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06. Dolce non ricordare

Non avevo la più pallida idea di dove diavolo fossi.

Indossavo una maglietta degli AC-DC grigio chiaro, effetto vintage, che mi faceva da vestito e nient'altro. Soprattutto, non avevo nemmeno le mie mutandine.

Mi tirai su appoggiandomi sui gomiti per guardarmi intorno. Intravidi su una panca posta ai piedi del letto i miei vestiti accuratamente piegati, i miei sandali, la mia borsetta e, grazie a Dio, il mio perizoma. L'unica cosa che mi rincuorava era che il letto dove mi ero svegliata sembrava stropicciato solo dalla mia parte. Non dava l'idea di averlo condiviso con qualcun altro.

Il mio telefono era in carica sul comodino. Lo afferrai immediatamente e feci partire una chiamata verso il numero di Anna, ma rispose la Vodafone.

Come diavolo avevo fatto a ridurmi così, in completa amnesia? Mi ricordavo solo di aver bevuto due miseri Moscow Mule in tutta la serata e di essere andata verso la spiaggia per smaltire lo sconforto di non aver incontrato Christian. Poi, più nulla.

Mi alzai e mi rimisi il perizoma con un nodo alla gola che mi permetteva di respirare a stento. Di chi poteva essere quella casa? Forse di qualche amico di Davide ed eravamo finiti a fare festa dopo il The Cave? Questo però non spiegava perché ero senza mutande. Non mi ero mai trovata in una situazione di perdita della memoria simile. Dovevo recuperare il controllo e iniziai con l'analizzare l'ambiente intorno a me.

La stanza era per la maggior parte rivestita in legno chiaro. La parete alla mia sinistra era ricoperta da pannelli lisci, mentre quella di fronte era rivestita di pannelli a listelli su cui era incastonato anche un grosso schermo. Sulla destra, un'immensa vetrata dava su un giardino con piscina. Ecco! Forse avevo fatto il bagno in in biancheria intima e per dormire me l'ero tolta essendo bagnata. Mi sedetti sul davanzale della vetrata che, in tutta la sua profondità, era dotato di cuscineria. Era un ambiente estremamente elegante e minimale, dalle linee pulite e ben bilanciate. Il risultato finale era quasi asettico, se non fosse stato per il calore che concedeva il legno.

Di primo acchito poteva sembrare la camera di un albergo, ma la piscina era chiaramente ad uso privato. Aveva intorno solo quattro sdraio. Sotto la veranda, invece, si trovava un piccolo soggiorno, un tavolino, un tavolo da pranzo e una zona barbecue. Ad occhio e croce, tra le rifiniture e il giardino, era una casa che poteva valere sopra il milione di euro, o molto di più, considerando che non avevo idea né della metratura totale, né della posizione. Questo ammesso e concesso che mi trovassi ancora a Santa.

Mi rialzai lentamente in preda alla peggior emicrania di sempre. Una volta individuata la porta, perfettamente mimetizzata tra la parete a listoni, uscii dalla camera. Mi trovai in un piccolo corridoio con altre quattro porte e una scala di cemento spatolato senza ringhiera.

Diedi un'occhiata alla t-shirt che indossavo, valutando se scendere le scale in quelle condizioni. Il tessuto mi arrivava a metà coscia. Non ero molto presentabile, ma c'erano buone probabilità che quella abitazione fosse di una qualche famiglia degli amici di Davide e dubitavo che mi avessero portato a dormire lì con i genitori in casa.

Scendendo le scale fui travolta da un meraviglioso profumo di caffè speziato. La mia pancia prese a brontolare per conto suo, ignorando la tensione dovuta al mio senso di smarrimento.

Iniziai ad intravedere il salone. Il resto della casa sembrava avere lo stesso stile della camera dove mi ero svegliata. Il soggiorno era scaldato da un enorme divano in cuoio e da una poltrona Chesterfield dello stesso rivestimento. Diverse piante di palme e banani creavano un piccolo angolo jungle tra la porta di ingresso e la parete, sempre a listelli, dove si trovava un enorme televisore e un finto camino che percorreva tutta la lunghezza dello schermo.

Non ero ancora arrivata in fondo alla scala, ma avevo intuito che una volta scesa, guardandomi sulla sinistra, avrei trovato una grossa cucina. Sentivo rumori di piatti e posate e una vecchia canzone di Lenny Kravitz. Again.

Quando mi voltai, lui era là davanti a me, scalzo con i capelli bagnati e con addosso solo un costume blu scuro fatto a boxer. Essendomi ritrovata tra le sue braccia, era facile immaginarmi che sotto i suoi abiti sartoriali ci fosse un fisico estremamente tonico e muscoloso. Ma rimasi comunque di stucco, perché non ero preparata a tanta bellezza e perfezione.

Lo avevo cercato per tutta la notte e ora eravamo lì, uno davanti all'altra, mezzi svestiti. Probabilmente mi trovavo in un'altra sua dannatissima casa, senza avere il minimo ricordo di come ci fossi finita e soprattutto di cosa avessimo fatto quella notte.

Iniziai a sentire il panico salire dalle mie budella, ma questo non mi impedì di squadrarlo da capo a piedi, pensando che il suo corpo rispettasse tutte le proporzioni dettate dal canone di Policleto.

Lui fece lo stesso con me, passando in rassegna le mie gambe e i miei piedi scalzi che si muovevano nervosamente. Poi distolse lo sguardo e indossò una camicia di lino bianca che era appesa a uno degli sgabelli della cucina.

Lo ringraziai mentalmente perché avere davanti i suoi pettorali così ben definiti non mi aiutava a restare lucida e in quel momento avevo bisogno di comprendere molte cose.

In quel frangente, liberata dal magnetismo delle sue fosse iliache, notai che sul tavolo erano sparpagliate una ciotola con una macedonia di melone, fragole e mirtilli, un piattino con delle brioche, un cestino con pizzette e focaccia, una caraffa di spremuta, una di acqua, un sacchetto di Intimissimi e uno di MC2 Saint Barth.

«Buongiorno Diana, come ti senti?»

Pronunciò quelle parole con naturalezza e disinvoltura, come se non avessimo passato più di trenta secondi a studiarci reciprocamente.

«Direi che le parole esatte sono confusa, spaesata e disorientata.»

«Non ricordi nulla quindi? Vieni, siediti. Sarai anche affamata.»

Avanzai senza nascondere la mia inquietudine e mi sedetti goffamente su uno degli sgabelli del bancone. La sua voce era stata davvero cordiale e non sembrava eccessivamente confidenziale, il che mi accese un barlume di speranza.

«Stai tranquilla, sei al sicuro. Vuoi caffè americano o caffè espresso?»

«Americano va benissimo.»

Mi versò una mug bella piena e la mise davanti sul bancone.

Poi appoggiò entrambe le mani sul ripiano e mi guardò intensamente con la fronte corrucciata, come in una sorta di compassione.

«Allora Diana, da dove vuoi cominciare? Dalla colazione, da un breve riassunto o vuoi farmi delle domande?»

«Tu chi sei?» Domandai di getto, ponendo il primo interrogativo che mi era passato per la mente.

Lo vidi piegare le labbra in giù alzando le sopracciglia.

«Mi sembra giusto.»

Arretrò per appoggiarsi con il sedere sul bordo del lavandino e incrociò le braccia.

«Mi chiamo Christian, ma questo lo sai già. Se ti serve sapere il cognome è Mayers. Mio padre è di Chicago, mia mamma di Portofino. Sono un socio minoritario del The Cave.»

«Qui è dove vivi? O è un'altra sorta di pied-à-terre per i tuoi incontri galanti?»

«È casa mia, dove abito. Non ho mai portato qui nessuno per un incontro galante. Nemmeno te.»

Rimase immobile in attesa della mia successiva domanda.

Rimasi in silenzio, abbassai lo sguardo sul mio caffè, sentendomi la faccia andare a fuoco. Per stemperare l'imbarazzo e la vergogna, presi un lungo sorso. Stavo ponendo domande su di lui, senza pensare a quale fosse il quesito più importante per me stessa.

«Come ci sono finita a casa tua?»

«Hanno versato una droga da stupro nel tuo drink. Ti abbiamo trovato in spiaggia con il tuo aggressore, prima che avvenisse il peggio.»

«O mio dio!»

Christian si fermò come a lasciarmi metabolizzare quella informazione. Mi accasciai sul bancone, prendendomi la testa tra le mani. Questo però spiegava l'amnesia, ma non il perché fossi lì.

Si avvicinò al bancone e piegandosi leggermente verso di me e riprese a parlare con un tono di voce caldo e rassicurante.

«Ehi, non ti ha fatto niente. Te lo garantisco. Siamo arrivati in tempo e lo abbiamo fatto arrestare. La polizia ha passato la notte a visionare i filmati e pare non fosse stata la sua prima volta.»

Sentii gli occhi iniziare a riempirsi di lacrime. Non mi lasciavo andare facilmente, ma l'idea di aver perso completamente il controllo di me stessa, in una situazione così pericolosa, mi gettò addosso un terribile senso di impotenza.

«Come...» Deglutii per ricacciare indietro le lacrime. «Come ci sono finita a casa tua?»

«Ho cercato i tuoi amici, ma non c'erano più. Mi sono permesso di chiamarli dal tuo cellulare. Ho provato anche stamattina, ma hanno entrambi ancora il telefono staccato.»

«O mio dio, e se fosse successo qualcosa di brutto anche ad Anna?»

«No, tranquilla, un ragazzo al nostro tavolo ha lasciato intendere che se ne fossero andati a casa insieme... o meglio, per stare insieme...»

Lo sapevo! L'avevo sempre saputo che sarebbe finita così.

«Perché non mi hai accompagnato a casa mia?»

Scoppiò in una leggera risata, senza nascondere un briciolo di frustrazione .

«Oh, credimi, ci ho provato. Ma a quanto pare la tua amica si è tenuta le chiavi della tua auto e le chiavi di casa tua sono nel...»

«Nel cruscotto, cavolo! È vero!» Finii la sua frase.

Iniziai a mettere assieme, piano piano, tutti i pezzi. Quello che mi stava dicendo Christian "con cognome" aveva una logica, ma non spiegava comunque perché mi ero svegliata senza mutande.

«Io e te abbiamo...»

«Cristo, no!» Sbottò offeso. «Ti sembro uno capace di approfittare di una ragazza in preda agli effetti del GHB , per di più drogata nel mio locale?»

Si era innervosito ancora prima di finire la domanda. La sua voce era diventata estremamente dura. Si era tirato su dal piano della cucina e continuava ad andare avanti e indietro scuotendo la testa.

«Se è così, perché mi sono svegliata mezza nuda, chi mi ha svestito e messo a letto?»

A quella domanda vidi irrigidirsi ogni singolo muscolo della schiena e serrare la mascella. Mise le mani sui fianchi, buttò la testa indietro e sospirò come a recuperare la calma.

Tornò con i pugni nuovamente sul bancone e si sporse verso di me.

«Senti Diana, non ti ho toccata con un dito, ti ho presa in braccio giusto quando ti sei tolta le scarpe per accompagnarti a fare il test per i referti medici e ti sorretto qualche volta mentre barcollavi.»

Sospirò ancora, guardando da qualche parte alle mie spalle verso la porta di ingresso.

«E ti assicuro che non è stato per niente facile, sei una bellissima ragazza e sei anche intelligente da aver capito che durante i nostri incontri, non mi sei stata molto indifferente, ma non mi sarei mai permesso di approfittare di te, in quelle circostanze per di più.»

«Scusami... non volevo offenderti. È che non ci sto capendo nulla. Immagino sia stata anche una gran scocciatura. Devo averti rovinato la serata... per la seconda volta oltretutto...»

«Nessuna scocciatura. Certo avrei preferito conoscerti in un'altra occasione, ma a questo possiamo porre rimedio ora, mentre aspettiamo che i due piccioncini si sveglino e riaccendano il telefono, che ne dici?»

Quell'invito era accompagnato da un sorriso ricco di calore e gentilezza e da un piatto pieno di pizza e focaccia.

«Scommetto che sei tipa da salato a colazione.»

Gli sorrisi completamente frastornata dalla sua dichiarazione.

«Indovinato.»

Presi una pizzetta siglando quell'accordo. Dopotutto era proprio quello che volevo, non importava se non mi ricordassi minimamente come c'ero arrivata a quell'istante. Christian sembrava onesto e sincero. Magari conoscerlo avrebbe dissipato tutta quella sensazione di disagio.

«Tieni, ti ho preso qualcosa per cambiarti quando sono sceso a prendere la colazione.»

Mi porse i due sacchetti che avevo visto prima. Nel sacchetto di Intimissimi c'era una bralette verde smeraldo con una brasiliana coordinata. Aveva indovinato sia le taglie che i miei gusti.

«Spero siano giuste le misure.»

«Non dovevi, ti sto dando un casino di disturbo.»

«Non ti preoccupare, Diana, te l'ho già detto. Mi piace l'idea di conoscerti e per farlo vorrei che fossi a tuo agio.»

«Grazie Christian, ma non dovevi davvero. Potevo rimettermi i vestiti di ieri sera.»

Lo vidi deglutire e serrare la bocca. Intuii che forse con altri abiti addosso sarebbe stato anche lui più a suo agio. Aprii anche il sacchetto di Saint Barth dove trovai degli infradito in cuoio intrecciato, una camicia di lino sciancrata a righe bianche e rosse e un paio di short in jeans bianchi.

«Grazie davvero...»

Mi sentivo così imbarazzata. La nostra conoscenza era iniziata nel peggiore dei modi e con me in situazioni davvero poco dignitose. Glie ero caduta addosso in discoteca, avevo interrotto un suo amplesso e infine era stato costretto a ospitarmi mentre ero sotto l'effetto di uno stupefacente. Tuttavia aveva detto di volermi conoscere. Quindi avevo ancora una chance di fargli una buona impressione.

«Se vuoi cambiarti c'è un bagno qui al piano terra. Puoi farti anche una doccia se desideri, mentre finisco di preparare la colazione.»

Seguii le sue indicazioni e mi recai nel bagno di servizio che sembrava grande come il mio soggiorno. Sul top dove era appoggiato il lavabo, c'era un accappatoio bianco, morbidissimo e del bagnoschiuma al profumo di Lemon grass e zenzero. Mi feci una doccia veloce legandomi i capelli con un laccio che mi era rimasto al polso e indossai i vestiti che Christian aveva preso per me.

Anche i pantaloncini e la camicia erano perfetti. Mi pettinai i capelli con le mani cercando di ripristinare una sorta di piega decente. Non ero perfetta, ma aveva ragione, mi sentivo davvero più a mio agio. Tornai in cucina un pochino più sicura di me e segretamente eccitata di indossare un completo intimo scelto da lui.

«Sei bellissima.»

Mi accolse così, sorridendomi e invitandomi nuovamente a sedere. Mi sistemai sullo sgabello pronta a raccogliere più informazioni possibili sul suo conto.

«Hai una bellissima casa, vivi qui da tanto?»

«Da circa cinque anni.»

«Da solo?»

Rise.

«Sì, da solo, Diana. Non sono né sposato, né fidanzato.»

Come faceva a prevedere sempre le domande successive?

«Ti occupi di intrattenimento quindi? Hai altri locali?»

Aveva detto di essere un socio minoritario, questo non giustificava il tenore di vita che suggeriva quella villa e i due mezzi parcheggiati nel vialetto: il suo suv e quella meravigliosa moto inglese che aveva tutta l'aria di essere d'epoca.

«Ho diverse attività in realtà. Mi piace spaziare e diversificare i miei investimenti. E a te? Piace il tuo lavoro?»

Mi aveva appena dato una risposta evasiva e aveva tentato di cambiare argomento.

«Sì, molto, anche se ho studiato architettura, ma quando mi sono laureata ho dovuto cavarmela da sola e quindi non potevo permettermi di fare stage e tirocini sottopagati per fare carriera. Ho optato quindi per il settore immobiliare.»

«Ti piace fotografare?»

«Mi piace fotografare le case belle. La tua giù al porto è un piccolo gioiello. Come mai la vendi?»

«L'ho acquistata e ristrutturata proprio per venderla.»

«Quindi sei anche un imprenditore immobiliare?»

«Te l'ho detto, mi piace diversificare.»

«Ti piace spaziare anche con le donne?»

Si avvicinò al mio sgabello con uno sguardo famelico.

«Vuoi davvero che ti risponda? Ti ho già chiarito il mio status mi pare. E tu invece? Hai un ragazzo?»

Improvvisamente sentii caldo e mi mossi nervosamente sullo sgabello.

«Io... sono single.»

Mi guardò talmente tanto intensamente, che considerai l'ipotesi che si avvicinasse ancora di più, mi prendesse il viso tra le mani, mi baciasse con foga per poi scaraventare via tutto quello che c'era sul bancone per prendermi lì, su quel ripiano di marmo nero.

Ma come avevo imparato fosse solito fare invece, mi spiazzò.

«Ho visto che guardavi la mia moto prima, ti va di fare un giro?»

Deglutii per scacciare via il sogno bollente a occhi aperti che avevo appena vissuto e annuì.

Poco dopo, finito di fare colazione, si dileguò al piano di sopra e scese con addosso dei bermuda beige e una camicia di lino blu arrotolata sulle maniche. Prese due caschi dalla consolle in fondo alle scale e si diresse verso l'uscita.

Quando sentii il clic della serratura della porta di ingresso, qualcosa scattò anche nella mia testa. Come un fiume in piena, ricordi e sensazioni della sera prima inondarono la mia mente.

Ricordai quello maledetto stronzo che mi spingeva verso le cabine, la sensazione di benessere tra le braccia di Christian in spiaggia, la mia risata davanti all'ambulanza e il viaggio in macchina quando la mia eccitazione aveva già oltrepassato i limiti, come se le mie terminazioni nervose avessero deciso autonomamente cosa sentire, indipendentemente dal subire o meno qualche stimolo.

E poi eccola. Comparve nella mia mente anche la scena più imbarazzante di tutta la mia vita. Avrei preferito perdere del tutto la memoria, che ricordare quanto avevo fatto, esattamente lì su quella porta.

Sotto l'effetto di quella schifezza, il solo essere tenuta tra le braccia da Christian, mi aveva scatenato la stessa eccitazione che poteva seguire solo dopo diversi minuti di preliminari.

Ricordai come la mia pelle fosse diventata incandescente anche solo a sfilarmi i vestiti da sola. La sensazione di potenza che avevo provato una volta che Christian si era girato e il suo sguardo si era posato sui miei seni. La soddisfazione di sentire il mio corpo appiccicato al suo. La pulsione crescente proprio in quel punto in mezzo alle mie gambe non appena sfiorai la sua coscia. La mia audacia nel baciarlo con tutta la lingua, convinta che avrebbe ricambiato e che mi avrebbe preso lì sulla porta, come stava per fare con la biondina la sera prima.

Ma era andata così. Christian era rimasto immobile, le sue braccia erano rimaste tese lungo il corpo con i pugni chiusi. Aveva serrato gli occhi e la bocca, mentre io esplodevo in mille frantumi addosso a lui. Il mio corpo, andato già troppo oltre, aveva deciso di proseguire per conto suo. Avevo avuto un orgasmo senza alcun tipo di stimolo. Già di per sé la cosa era sufficiente per sprofondare sotto terra. Ma come se non bastasse in tutto questo, lui non aveva avuto nessuna reazione.

Rimasi paralizzata per qualche secondo, ma quando si voltò per porgermi il casco e si accorse del mio volto pieno di lacrime non riuscii a reggere il suo sguardo. Scappai nella camera dove mi ero svegliata, chiudendola a chiave e mi gettai a letto.

Avrei voluto risvegliarmi ancora in piena amnesia e avrei voluto che fosse permanente.


Ahia Ahia! Sembrava filare tutto liscio! E invece Diana è costretta a venire a patti con i suoi imbarazzanti ricordi.

Tu cosa avresti fatto al suo posto?

Hai visto che bella colazione con tanto di regali aveva organizzato Christian?

Secondo te sarà ancora possibile schiacciare il bottone di reset e ricominciare tutto da capo?

Fammi sapere cosa ne pensi e se ti è piaciuto questo capitolo ricordati di lasciare una stellina!

Al prossimo capitolo!

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