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13. Champagne Kisses

"Se i morti possono tornare su questa terra e muoversi invisibili tra coloro che amano, io ti sarò sempre accanto; 

nella luce abbagliante del giorno e nell'oscurità della notte, nei tuoi momenti più felici e nelle ore più tristi, sempre, sempre; se una brezza leggera ti sfiorerà le guance, sarà il mio respiro; se l'aria fresca porterà refrigerio alla fronte pulsante, quello sarà il mio spirito che ti passa accanto."

La mano sinistra di Dio - Paul Hoffman

"Allora baciami", avevo detto, accorgendomi che la mia mente, la mia anima, e forse anche il mio cuore, gli avevano concesso l'autorizzazione già da prima, quando lo avevo riconosciuto al cimitero, quando mi aveva salvata da quegli orribili mostri che mi attorniavano. 

Si tende sempre a mentire, per primi a sé stessi, per apparire più candidi, non so... per assecondare un rifiuto di quella parte di noi che ci vergognamo di mostrare al resto del mondo, a quei giudici intransigenti e farisei, armati di penne e fogli pieni di caselle, pronti a barrare quelle con i numeri più bassi. Molto più bassi.

Metcalfe smette di respirare, il suo petto è inerte, e trattenendo il respiro si avventa su di me, le sue mani si legano al mio collo; a sorpresa, è riguardoso, con le dita suona alcuni capelli incollati alla mia pelle, come se fossero i tasti di un pianoforte, e i suoi occhi ballano nei miei a un ritmo che ha dell'incredibile.

Non so cosa lo sta trattenendo, se è davvero frenato da qualcosa o se più banalmente vuole che sia io a esaurire la distanza che separa le nostre bocche. Un tremito squote le sue labbra e le fa ondeggiare come le corde slacciate di una chitarra. Mi guarda con bramosia, come se fossi l'oggetto più raro che abbia mai visto, e la sua esitazione non fa altro che scatenare in me un'incontrollabile desiderio.

«Baciami, Metcalfe» ripeto soffiandogli le parole sulle labbra carnose.

Con i pollici risale fino al mento, i suoi sfioramenti sono dei brividi che raggiungono direttamente la mia intimità, poi li posa sul mio labbro inferiore e inizia a massaggiarlo. La coscienza della sua pelle calda sulla mia è meravigliosa, tanto quanto il suo profumo di legno che narcotizza ogni piccolo rimasuglio della mia ragionevolezza.

«Sei così...bella. Hai dei colori stupefacenti e il tuo disegno è abbagliante» bisbiglia continuando a toccarmi. Mi è chiara solo la prima parte della sua frase, tutto il resto sono pensieri che non comprendo.

«Metcalfe» dico posando le mani su di lui; provo un feroce imbarazzo che non sono abituata a gestire, solitamente mi è facile prendere dagli uomini ciò che desidero, e gli elogi o il pudore non sono annessi alla merce scelta. Mai. La sua fisicità, nonostante sia intrappolata dai vestiti, è prepotente e sento tutto il calore che emana, un fuoco in cui vorrei gettarmi all'istante trascurando ogni possibile conseguenza.

«Sto per baciarti» annuncia inumidendosi le labbra. Sposta le mani a circondarmi il viso. «Quindi è la tua ultima occasione di rifiutarmi».

«Smettila di parlare, Signor Nott...» e non mi lascia il tempo di sfoderare il commento sarcastico che avevo in mente perché le sue labbra catturano le mie, dapprima gentili e poi sempre più fameliche; assaggia la mia bocca con movimenti di cui non sospettavo nemmeno l'esistenza, ed è una sensazione trascendentale, come se fossi io stessa a gustare il mio sapore. Gli circondo le spalle con le braccia, affondando le dita nei suoi capelli morbidi, lo stringo a me e mi lascio andare, mentre quella scarica tra di noi erompe in un immensa sfera di energia che divora entrambi.

Non esiste più un io o un lui, siamo qualcos'altro di inspiegabile e ultraterreno, questa unione è talmente giusta da alterare le nostre individualità, da renderle insignificanti, due piccoli nuclei primordiali, spenti e sterili. La sua lingua sa di champagne e menta, fresca e al tempo stesso ustionante sulla mia. Credo di non aver mai preteso alcunché con tanta intensità, è come se Metcalfe incarnasse tutti i desideri più oscuri del mio cuore, tutte le cose inconfessate e pericolose che mi sono prodigata a nascondere nel profondo della mia anima. Non so come ci riesca, se sfrutti o meno l'ausilio di qualche stregoneria, com'era accaduto a casa sua con le tre diverse versioni del panorama di Burgos, so semplicemente che niente in lui trasuda malvagità.

Metcalfe mi abbraccia, interrompendo il bacio. «Devi fermarmi» La pelle nivea è arrossata sulle guance. «E devi farlo tu perché io non credo di riuscirci» confessa ansimando.

In risposta, lo tiro più contro di me, indietreggiando fino sentire sul retro delle ginocchia il bordo liscio di quella sorta di letto al centro della stanza; sento la sua voglia premermi sul ventre, tento invano di riprendere il controllo sulle mie azioni ma il mio corpo si muove per conto proprio, governato da un istinto che mi è impossibile contrastare.

«Non voglio fermarti, Metcalfe» dico sinceramente scrutando l'azzurro dei suoi occhi. «E' davvero l'ultima cosa che voglio, adesso».

Ora manca la pace, ecco quello che non c'è... la metodica tranquillità della fantasia di due persone che si conoscono e sanno quello che devono fare. Siamo in guerra, ed è uno scontro indispensabile, categorico, nessun generale potrebbe richiamarci all'ordine in questo momento, i nostri fucili sono puntati dritti al petto dell'avversario e siamo pronti a premere il grilletto.

Lui sorride, coccola le mie spalle facendo scivolare le spalline del vestito fino ai gomiti; queste attenzioni, la sua cura, mi lasciano senza fiato e adesso sono io che smetto di respirare per non perdermi nemmeno un brivido scatenato dai suoi gesti.

«Sei stupenda, Shelly» dice contemplando il mio seno. «Non ho mai avuto tanto timore di toccare qualcuno in tutta la mia esistenza» aggiunge come se parlasse tra sè, e trovo la sua rivelazione magnifica.

Non riesco a rispondere, gli prendo la maglietta, arrotolando l'orlo leggero, e gliela sfilo con fluidità lasciandola cadere a terra. Il chiarore e la perferione della sua pelle mi turbano e sento l'eccitazione sgorgare tra le gambe, un'incontinenza benigna che accolgo con gratitudine. Il mio corpo sguscia dall'abito che, solleticandomi, si raccoglie alle caviglie. Le mani di Metcalfe riscaldano tutta l'area prima coperta e lui si inginocchia strusciando il viso sul mio ventre, inspirando a fondo.

Lo guardo dall'alto, accarezzandogli la testa, sembra inchinato alla mia totalità, e quando mi spinge delicatamente dalle cosce mi abbandono e mi siedo sul nostro letto.

Si ferma tra le mie gambe, regalandomi ogni minima parte del suo interesse. «Sdraiati» mi impone con dolcezza.

Faccio come dice, lasciando aderire la schiena alla superficie soffice, ricomincio a respirare cautamente e sento il cuore in un crescente tamburellare nelle mie orecchie. Metcalfe solleva l'elastico dei miei slip, che si avvolge su se stesso mentre scorre verso il basso, me li toglie e io serro appena le gambe, vergognosa di quella nudità di cui sono sempre andata molto fiera. Abbasso il mento e lo vedo in piedi, concentrato su di me intanto che si sbottona i pantaloni, iclina la testa e, quando è finalmente nudo, si passa rapido una mano tra i capelli per rimuovere alcune ciocche invadenti dal viso. Lo spettacolo, a cui sto assistendo trepidante, non ha precedenti nell'archivio della mia memoria; la sua erezione annienta il concetto di volgarità, e le sue proporzioni sono di uno splendore unico, progettate dal più abile degli ingegnieri antropici, ammesso che esista la categoria.

Alla vergogna si aggrega un'antipatica sensazione di inadeguatezza, come se per lui io potessi non essere abbastanza, come se fosse impossibile pareggiare la sua perfezione. Il pensiero si protrae anche mentre la sua bocca brucia sulla mia pelle, mentre la bacia e la succhia , e mi scopro vittima di un'incoerenza viziosa che mi fa sentire a disagio e nel contempo partecipe e vogliosa di tutto questo miracolo.

Metcalf si sdraia su di me, la sua mano risale lungo la mia gamba e le sue dita trovano il mio sesso, insopportabilmente pronto e in netto ancipito sul suo tocco; con un dito lambisce il clitoride e con un altro viola la segretezza della mia intimità, è un folgore di puro piacere che aumenta notevolmente quando le sue labbra ritrovano le mie, molto più avide rispetto al nostro primo bacio.

«Mio dio...» dice piano, fissandomi negli occhi.

«Dovrebbe essere la mia... battuta, Signor Nott» la voce mi esce spezzata dal ritmo eccellente delle sue dita dentro di me.

«No» dice, un angolo delle sue labbra si solleva in un mezzo sorriso sornione. «E' decisamente la mia» ribadisce ricominciando a baciarmi. Il suo corpo si tende e il suo membro duro mi schiaccia l'interno coscia; so che non manca molto, tra poco faremo l'amore, e non c'è altro posto in cui vorrei essere se non qui, circondata da lui e da questo attimo infinito di attesa che precede la nostra unione.

Preme forte le mani sui miei fianchi, sistemandosi meglio tra le mie gambe. Io non riesco più a resistere e chiudo gli occhi inarcando la schiena, la mia nuca bucia per la frizione sulla pelle dello strapunto, ma non ha importanza, mi fornisce solo un'altra prova del fatto che tutto questo sta accadendo veramente. Io sono qui. Lui è qui, straniero ma sorprendentemente degno della mia fiducia, meritevole del mio corpo e della mia interiorità.

Appoggia la punta del pene all'ingresso bagnato della mia vagina, spalanco gli occhi, sopraffatta dall'emozione, e lui mi guarda ancora, laconico, ancora per chiedermi il permesso.

«Aspetta!» dico ricordandomi improvvisamente cosa sto facendo. La fronte di Metcalfe si increspa e le sue azioni si interrompono. «Sei a posto? Intendo... non hai...»

Scoppia a ridere, e la sua risata è arrochita dalla malizia disegnata nelle sue pupille brillanti. «Non devi preoccuparti di questo. Sono sano come un pesce».

«Oh... bene» mormoro sollevata, ricambiando il sorriso.

«Sì» sussurra lui. «Bene». Mi infila la lingua in bocca con un movimento lento e sensuale. Il sapore dello champagne è sparito completamente, ora tutto sa di noi e basta.

Porca miseria, sta succedendo sul serio! Passo in rassegna tutti i ricordi intrappolati nella mia testa, immagini di Burgos, dei suoi abitanti e di me in questo posto infernale. Sforzandomi di definire i particolari di ogni scena, mi rendo conto che i soli istanti in cui mi sono sentita al sicuro e... vagamente felice sono quelli in cui ero in compagnia di Metcalfe. L'unico richiamo a cui non sono sfuggita è il suo, e non sto fuggendo neanche adesso, anzi, è come se corressi alla volta del suo fascino con smaniosa disperazione.

I suoi capelli mi solleticano il viso e poi il collo, la sua bocca scende ad avvolgermi un capezzolo, e libero un gemito quando lo succhia, mordicchiandolo appena. Non mi accorgo che gli sto graffiando la schiena, come non mi rendo conto di fare altrettanto sulla finta pelle su cui siamo sdraiati, ma lo faccio ed è il mio grido muto, il mio ricercare un appiglio per non affondare in questo oceano di sensazioni incantevoli.

Metcalfe entra dentro di me e io urlo, non per il dolore ma per lo stupore di sentirmi così immensamente adeguata, si puntella sui gomiti, lasciandomi una scia di baci sul collo, e poi il suo sguardo ardente cattura il mio. E' bellissimo e non so come riesca a far sentire bellissima anche me.

«Tutto bene?» mi domanda tra un ansito e l'altro.

Annuisco, incapace di trovare le parole, e lui inizia a muoversi piano, entrando più in profondità. Le mie mani gli circondano il viso e le mie gambe si intrecciano alle sue, con i talloni gli sfioro i polpacci in tensione.

«Adoro questa posizione» dice aumentando le spinte.

«L'adoro anch'io» confesso mentre un formicolio turbina nella mia pancia iniziando una rapida discesa.

«Continua a guardarmi, non chiudere gli occhi» dice. «Ti prego» implora per paura che io possa negargli il suo desiderio.

«Ti guardo» dico semplicemente.

Metcalfe accelera il ritmo. «Ti vedo» bisbiglia. Mi bacia e poi torna a concentrarsi sul mio viso.

Sopra di noi, le travi di legno formano una corona attorno alla sua testa, che mulina fino a sfocarsi. Probabilmente è la vista a giorcarmi un brutto scherzo, perché il volto di Metcalfe, invece, rimane inalterato.

Non posso fare a meno di chiederglielo. «E tu...» mi mordo il labbro per contrastare un fortissimo fremito. «Tu, stai bene?».

Le sue braccia si spostano più in alto sotto le mie, le dita percorrono le scapole e poi si avvinghiano alle mie spalle ancorandovisi con forza. «Credimi, piccola... non potresti nemmeno avvicinarti a capire quanto io stia bene ora, qui con te». La sua risposta è rassicurante, ma non credo di essere poi tanto distante dal suo benessere.

Non mi sono mai sentita così completa in tutta la mia vita. Ho fatto sesso con uomini diversi, con alcuni solamente dopo poche ore di conoscenza, forse ho fatto anche l'amore, ma nessuna di quelle volte riesce ad eguagliare le sensazioni che sto sperimentando con lui. Ci sono tante versioni di me che mi stanno osservando da lontano, versioni di una Shelly a letto con i suoi ex ragazzi, le vedo da una prospettiva aerea e questo dimostra quanto io e Metcalfe siamo superiori a tutto il precedente.

«Metcalfe!» pronuncio il suo nome e il suono viene storpiato dall'approssimarsi di un piacere a cui non ho la forza di oppormi. Lui si muove sempre più veloce, perdendosi in me e riuscendo a conquistarsi ciascun frammento delle mia oscura sensibilità.Tutti i miei muscoli si contraggono in sincrono e il calore che mi attraversa il corpo viene iniettato direttamente nel suo.

«Shelly» ringhia, e le sue iridi di cielo fiammeggiano sequestrando la mia espressione sconvolta.

«Forse...dovresti...» riesco a malapena ad avvertirlo.

«Shh... stai tranquilla, non può accadere nulla».

Registro distrattamente la sua replica perché il mio cervello è invaso dalle fiamme, le avverto blandire senza sosta il retro dei miei occhi, e so già cosa sta per accadere, esattamente come lo sapevo quando ero rannicchiata davanti al cancello del cimitero. E, poi, eccole qui, di nuovo, potenti, invadenti, ingorde e assolutamente giuste: le lacrime; inondano tutto ciò che incontrano, ingrossandosi e rompendo gli argini, sfociano sul mio viso manifestandosi in tutta la loro sensatezza. Per la seconda volta nella mia vita, accolgo il pianto come un'avvenimento necessario, ora servono per esaltare questo gemellaggio irripetibile e sono felice di fare la conoscenza delle lacrime di gioia, così a lungo estranee al mio modo di essere.

Raggiungiamo il culmine dell'estasi insieme, ripetendo i nostri nomi all'infinito e sugellando l'atto con lo scambio di sguardi più favoloso di sempre. Siamo un corpo unico che galleggia nell'eternità di questo universo solo nostro. Ed è bellissimo.


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