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Capitolo 4 • Appiglio

Athena's pov

Quella lezione di storia si stava rivelando più noiosa del previsto, Mrs Wallace sapeva come rendere fatti accaduti centinaia di anni fa terribilmente noiosi e quel giorno stava evidentemente dando il peggio di sé nello spiegare la nascita dell'anglicanesimo qui nel Regno Unito.

La pioggia battente che si infrangeva con prepotenza contro i vetri di certo non aiutava la mia concentrazione già minima, era passata una settimana da quella sera, ma non era cambiato nulla, non in meglio almeno, anzi, ogni giorno mi assalivano nuove domande a cui non sapevo dare una risposta, ogni giorno stavo sempre peggio.

Mi sentivo davvero uno schifo, mi era anche capitato di avere dei leggeri attacchi di panico quando qualche ragazzo mi sfiorava per sbaglio nei corridoi o posava troppo a lungo lo sguardo su di me, la mia mente iniziava a fare pensieri strani, delle volte i loro volti si trasformavano in quello di Jake e avevo bisogno di tutto l'autocontrollo possibile per non mettermi a urlare.

Ero stanca di vivere così, costantemente asfissiata dai ricordi e dalla paura, avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo, ma allo stesso tempo ogni volta che provavo ad aprirmi con Jade mi sentivo anche peggio.

Ero in trappola.

Avevo anche ripreso a correre sperando che mi avrebbe aiutato a sfinirmi e a smettere di pensare almeno per un po', ma l'unico risultato che avevo ottenuto era l'avere il corpo a pezzi e l'anima pure; non c'era cura al malessere che stavo vivendo e avevo paura delle conseguenze che poteva avere quel peso se portato troppo a lungo in silenzio.

Fortunatamente Mrs Wallace attirò la mia attenzione sventolandomi una sua mano ossuta davanti al volto, distogliendomi da quella spirale cupa in cui ultimamente la mia testa continuava a perdersi.

«Signorina Jones, devo dedurre che lei sia già preparatissima sull'argomento visto che non sta prestando la minima attenzione» mi rimbeccò la prof, risistemandosi gli occhiali che le erano scivolati sul naso adunco.

Jade, che era anche la mia vicina di banco, mi tirò una gomitata, rivolgendomi poi uno sguardo di rimprovero.
Dalle volte dimenticavo quanto ci tenesse alla scuola.

Tutta l'attenzione della classe ora era concentrata su di me.

Benissimo.

La prof mi fissava in attesa e non potetti far altro che scusarmi con lei, promettendole di stare più attenta da quel momento in poi.

Ovviamente non fu una promessa che riuscii a mantenere a lungo.



Al termine della lezione ficcai alla rinfusa i libri nel mio zainetto nero, alzandomi per raggiungere finalmente la mensa, non che avessi fame, ma davvero non ne potevo più di restarmene seduta lì in classe a fingere che andasse tutto bene.

Jade però mi afferrò un braccio prima che potessi anche solo fare un passo fuori da quella stanza, dalla sua presa ferrea intuí che stavolta non si sarebbe accontentata di una banale scusa.

«Tee, mi dici che cazzo ti succede? Sembri un vegetale, sei qui ma allo stesso tempo sembra che tu non sia minimamente presente» sbottò la bionda al mio fianco, andandosi a sedere sul banco di fronte, quei suoi occhi blu pretendevano una risposta che ahimè io non ero pronta a darle, erano duri come l'acciaio, sembravano quasi leggermi dentro.

Eravamo rimaste sole in aula, anche gli ultimi compagni se ne erano andati, cadde il silenzio, interrotto solo dal rombo di qualche tuono in lontananza.

«Hai ragione Jade, è un periodo un po' difficile a casa, ho litigato con Em» mentii, pur sapendo quanto suonasse vuota e falsa quella frase.

Infatti la mia migliore amica non ci credette, o almeno questa fu la mia impressione, quando con tono deluso mi rispose: «Ah, mi dispiace Tee, sai che puoi dirmi tutto».

Leggevo chiaramente il doppio senso dietro quelle parole, ma lasciai cadere lì il discorso, trascinandomela dietro alla volta della mensa.

Quel giorno era particolarmente piena, come ogni lunedì infatti, c'era la carbonara come piatto del giorno, afferrai la mia porzione dopo dieci minuti di fila, ringraziando distrattamente la donna che me la stava porgendo, non notai neppure che ci aveva messo sopra il formaggio, cosa che normalmente mi avrebbe fatto schifo.

Rimpiangevo la vecchia me, che doveva preoccuparsi solo di un po' di parmigiano finito per sbaglio sulla pasta.

Trovammo un tavolo vuoto e ci lasciammo cadere su quelle scomode panche, Jade divorò la sua porzione in meno di cinque minuti, mentre la mia si stava ormai raffreddando e io mi ero limitata a mandare giù solo qualche pennetta controvoglia.

«Non mangi?» domandò la mia migliore amica, studiando il mio piatto ancora pieno con aria affamata.

«Non ho fame» avrei voluto aggiungere qualcos'altro, ma ero a corto di parole quel giorno.

«Posso mangiarlo io?» annuì, passandole il mio pranzo, felice che non sarebbe andato buttato.

Jade mi guardò in modo strano per il resto della giornata a scuola, restandomi appiccicata più del solito, avevo come l'impressione che mi stesse tenendo d'occhio e tutto ciò contribuì a farmi sentire ancora peggio.

Fantastico, ne avevo proprio bisogno.

Ma furono le parole che mi disse mentre stavamo aspettando il bus per tornare a casa a farmi gelare il sangue.

«Tee senti, puoi ridarmi il mio abito rosso? Quello che ti avevo prestato per il White Jam? Venerdì forse ci torno e non so cosa mettermi».
Strabuzzai gli occhi, evitando accuratamente di incontrare i suoi.

Non sapevo se a farmi più paura fosse l'idea che lei tornasse in quel posto oppure la sua reazione quando le avrei detto che l'avevo buttato, in ogni caso avrei dovuto affrontare un problema alla volta.

«Oh, cazzo, mi ero dimenticata di dirti che mi si era strappato e ho dovuto buttarlo!» in realtà, nella foga del momento, quando avevo chiesto a Dylan di buttare quel dannato vestito mi ero completamente dimenticata fosse di Jade.

Quest'ultima mi stava di fronte, le braccia incrociate per ripararsi dal freddo, avvolta da una spessa sciarpa dello stesso colore dei suoi occhi, occhi che al momento erano quasi... delusi?

«Jade ti prego perdonami io... è stata una strana serata quella, mi ero completamente dimenticata di dirti dell'abito» definirla strana era l'eufemismo del secolo e non rendeva neanche minimamente l'idea.

«Non solo dell'abito...» la sentii mormorare, ma non potevo né volevo approfondire la questione, quindi finsi di non aver sentito e tentai di scusarmi e nel farlo mi giocai l'arma dello shopping, l'unica in grado di farmi uscire incolume dalla sua ira ogni volta che Jade e io litigavamo.

«Che programmi hai per domani pomeriggio?» le chiesi ammiccando, ed ecco che un sorrisetto furbo tornò a far capolino sul suo viso imbronciato, la conoscevo più di quanto forse conoscessi me stessa.

«Mhhhh, non ho impegni, perché?»

«Ti porto in un posto, fidati di me» asserì, sicura che ormai si fosse lasciata la questione alle spalle,  era fatta così, non riusciva a tenermi il muso per più di un minuto quella ragazza, per mia fortuna, perché per me quell'amicizia significava tantissimo, era da sempre stato il mio punto fermo, forse anche più di Emily, per via della nostra differenza d'età.

Infatti me la ritrovai appiccicata due secondi dopo, stretta nel suo abbraccio stritola-ossa mi sentivo più forte, il suo profumo familiare mi riportava ricordi felici, che per un attimo invadevano la mia mente, scacciando via quelli più brutti.

Inizialmente, quando l'idea mi era balenata in mente, avevo considerato l'andare a fare shopping al pari di una tortura, ultimamente le occasioni sociali le evitavo come la peste, ma la delusione negli occhi di Jade mi aveva spinto a farle quella proposta e forse mi avrebbe persino fatto bene trascorrere del tempo con lei, come facevamo un tempo.

Tutto sommato avevo avuto ragione, non fu un pomeriggio pessimo quello passato da Primark con Jade, anzi. Mi divertivo a vederla così entusiasta per qualcosa di così banale come dei vestiti, la sua spensieratezza era quasi contagiosa e mi rese più serena in quelle ore, era capitato persino che mi sfuggisse qualche sorriso di tanto in tanto.

Parlammo tantissimo, mi aiutò a tenere la mente occupata, come se sapesse quanto ne avessi bisogno: mi raccontò di quanto in realtà il rifiuto di Finn l'avesse resa insicura e avrei voluto gridarle che era meglio così, che lei non aveva bisogno di qualche ragazzo per sentirsi più bella o più donna.

Però mi morsi la lingua e rimasi in silenzio, quell'argomento era off-limits al momento.

Quando ormai aveva afferrato così tanti vestiti che a stento riuscivo a vederle il viso si convinse a entrare nel camerino per provarli, io non avevo preso nulla e così decisi di aspettarla fuori per darle il mio parere; chiuse faticosamente la tenda del suo camerino e mi rivolse un ultimo sorriso prima di sparire dietro quest'ultima.

«Come mi sta?» mi chiese per la milionesima volta, sfoggiando un abitino verde petrolio in raso che le metteva in evidenza il fisico asciutto e le gambe lunghe.

Sospirai. Come poteva anche solo dubitare di se stessa a causa di quell'idiota.

«Sei stupenda Jads!» esclamai sorridendo, in tutta risposta mi si avvicinò, regalandomi una piroetta per mostrarmelo meglio, sembrava una bambina la mattina di Natale, mentre saltellava davanti a me, incurante degli sguardi corrucciati che le rivolsero gli altri clienti.

«Dammelo così vado a pagarlo mentre tu ti rivesti» le ordinai da dietro la tenda chiusa, che subito dopo si aprì rivelandomi una Jade ancora più felice di qualche attimo fa, anche se non lo credevo umanamente possibile.

Tentò di dissuadermi dal regalarglielo ma il senso di colpa non mi avrebbe mai permesso di farlo pagare a lei, così mi ritrovai in fila davanti alle casse, stringendo tra le mani quel pezzo di stoffa verde.

«Athena!» sentì una voce chiamarmi, riscuotendomi dall'ennesimo viaggio senza meta che avevano intrapreso i miei pensieri.
Ci misi qualche secondo per individuarne il colpevole, finché il mio sguardo non si posò su un paio di fossette e su due occhi color miele.

Dylan, a pochi metri da me, mi guardava sorridendo, agitando imbarazzato una mano nella mia direzione, era bello rivederlo di nuovo, avevo avuto una buona impressione su di lui, nonostante le circostanze che avevano permesso il nostro incontro.

Pagai l'abito e lo raggiunsi all'esterno del negozio, mentre Jade era ancora in fila per comprare altri vestiti che avrebbero contribuito ad accrescere la pila che giaceva già sulla moquette della sua stanza, ne ero certa.

«Allora» esordì incerto, grattandosi la nuca e fissandosi le scarpe, «come stai?».

Era bello poter finalmente parlare con qualcuno che sapeva, mi resi conto, ed era ancor più bello leggere la sua preoccupazione mentre sceglieva le parole migliori per parlarne senza farmi male.

«Non lo so, sinceramente» mi dissi che con lui avrei potuto smetterla di fingere ed essere semplicemente me stessa, dopotutto era poco più di uno sconosciuto e non poteva giudicarmi così, su due piedi.

Le mie teorie furono confermate da uno sguardo comprensivo che valse più di mille parole, sapevo che avrebbe voluto chiedermi altro, ma quella risposta doveva averlo sorpreso, perché alla fine non lo fece. Si limitò a scrollare le spalle e a scuotere il capo, facendo tintinnare i cerchietti argentati che gli pendevano dal lobo destro.

«Vorrei poterti dire che ti capisco, ma non so neanche lontanamente cosa provi, però sappi che se hai bisogno di parlarne io ci sono Athena».

Non sapevo perché, ma sentivo di potermi fidare di lui, dei suoi modi gentili e della sua pacatezza, non mi resi conto che stavo già annuendo alla sua frase.

«Grazie Dyl, vorrei ringraziarti per tutto quanto, sei stato davvero un angelo con me quella sera, posso offrirti un caffè o quel che ti pare per sdebitarmi?»
Volevo sembrare sicura di me, ma in realtà non avevo mai chiesto ad un ragazzo di uscire, anche se quella tecnicamente non era un'uscita, ma semplicemente un modo per ringraziarlo.

Un lampo di sorpresa guizzò tra le sue iridi chiare, temetti che rifiutasse la mia proposta, dopotutto aveva ventidue anni e forse non si sentiva a suo agio ad uscire con me.
Quell'attimo di silenzio durò una vita, poi finalmente schiuse le labbra e mi regalò un altro dei suoi dolci sorrisi.

«Solo se mi permetterai di pagare la mia parte Athena, non mi devi nulla, stai scherzando?»

Risi perché era buffo quando cercava di fare il duro, ed era strano sentire di nuovo quel suono provenire da me e non da Jade.
Senza darmi il tempo di capire cosa stesse facendo afferró il cellulare che stringevo tra le mani e inizió a digitare qualcosa, qualcosa che somigliava ad un numero di telefono.

«Ecco» mi restituí quel catorcio con lo schermo pieno di schegge, «fammi uno squillo così anch'io ho il tuo numero, poi ci mettiamo d'accordo per messaggio».

Così feci, mentre una Jade esuberante ci raggiungeva lí fuori portando quattro buste stracolme, alternando il suo sguardo tra di noi, pensai di essermelo immaginato, ma vidi un sorrisetto furbo nascosto sotto quella sciarpa blu.

«E questo chi è?» chiese senza troppe cerimonie, riferendosi al ragazzo che mi stava accanto.
Pensai a cosa dirle ma lui mi precedette, presentandosi a Jade.

«È amico di Emily» aggiunsi qualche secondo dopo, tanto per tranquillizzare la mia migliore amica, che sicuramente aveva iniziato a pensare cose strane vedendoci insieme.

«Ah, non sapevo che tua sorella avesse amici così carini» sussurrò al mio orecchio, ma fui sicura che Dyl riuscí a sentirla, perché le sue guance divennero leggermente più rosse del solito.

Trascinai via Jade prima che potesse mettermi ulteriormente in imbarazzo con lui, salutandolo frettolosamente prima di infilarci nel negozio di fronte.

«Ci vediamo allora»
«Sí, ci vediamo» rispose.

*angolino autrice*

Ehilà gente, come state?
Che ne dite della piega che stanno prendendo gli eventi?
Dyl e Athena sembrano molto in sintonia ma vedremo cosa accadrà durante il loro appuntamento non appuntamento!

A presto
-RNW

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