, me n'ero andato in silenzio, valutando saggiamente che la riflessione di Shelly fosse l'unica maniera di smorzare una rabbia che avrebbe finito col disintegrarmi; ero tornato a casa mia, mi ero cambiato, e poi avevo atteso il suo ritorno, mentre i sensi di colpa si stratificavano all'interno della mia anima e l'angoscia cedeva il posto a un'impotenza da primato.

«Parlando di intenzioni, tengo a informarti che fra queste non vi è quella di sprecare il tempo che ci è rimasto rimuginando sui dettagli del nostro sconveniente incontro» dice imperativa. «E se da una parte è vero che non siamo costretti a trascorrere questo tempo insieme, dall'altra vorrei che tu lo desiderassi almeno quanto lo desidero io. Consideralo pure come l'ultimo desiderio prima del patibolo». E' davvero convinta di quello che dice, lo posso vedere chiaramente dal modo in cui mi guarda, dal tremito del suo corpo ogni qual volta pronuncia una parola ambigua, legata a un pensiero di me e lei impegnati in atti che cavalcano la sconvenienza che ha citato.

«Io sono qui, Shelly. Non ho in programma di fuggire, come non è mio proposito sciupare nemmeno un secondo della meraviglia a cui sto partecipando».

«Bene» annuncia soffiando pesantemente. Calciando nell'aria, con una gamba e poi con l'altra, si libera degli stivali di cuoio e allunga il passo; prima che possa rendermene pienamente conto si getta tra le mie braccia, intrappolando le mie spalle con le mani, e sento le sue labbra sulle mie, calde e invadenti.

La sollevo, ricambiando il bacio, la mia lingua trova la sua. Shelly mi circonda i fianchi con le gambe, stringendosi con forza al mio corpo, puntellando i gomiti sulle mie spalle e iniziando a muoversi contro di me; i suoi strusciamenti sono così decisi e le sue spinte così energiche che le mie gambe cedono e finiamo sul divano.

Sento freddo sulla pelle del viso quando il suo si stacca, ma il calore viene immediatamente sostituito dalle sue mani sulle mie guance.

«Sei la cosa più inspiegabile che mi sia capitata» ansima fissandomi prima le labbra e poi negli occhi; la sua mano scivola sulla mia fronte allontanando i capelli ribelli che la coprono. «Ho come minimo ancora un miliardo di domande da farti... c'è un tarlo dentro di me che rompe le palle affinché io decida di sottoporti tutte le questioni fondamentali a cui non hai risposto, ma...» si sistema meglio su di me, con la lingua lambisce il mio labbro inferiore. «Non ci riesco. Non accetto questa realtà, e al tempo stesso sono sicura che non riuscirei a resistere un solo istante lontana da te. Ti voglio così tanto, Met...» usa per la prima volta il mio diminutivo, inizia a sbottonarmi la camicia respirando esagitata. «Ora come ora non me ne frega un cazzo di quanto siano cattivi i cattivi che ci danno la caccia, purché ci concedano di fare l'amore un'ultima volta».

Slitto di poco verso il basso, la mia eccitazione preme esattamente al centro della sua calda apertura. «Darei la mia esistenza per morire dentro di te, Shelly» le sollevo il vestito fino alle anche, scoprendo interamente le sue cosce lisce, accarezzandole come se fossero rarissime perle oblunghe. Se mai avessi conosciuto il privilegio della vita, potrei aggiungere che la voglio da morire. «Se posso: dove ha dimenticato le mutandine, Signorina Morgan?»

Shelly si sfila il vestito dalla testa, lasciandolo cadere dietro di sé. «Disgraziatamente, la nebbia se le è mangiate, Signor Nott...» fa un sorriso impudico e le sue mani si insinuano sul mio petto, salgono fino alle spalle e spingono via la camicia, che poi mi tolgo e getto sopra il mucchietto stropicciato del suo vestito.

«Che tragica sventura, Signorina Morgan» chioso posando le mani aperte sui suoi seni, comprimendoli appena; il colore delle nostre pelli, l'una sull'altra è una totale eufonia. Mi adopero nel tentativo di perseverare nel sarcarsmo, potrebbe essere una delle ultime volte in cui posso usarlo, ma il momento reclama un Metcalfe diverso, un Metcalfe prenotato e devoto a un'attività che non centra nulla con lo svago. «Sei perfetta, Shelly» dico ammirando l'inarcamento del suo corpo nudo sopra di me.

Il collo di Shelly si allunga, appesantito dalla testa piegata all'indietro; gli occhi, rivolti al soffitto, sono chiusi, e le sue labbra liberano una serie di piccoli gemiti celestiali che si sposano elegantemente ai suoi movimenti su di me. Le afferro il sedere, sollecitando il suo ritmo contro la mia erezione ancora intrappolata nei pantaloni. Non ho bisogno di suggerirle cosa fare perché, come percependo la mia silente richiesta d'aiuto, lei solleva il busto e le sue dita piccole trovano i bottoni dell'unico indumento che ancora indosso, facendoli sgusciare a uno a uno dalle asole in tensione. Riesco a sostenere il suo sguardo maledettamente erotico, ma la mia testa crolla sul velluto dello schienale e non ho la forza di trattenere un lamento roco di puro piacere.

«Che dici... possiamo sbarazzarci di questi?» chiede con voce incerta, travolta dalla frenesia. Mi limito ad annuire, mordendomi il labbro superiore con ferocia, sollevando il bacino per facilitarle la svestizione. Ride, come una bambina, ma non c'è alcuna goffaggine nei suoi gesti esperti. Mi scopro improvvisamente geloso di chiunque altro l'abbia avuta, così, prima di me, di tutti quelli che in passato hanno beneficiato della sua bellezza, gustato il suo erotismo pungente e raggiunto la massima intimità con questa dea precipitata per sbaglio nel girone oscuro dell'universo.

E' difficile trovare un'assonanza tra quello che provo per Shelly e quello che ho provato in precedenza per altre anime; non ho mai sconfinato e, benché io sia un essere dotato di emozionalità, tutto l'affetto nutrito nei confronti dei miei ospiti è sempre stato linearmente classificabile. Forse sono solo troppo... vecchio, malfunzionante, arrugginito come la struttura della mia Burgos. O, forse, è davvero lei a essere diversa, strana, unica come le emozioni che mi strappa dal cuore.

Seduta sulle mie gambe, Shelly tiene un braccio teso di fianco a sé, i miei pantaloni ondeggiano tra il pollice e l'indice. «Lascio?» domanda con un ghigno perverso.

«Lascia» le rispondo, abbracciandola con impeto.

E lei esegue.

La sua schiena si modella sotto le mie mani, come creta morbida e bollente, i capelli le si stanno asciugando e ricadono un po' ovunque sul suo candore, come nuvole leggerissime che solleticano anche me. Affondo il viso nel suo seno, inebriandomi del profumo di vaniglia e pesca, buono come quando l'ho annusato la prima volta, intenso come quando abbiamo fatto l'amore a casa di Ettore, irripetibile come lo è ogni istante del nostro esistere insieme. Stringendola più forte, cedo alla tentazione e le mordo una spalla, aspirando con voracità la sua pelle deliziosa, trattenendola tra le labbra fino a quando non la sento urlare per lo stupore del mio gesto singolare.

«Scusa» mormoro disegnandole sul sollo la medesima parola con la lingua. «E' stato più forte di me» imploro il suo perdono depositandole una moltitudine di baci sul mento.

Shelly mi graffia la schiena e un brivido si irradia in tutti i miei nervi. «Non mi è... dispiaciuto» sibila, e dondolandosi su un lato e accosta l'altra spalla alla mia bocca. «Fallo di nuovo».

Per l'Apocalisse! Questa donna mi fa perdere ogni rimasuglio di ragione. Le mordo anche l'altra spalla, alla base del collo, e lei urla ancora, farcendo l'artefatta sofferenza con qualcosa che assomiglia al mio nome, dimenandosi come un cobra incantato dalla bramosia. L'eccitazione di Shelly unge la mia, gli umori traboccano dal suo sesso e li sento sul mio membro, sul ventre, come se un pennello infuocato stesse miniando i contorni dell'atto che ci apprestiamo a consumare.

Mi prende il viso tra le mani e la sua lingua imita la sua intimità, leccando ogni minuscola porzione della mia pelle tra gli zigomi e le labbra. «Non ho mai voluto nessuno come voglio te, Met» mi bacia, e distinguo ogni gradazione della sua fame in questo bacio, ogni pulviscolo della sua passione in quello che sta facendo. «E non mi importa se sarò costretta a morire una seconda volta a causa di questa voglia... non mi importa chi entrerà prima o poi da quella porta per portarci via...» si interrompe, le dita piantate tra i miei capelli, gli occhi ferrigni incollati ai miei. «Non mi importa, hai capito?» mi chiede con rabbia incespicando dietro il riscontro che le manca. Se fino a pochi secondi fa cullavo ancora una vaga facoltà, seppur ferita, di saper gestire questa contingenza, adesso Shelly con il suo interrogatorio ha fatto piazza pulita di ogni mia capacità.

«Ho capito» dico con il cuore infuriato e, raddrizzandomi, vado incontro al suo corpo in fiamme, baciandola avidamente, soverchiato da un'istinto che annovera ben più di un'impellenza fisica. Credevo che le sensazioni incredibili e la prepotenza della voglia durante la nostra prima unione non potessero replicarsi; ero rimasto sbalordito dall'avvenimento, dal fatto che ci fossimo spinti tanto oltre, quando ancora ritenevo che assaggiare il suo sapore fosse impossibile: avevo in tutto e per tutto saltato a piè pari l'inconcepibile.

Senza smettere di baciarmi, Shelly si solleva sulle ginocchia, con una mano mi stringe il collo, per sostenersi, e fa scorrere l'altra per tutta la lunghezza del mio membro, guidandolo poi all'ingresso del suo sesso scivoloso. Mi sfugge un rantolo che si disperde nelle nostre bocche, ovattato dalle nostre lingue che ballano all'unisono, intrecciate in maniera così confusa che non so più qual'è la mia e quale la sua. Le prendo i fianchi e spingo il bacino proprio mentre lei si abbassa: in un attimo, che sembra lunghissimo e fulmineo al tempo stesso, sono dentro di lei, avvolto dal suo calore pulsante... sono esattamente dove devo essere.

«Cazzo!» impreco senza rendermene conto, questa volta deciso a non chiamare in causa un dio che nemmeno esiste. Voglio perdonarmi la parola, voglio guardarla e basta. Ho paura persino di muovermi. Temo possa farlo lei. «Non muoverti. Non ancora» la imploro catturando il suo sguardo incomprensibile.

«O-okay» l'assenso esce balbettante dalle sue labbra rosse, gonfie per colpa delle mie torture. Ha gli occhi umidi, velati dalla piacevole sofferenza che non era riuscita a vincere nemmeno la prima volta in cui abbiamo fatto l'amore. Ora so quello che prova...

Ora sono totalmente persuaso dello sconvolgimento viscerale di un animo pugnalato senza tregua, della bellezza di ogni singolo affondo e dell'urgenza di riceverlo con devozione. Discerno la virtù dal vizio, disintegrando tutto lo squallore degli atti sessuali consumati in passato: con Cathrine e con un profluvio infinito di esseri insignificanti quanto lei. Finalmente, contemplo con assoluta limpidezza l'incarnazione di quel sogno che non riuscivo a focalizzare mentre scopavo Cat, quella donna che tallonavo senza conoscerne l'aspetto... ignorandone il nascondiglio.

«Vorrei fermare il tempo» le sussurro premendole delicatamente la base della schiena, entrando meglio dentro di lei.

«V-vorrei potessi farlo» mi risponde serrando le palpebre.

Non reggerò ancora a lungo questo stallo. Ho l'angosciosa necessità di muovermi, o che sia lei a farlo. «Apri gli occhi, piccola. Non negarmi quella luce...» la richiesta si svilisce all'istante, perché i miei muscoli smettono di sottostare agli ordini del cervello, le mie mani, avvinghiate ai fianchi di Shelly, la costringono a muoversi e i miei occhi cedono e si chiudono automaticamente per colpa degli spasmi del suo sesso.

«Stai barando, Metcalfe!» sottolinea spavalda, volteggiando sempre più veloce.

Spalanco gli occhi e le sorrido. «Colpa tua, Signorina Morgan. Sei così dannatamente... stretta e... eccitata...» Il divano mi innervosice, il velluto mi innervosisce, tutto quello che non è lei mi provoca un fastidio immenso... tutto, eccetto noi, è totalmente indisciplinante. Punto i talloni e traino entrambi verso il basso. Prodigiosamente, manteniamo il nostro innesto perfetto, scivoliamo sul pavimento liberi da intrusioni, selvatici e primitivi come il primo uomo e la prima donna sulla terra.

«Meglio?» domanda, aggrappandosi con più vigore alle mie spalle, serrandomi le braccia attorno al collo.

«Decisamente» dico schiudendole le labbra con la lingua, inabissandomi nella sua divinità.

La nostra sincronia è scioccante, fatico a concepire l'idea che due corpi possano essersi anche solo avvicinati a una tale concordanza, a una siffatta perfezione amatoria. Shelly sospende il bacio, mi fissa, ipnotizzandomi con la brillantezza dei suoi dischi grigi, e dalla sua bocca socchiusa sgorgano i suoni più affascinanti che io abbia mai udito; la sua voce si spande, rimbombando in tutta la stanza, riecheggia nella mia testa obbligandomi a gemere, ad accordarmi alla sua sinfonia.

Il tepore si dilata, avvolgendoci nel suo abbraccio eterno. Non so dove sono, non sono dove sia lei, non so dove siamo realmente... se siamo effettivamente qui o dispersi in un luogo dissimile da tutto quello che abbiamo conosciuto fino a ora. Mi muovo dentro di lei e lei si muove su di me, e non esiste un armistizio in grado di separare questa furia, questa lotta per la sopravvivenza di un'estasi di cui agognamo la perennità. Il benessere che sento è un qualcosa che non potrò mai descrivere a nessuno, nemmeno a me stesso, nemmeno se avessi a disposizione l'infinità dei secoli o delle parole. Lei è il miglior sbaglio della mia esistenza, la miglior morte che potessi augurarmi.

«Oh, Met!» grida tirandomi i capelli e io chiudo una ciocca svolazzante dei suoi in un pugno. «Met, Met, Met...» continua, singhiozzando tra un urlo e l'altro.

«Shelly!» ringhio, affondandomi gli incisivi nel labbro. Vorrei toccarla meglio, vorrei fare di meglio, vorrei sopperire ad ogni mia imperfezione per regalarle la perfezione che merita. «Dimmi cosa vuoi, piccola» mi arrendo.

«Ho tutto...» la sua intimità si contrae bruscamente. Sussulto in preda alla frenesia improvvisa. «Tu sei...tutto quello che voglio».

La giustizia: eccola qui, di grazia. Io e lei nell'abisso cupo della fine, con i violini in fiamme per lo strazio di suonare per noi.

Io.

E lei.

Ancora un'ultima volta. Ancora nel rigurgito di un tempo già trascorso. Ancora l'uno dentro l'altra... ancora e ancora...

Per un'ultima notte ancora...

***

Signori, è un capitolo un po' confuso, me ne rendo conto; è stato scritto un po' sul telefono, un po' su PC e parecchio di fretta. Mentre scrivevo (e lo sapete come funziona sul cellulare, no? Scrivi, scrivi, e la parte sopra scompare e il filo logico va a p******!) mi rendevo conto dei troppi "che" dei troppi "mio" e "suo"... della gonfiata di aggettivi, di avverbi senza senso... insomma una catastrofe! Accontentatevi, magari un giorno riuscirò a proporvi una revisione all'altezza di ciò che volevo esprimere.

Questo capitolo è importante per tanti motivi che vado a elencare:

1. per la cit. iniziale (raramente uso frasi di un film/telefilm) per me #JaxTeller dei #SonsOfAnarchy è la figura che ha raggiunto e superato il concetto di Morte che tutti conosciamo; ripeto: per me! E' l'uomo che ha sfidato la mietitrice e ha vinto nel modo più alto e favoloso che io abbia mai visto, letto, studiato o semplicemente sentito.

2. per l'aggancio al prologo, scritto di getto un giorno senza sapere nemmeno chi fosse Metcalfe o la ragazza ai piedi del suo camino.

3. per le due songs che hanno accompagnato a random tutta la stesura: "One Last Night" di Vaults (da cui il titolo) e "Non Ci Guarderemo Indietro Mai" dei Negrita.

4. per la dedica a Stylesismydroug che ha dimostrato una passione incredibile e una cosatanza altrettanto sovrumana per #Metcalfe e che ringrazio per il riscontro positivo sulla sensualità di Met.

5. per il fatto che... - rullo di tamburi - sì, sto davvero facendo pace con #JamieCampbellBower, manca poco... non dico che riesca finalmente a farmi sangue ma, per lo meno, sto imparando a verderlo sempre di più come un uomo e non come un ragazzino

6. ultimo, ma non meno importante, per il fatto che ogni sensazione, ogni parola, ogni emozione e ogni azione, scritta a "dick of dog", sono cose realmente accadute, quindi con un significato completamente opposto alla fantasia...

Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui!

bite ^,..,^



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