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CAPITOLO 6

Non ci penso molto perchè per quello che sto per iniziare non devo avere pensieri. Devo avere la mente libera e sangue freddo.
Percorro il sentiero che mi permette di arrivare davanti la foresta. Bloccandomi, alla vista di una casa a cui non ho mai fatto caso prima.

E' più grande delle altre, di un colore azzurro pallido circondata da un muretto alto  si o no due braccia.

Rimango ad osservare la casa , incantata. Stupendomi del fatto di non averla mai vista prima d'ora.

Dall'esterno sembra una casa ben curata. intuisco che la famiglia che ci abita possiede migliaia, ma che dico maliardi di domis. Mi guardo intorno per assicurami che non ci si nessuna persona nella vicinanze intenta a fare una passeggiata notturna.

Prendo un lungo respiro, per esalare la mia frustrazione, la mia rabbia verso il mondo. Devo essere vuota per essere in grado di prendere tutto, sia mentalmente che emotivamente.
Scavalco la staccionata. L'impatto con il terreno non crea nessun rumore e non lo faccio nemmeno io quando compio il primo passo verso la porta secondaria.
L'unico, appagante, rumore che sento è il "click" della serratura quando la forzo con una forcina.
Imparato da alcuni ubriaconi del mio villaggio.
Vuota. Vuota. Vuota.
Pensi.

Quando sono convinta entro .

Era ora.

Socchiudo la porta alle mie spalle cercando di non farla cigolare.
Cerco di fare del mio meglio per non fare rumore.
Senza sensi di colpa.
Le persone che si sono prese gioco di mio padre non ne hanno avuta , perchè dovrei io?

Buio.
Ecco cosa vedo , ma sono consapevole che quello che cerco è qua, da qualche parte. Muovendomi nell'oscurita della casa sento un rumore provenire dal piano di sopra.

Mi blocco, il mio respiro si fa più pensatene, con la paura di essere scoperta per la prima volta.
Mi fermo ad ascoltare iponendo a me stessa di non muovere un muscolo e in caso la situazione dovesse degenerare pensare a come potrei uscirne.

Concentrandomi verso il rumore posso distinguo le russa del padrone di casa. tiro un sospiro di sollievo.

A furia di "lavorare" di notte la mia vista si è abituata a riconoscere  oggetti  fra le case.
Come un gatto insomma.

Cerco di mettere a fuoco gli oggetti che decorano quello che penso sia la sala da pranzo. Vedo le sagomo di mensole, comodini, cassetti e un tavolo.
Pur essendo un paese ricco mi sembra una casa fin troppo lussuosa per trovarsi a Flixyan.

Ma questo dubbio me lo tolgo, sono qui per altro.

Sorvolo con lo sguardo l'ambiente attorno a me: alle ricerca di qualcosa di prezioso, non troppo grande per poter nasconderla nella mia sacca di pelle, che possa vendere al mercato senza sollevare sospetti.
Il mio occhio cade su un ogettto che sembra essere un comodino. Al centro di esso lo vedo.
Eccome se lo vedo bene.
É lì pronto ad aspettare me, un enorme vaso di vetro.
Ad occhio direi che si tratta di centinai, centinai e centinia di Domis che luccicano al bagliore della luna che penetra dalle tende della finestra di fronte.

Il mo cuore batte forte talmente forte che ho paura che il padrone mi senta.

Non mi è mai sucesso di vedere cosi tanti Domis in una sola casa. Un colpo troppo grosso in una singola notte.
Non sembra vero.

Sul mio viso prende forma un enorme sorriso.
Forse dovrei chiedermi come accidenti è possibile, ma la felicità e l'adrenalina che scorrono in me impediscono al seme del dubbio di fiorire.

Più che consapevole che una quantità del genere è piu che sufficente per comprarci una casa come questa e sfamarci per più di anno.

Qualcosa di bagnato solca allegramente sul mio viso.

Sto piangendo. Piango per la felicita una quantità di emozioni troppo complesse da spiegare.
Frustrazione, felicita, ma soprattutto sollievo.
Sono riuscita ad mantenere  la promessa che ho fatto a mio madre.

Mi avvicino con cautela al vaso.
Con grande speranza che mi fa battere il cuore.
Speranza che il Dio Antos abbia ascoltato le mie preghiere, fatte ogni notte prima di andare a dormire.

Mancano pochi passi che mi allontanano dal vaso.
Allungo le braccia, pronta ad afferrarlo e scappare da questo stile di vita. Rubare. Scapare per poi rubare ancora.

Manca un passo ed è letteralmente fra le mie mani, allo sfiorare la superfice del vaso mi percorre una scossa talmente forte che per poco non mi ferma il cuore.

Iniziano a scorre nella mia mente Immagini troppo veloci perchè io le colga.
Per un piccolo secondo, temo di riafferrare il vaso, ma la convinzione che ormai o io mio padre possiamo vivere felici e tranquilli mi toglie quel timore pensando che é solo un'attimo di stanchezza, e mi convinco che sia così

All'improvviso al piano di sopra sento qualcuno tossire.
Devo fare volte ad uscire da questa casa.

Mi riscuoto, lo prendo e percorro il tragitto che ho memorizzato per uscire da questa casa.

Non mi sono soffermata granché nel guardarla, come farei di solito.
Ho visto il vaso e basta, con poi la paura di essere scoperta, ma in ogni caso sembra essere grande.
Esco dall'uscio con la soddisfazione per ciò che ho trovato.

Ci metto più del dovuto, ma finalmente riesco a sbloccare la serratura.

Percorro il viale che prima non mi sembrava così lungo.
È circondato da roseti e con la leggera luce che emana la luna, il bianco dei loro petali sembra quasi irridiscente.
Arrivata al muretto faccio un balzo oltrepassandolo, atterrando in piedi.

Prima di andarmene mi fermo, per assicurarmi che nessuno mi abbia visto sgattaiolare fuori da quella casa, e per un instante mi cocendo di ammirare il paese.

Mi trovo in un enorme piazza circolare e la cosa che mi sbalordisce sono I mosaici dei diversi Dei e Dee sul pavimento.
Ne conosco alcuni di questi, ma non tutti : la dea della purezza, Elytia ( tra tutti gli deii non prese parte a nessuna guerra o dispute. Resistii alle lusinghe amorose di dei, giurando sulla testa di Zynion, di rimanere per sempre casta).

Dyanso il dio della rincarnazione ( torturato dagli dai suoi fratelli a causa del suo potere che gli permetteva di cambiare aspetto. Quasi sull'orlo della morte, sua nonna lo salvò, dandogli di nuovo vita. Dyanso pun' I fratelli codannandoli alla pazzia)

E l'ultima che mi ricordo e che ammiro per la sua astuzia è la semi-dea Alcistix ( la più bella delle due figlie di Pyliaz. Fu chiesta in sposa da molti principi e re. Non volendo compromettere la sua posizione politica scegliendo questo o quello dei pretendenti, non potendo d'altronde accontentarne più di uno, Alcistix fece sapare che si sarebbe concessa all'uomo capace di soggiogare un leone e un cinghiale selvatico.
Vinse Admyteo sposo gia di un'altra fanciulla. La semi-dea, inorridita, riscaldò del vino speziato, con del veleno.
Entrò quella notte nella camera nuziale sua di Admyteo.
Glielo fece bere portando così alla morte di suo marito. Incapace di accettare il tradimento del marito confronto alla prima moglie).

Storie e leggende a parte, al centro della piazza sorge una grade fontana, scolpita in marmo bianco agghindato da due angioletti inalzati ai lati, che fanno scorre l'acqua dentro la fontana.

Rimango a guardare, in silenzio. Un silezio che da calma e leggerezza.

Fissando la piazza anche se è buia riesco a immaginare tutta la bellezza che emana al confronto del mio villaggio: così tetro, buio e dimenticato dagli Dei.
Questo posto regala gioa e felicità. posso solo immaginare I giorni festivi: bambini che corrono da una parte all'altra circondando la fontana. Le madri, con gli occhi puntati sui figli, sempre con lmil timore che si possano far del male, urla dei mercanti, bande di musicisti che suonano a tutto volume con gente che balla.
Spruzzi di colore qua e là.

Traggo un respiro e abbasso lo sgurado sulo vaso che tengo fra le mani. Ritornando alla realtà.
Alla mia realtà.

Consapevole che per mio padre e me stavano arrivando giorni meno frustranti, duri, ricambiati con giorni più leggeri e felici.

Con questo pensiero e una nuova rinascita ricomincio a camminare per il sentiero. Quando il silenzio così quiete si spezza da un' urlo forte, disumano. Mi fa tremare le gambe. Una scossa, non saprei di che genere, mi sale per il corpo.
Ci arrivo dopo.
Questa è paura.

Mi blocco per riprendere I sensi. Quando risento la voce.

" Corri, nasconditi".

No, questo è quello che succede a fare le ore piccole.
Voci nella testa.

Aumento il passo fin quando non arrivo all'inizio del confine della foresta. Sono un pò incerta se percorrere il perimetro, ma ci metterei quasi un giorno per arrivare a casa. Eviterei con piacere la sensazione di prima permettersi di pervadere ancora una volta, ma una cosa deve andare storta per forza, non è vero?

Riluttante, decido di attraversare la foresta, disposta a correre il rischio, pur di arrivare a casa di corsa e dare la notizia a mio padre.

Corro, corro, corro tenendo ben saldo il vaso.

Arrivata alla fine della foresta intravedo casa mia. Cosi differente a quelle di Felixyan Rallento il passo, con la milza che sembra voler esplodere e mi trascino alla porta.

La apro lentamente, attenta a non svegliare mio padre. Solco la porta e lo trovo sulla sua adorata seggiola dondodolante, in tento a sognare. Mi si stringe il cuore solo a guardarlo.

Il mio eroe. È l'unica persona che mi abbia restituito tutto, e forse anche molto di più del bene che gli ho dato.

Mi avvicino, chinandomi per stampargli un bacio sulla guancia.

" Non sai papà". Gli sussurrò nell'orecchi.
"Da oggi in poi saremo molto ma molto più felici, non dovrai più preoccuparti per me, per ogni volta che esco di casa" sussurro.
Dandogli un'altro lieve bacio. Faccio per diregermi nella cameretta dove dormo, pronta a cadere anch'io nel mondo dei sogni.

Quando mio padre brobotta. Un grugnito e poi un nome. Quel nome.

" Santix?".

Mi paralizzo. Poi mi volto lentamente verso mio padre con una morsa al cuore. Davanti a lui non mi è mai stato difficile piangere. Non mi sono mai vergognata delle mie lacrime, davanti alla persona che ne asciugata una per una. Ma ad ogni modo lo detesto. Ora più che mai.

Ormai lucido, mi guarda negli occhi "Santix, perche piangi?"

E' da un così tanto tempo che mio padre non lo pronunciava che ero sicura se ne fosse dimenticato, come io ho cercato di cancellarlo sia dalla testa che dal cuore.
Ma mi è impossibile.

"Kagea" mi si incrina la voce "Mi chiamo Kagea padre" dico asciugandomi le lacrime con il dorso delle mano.

Mi guarda meglio. Capelli corvini, occhi vispi e una bocca piena. Ma so di assomigliarle molto. Capisce che non sono lei con una triste luce negli occhi che un secondo svanisce.

"Oh cara mia, sei tu, come è andata? Non ti sei fatta del male ? La foresta di notte è pericolosa".

Ormai si è rassegnato dal dirmi che il "lavoro" che porto avanti da quella che sembra un' eternità per sfamare la nostra famiglia è ingiusta e crudele sia per gli altri sia che per la mia anima, ma io non ho mai voluto ascoltare, mai voluto cambiare idea,voglio dare e essere soddisfatta della mia vendetta personale, portando sulle mie spalle I sensi di colpa, che non sono altro che effetti collaterali.

Quelle persone hanno preso tutto dalla mia famiglia, perchè non riprendermelo?

A cuore crepato, stanca e con la felicità di prima ormai spenta, passo una mano tra I suoi capelli brizzolati.

" Te l'ho raccontero domani padre, ora sono troppo stanca".

Senza guardarmi indietro, senza aspettare una sua risposta, e senza pensieri in testa mi chiusi la porta alle spalle.

Appoggiando la testa sul cuscino lasciando che i sogni mi portino via con loro.

Un tonfo.Un forte tonfo.

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