Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

CAPITOLO 10

Mi fiondo fuori di casa incamminandomi  lungo il sentiero assolutamente evitando la foresta.
Non voglio sentire altre voci, altri enigmi o altre stronzate del genere. Non è la giornata giusta.
Endla non si trova così distante da dove vivo.
È passato del tempo e da quello che mi ricordo purtroppo non ce l'ha fatta ad andare via da quel posto dannato dimenticato dagli Dei.
Non sono stata una buona amica, ho dato precedenza a mio padre e alla nostra sopravvivenza, ma senza dimenticarmi di lei. Del suo sorriso solare che mi aiutava a far scongelare il mio piccolo cuore.
Con questo non sto dicendo che il mio affetto per Endla sia svanito, sto dicendo che se non si trova lì non so dove cercare.
Rivolgo il viso verso il cielo, E' spruzzato di stelle, ma cerco una costellazione specifica. Quella Zigos, che mi servirà come punto di rifermento per orientarmi verso Antenia. Allungo il passo tra il sentirò che divede il bosco e il villaggio.

Lungo il tragitto mi imbatto in una piccola biblioteca innalzata in mezzo a due casine di legno fatta anche'essa di un legno ormai quasi mangiato delle termiti.
La mia mente viaggio subito a lei. Endla. Ricordo ancora quando eravamo piccole. Mi raccontava mitologie su I regni circostanti al nostro, ( streghe, fate e mostri).
Ama questi argomenti. Da piccola ci credevo, credevo a tutto cio che mi diceva. Sognavamo ad occhi aperti.
Credendo o almeno sperando che esistesse un mondo migliore.
Osservo bene l'entrata della biblioteca. Guardo ancora una volta il cielo per capire che ore si siano fatte. Il sole tocca la punta della Montagna delle Grida che si innalza su Ante. Il nome deriva da una di quelle storie narrate dalle nonne per spaventare I bambini.

Si narra che lì un tempo vivesse una congrega di streghe - e le streghe nelle storie sono sempre le cattive - .Ogni trenta giorni per avvertire la popolazione ai piedi della montagna, urlavano il nome di una persona qualsiasi, e se la persona sentiva pronunciare il proprio nome veniva rapito e portato sulla punta della montagna, solo per essere torturato non ricevendo nemmeno un briciolo di pietà, finché non esalava l'ultimo grido, cosicché le sue grida venissero udite da tutti.

Un rammento che la razza umana è inferiore.
Che il nostro corpo è sempre stato un corpo debole.

Tra non molto l'oscurità lascierà il passo alla luce del sole.
E a me viene un idea, questa volta senza inutili sensi di colpa.
Lo farei per Endla.
Mi affretto ad iniziare ciò che devo fare, devo essere veloce e prendere quello che mi serve senza - e non mi stancherò mai di ripeterlo - senza destare sospetti. Alzo su il cappuccio nascondendo I capelli corti corvini, tagliati solo per il semplice fatto per non far piangere il cuore a mio padre, perché con i capelli lunghi assomigliavo troppo a mia madre.

Prendo una forcina dalle tasche delle mie braghe - forse un pò larghe alle cosce- e mi avvicino alla porta che mi condurrà agli idolati libri Endla che divorerebbe molto volentieri.
Aprire una porta per me è molto semplice, come schioccare le dita.
La prima serratura in assoluto che ho imparato a scassinare è stata una serratura di un comodino.

Avevo quindici anni, mi trovavo nel corridoio della casa popolare. Con mio piacere il flusso di gente che scorreva normalmente si era ridotto a qualche ubriacone steso sul pavimento o bambini dispettosi che si rincorrevano a vicenda.
Nessuno prestava attenzione ad una ragazzina esile e sempre imbronciata. Bazzicolavo senza metà e quando svoltai un angolo mi imbattei in una porta che conoscevo bene. E sapevo che non dovevo metterci piede, come tutti.
Ma io testarda decisi di rompere una delle poche regole della casa popolare.
Sapevo che quella stanza era sempre vuota, d'altronde il proprietario della casa popolare veniva si e no una volta ogni trenta giorni per riscuotere le tasse.
E se non sbagliavo mancavano ancora due settimane.
Stranamente quel giorno la porta era aperta. Non mi preoccupai di farmi delle domande al riguardo. Entrai e basta.
Non stando li a dare molto peso a come fosse fatta la stanza inizia a frugare in ogni angolo. Sotto il letto, dentro le federe del cuscino, nelle mensole, in mezzo ai cuscini del divano, ma non trovai niente, nemmeno una monetina di Domis.
Senza alcuna speranza, sconfitta, rimasta a mani vuote, decisi di smettere di cercare e uscire dalla stanza.
Stavo per andarmene, non prima di rassicurami di aver messo tutto come era prima. Però con la coda dll'occhio vidi un comodino contro il muro, nascosto dalla porta.
"Beh, se lo tiene non in vista, in quel comodino ci dovrà pur essere qualcosa". Pensai.
Indecisa sul da farsi decisi di provare a veder cosa conteneva, perchè si sa tentar non nuoce.
Non sapevo cosa stessi cercando. Domis, gioielli, antiquariato.
Qualsiasi cosa potessi vendere per racimolare qualche Domis per permettere me e mio padre di mangiare qualche pasto decente ogni tanto.

Il comodino in sè a prima vista non era nulla di eccezionale, o almeno così sembrava a prima vista.
Quando vi passai la mano sopra, lo trovai liscio, non una scheggia si conficcò nel palmo della mia mano - a differenza di quelli nella nostra stanza -. Con il poco che sapevo riuscì a capire che in mogano, mamma mi ha insegnato bene.
Ero una ragazzina, ma no una ragazzina stupida.
Mi sembrava strano che in quel posto ci fossero degli arredamenti cosi pregati. Qualcosa non quadrava, ma come l'ansia di farmi beccare non ci diedi tanto peso.
Tirai uno dei cassetti impulsivamente, senza pensare.
Ma non voleva collaborare, non si apriva. Pensandoci su, per trovare una soluzione che mi permise di aprire quel dannato cassetto mi toccai nervosamente una mano tra I capelli - al tempo ancora lunghi -,
le mie dita toccarono qualcosa di freddo e di metallo ricordando che in testa avessi delle forcine.
Ne sfilai una dai mie capelli facendosi che delle piccole ciocche un pò più chiare di adesso mi scivolarono sul viso comprendomi gli occhi. Le spostai dietro l'orecchio e mi misi ad esaminare la forcina che tenevo in mano.
Guardai il cassetto e la forcina, la forcina e il cassetto.
"Perchè non provarci" pensai tra me e me.
La allargai di poco e la infilai nella serratura cercando di muoverla sia a destra che a sinistra per sbloccare l'innesco. (l'avevo visto fare ad'un uomo che stava tentando si aprire la porta per la dispensa, poco tempo prima).
Ma non succedeva niente, riprovai ancora e ancora, ma non c'era nulla da fare. Quella dannata serratura non voleva aprirsi.
"Questo è l'ultimo tentativo se così non funziona lascio perdere". Esclamai come se ci fosse qualcuno ad ascoltarmi.
Feci mente locale, cercando di ricordare la manualità dei sui gesti, per capire dove stavo sbagliando, quando all'improvviso, in testa mi sfrecciò davanti un pezzo dell'immagine di quella sera.
Rimisi la forcina nella fessura, mi avvicinai con l'orecchio alla superfice. Man mano che muovevo la forcina cercai di concentrarmi sul rumore degli ingranaggi. Girai ancora una volta ormi stufa.
Quando all'improviso sentii un "Click" dal cassetto.
Finalmente si era aperto.
Saltai di gioia, ce l'avevo fatta!

Cio che avevo appena fatto mi fece sentire felicità per esserci riuscita ma per lo più fui delusa, per via di quello che avevo fatto. Perchè sapevo che non era ciò che mia madre aveva cercato di insegnarmi e poi arrivò la curiosità, curiosità di cio che potesse contenere il cassetto, infine nervosismo, sapevo che la stanza in cui avevo messo piede non era sicura e se mi avessero scoperto potevo rischiare di farci buttare fuori dal quel posto, l'unico posto che possedevamo.
Anche se a me non mi dispiaceva.
Ma l'adrenalina che mi correva nel sangue era maggiore in quel momento.
Allungai il braccio verso la maniglia e la tirai.
Rimasi un pò delusa dal contenuto, in esso ci trovai qualche caramella e un orologio che a parere mio mi sembrava costoso. Giusto giusto per ricavare qualche soldo al mercato.
Raccolsi le caramelle per portarle a Endla ( adorava le caramelle).
Quando fu il momento di prendere con me l'orologgio il pezzo più importante e scappare da lì, sentì dei passi mi voltai di scatto e vidi profilarsi davanti la porta un uomo alto e snello, indossava un completo di alta qualità di un colore che secondo me non gli si addiceva per niente.Un viola scuro.

Con se portava dietro un bastone di legno come sostegno. Andai nel panico, sapevo che non potevo nascondermi da nessuna parte. Non riuscivo a escogitare un nascondiglio perfetto in quel momento, sapevo che era impossibile.
Allora spinta dal coraggio decisi di restare lì finché non mi avrebbe notata.
L'uomo si voltò lentamente verso di me portandomi a un'equitudine immensa. Porgendomi uno strano sorriso, facendo si che vedessi tutti I suoi denti. (con nessuna imperfezione). Tremavo, tremavo come una foglia pronta a staccarsi dal ramo. Notai che sul viso c'era una cicatrice ancora di un rosso vivo che gli divideva l'occhio.
Abbassò lo sguardo puntando le mie mani, Il sorriso si affievolì, ma non del tutto. Pain piano si avvicinò.
"Oh Kagea, Kagea, che combini mia cara"
"Come fa a sapere il mio nome ?" Pensai.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro