Ritorno
24 gennaio 1941
Il venerdì, appena finito di lavorare, le donne si mettevano in fila per ricevere la paga della settimana.
Dalila non aveva più visto il padrone da quel lunedì sera e, se da un lato si sentiva sollevata, sapeva che non si era dimenticato di lei. Aveva ferito il suo orgoglio, e ora doveva ripagarlo. Era così che ragionava la maggior parte degli uomini che aveva conosciuto nel vecchio locale berlinese. Beh, forse tutti gli uomini ragionavano così: gli esseri umani che aveva conosciuto dalla morte dei suoi genitori non le erano mai sembrati così meschini, ma non poteva mai esserne sicura...
Arrivò il suo turno e la ragazza ritirò i soldi, grata che la realtà l'avesse distratta dai pensieri. Era quello il motivo per cui era sempre intenta a fare qualcosa. Se si fermava, rischiava di iniziare a pensare e i pensieri erano pericolosi per chi fuggiva.
Si avviò verso casa subito dopo aver salutato Melania. Si fermò davanti ad una panetteria ed entrò.
Uscì poco dopo con un pacchetto ben saldo in mano. Percorse la via che le rimaneva attenta a non scivolare sul ghiaccio che si stava formando sul ciglio della strada.
Era passata una settimana da quando Rita aveva rivolto la parola a Dalila l'ultima volta. Si era pentita subito del suo comportamento infantile, ma non aveva trovato il modo di chiarire e aveva preferito ignorare la ragazza. Mauro era sempre fuori casa per qualche suo lavoro e Rita si era accorta che le mancava anche lui. Doveva trovare un modo per riappacificarsi con entrambi, e di evitare altre stupide scene di gelosia. In fondo, che diritto aveva lei di essere gelosa? Mauro aveva ragione, non sarebbe stata in grado di resistere in una fabbrica: aveva notato le mani bianche di Dalila, nonostante lei cercasse di nasconderle nelle maniche o nelle tasche il più possibile.
Era intenta a cucire una vecchia maglia di Samuele, quando Dalila entrò come un fulmine e chiuse la porta dietro le spalle. Era il momento di parlare, e questa volta non aveva vie di scampo.
"Come sta la mia maestrina?", le chiese sorridendo.
Non sapeva cosa rispondere. Non sapeva come comportarsi. Non sapeva nemmeno se sorridere.
"Ho un regalo per te!", le disse porgendole un pacchetto piccolo. Lo aprì in fretta, presa dalla curiosità.
"Dolcetti?"
"Certo, non credere che Mauro sia l'unico che possa permetterseli..."
Rita ne addentò uno, ma invece di chiudere gli occhi deliziata li sgranò: "Che roba è?"
"Ti sembra il modo di esprimerti? È un regalo, e i regali non si rifiutano mai!", la rimproverò.
"Ma sono secchi fuori e gommosi dentro!"
"Beh, non avevo abbastanza soldi per quelli freschi e mi sono accontentata."
"Ti sei accontentata perché non li devi mangiare tu!"
"Ecco, brava, hai detto bene. Io non li devo mangiare, ma tu sì. Ora ti consiglio di finirli prima che ti costringa."
Rita prese un altro dolce e lo spezzò in due, offrendone poi la metà a Dalila.
"No, no, no. Con me non puoi fare così... Li devi mangiare tutti.", sentenziò sedendosi per guardare meglio quello spettacolo, finché qualcuno non bussò alla porta.
"Chi è?", si illuminò Rita.
"Sono Mauro, ed è pronta la cena."
"Entra pure!"
"No, non entrare!", lo fermò Dalila.
"Va tutto bene?"
"Certo, siamo risolvendo questioni tra ragazze."
"Non è vero, Dalila mi sta torturando..."
"Va bene, io allora torno giù. Appena avrete finito di tirarvi i capelli, venite a cenare."
Prima che potesse essere fermata, Rita si fiondò verso la porta e l'aprì, trovandosi davanti uno stupito Mauro. Gli infilò il dolcetto in bocca prima che potesse protestare e tornò calma verso la sua poltrona.
"Questo era l'ultimo.", si rivolse a Dalila, che nel frattempo si era piegata dalle risate.
"Ma cos'è questa roba?", chiese Mauro.
Invece di rispondergli, le ragazze si misero a ridere ancora più forte.
Erano passati due anni da quando aveva abbandonato il continente. Due anni in cui si era chiesto se quello che aveva fatto fosse giusto. E come avesse reagito lei...
Scese dal traghetto che aveva attraversato controcorrente il fiume Po. Che nome stupido... Solo gli Italiani potevano aver dato un nome del genere al più lungo dei loro fiumi! Si voltò alla ricerca della sua accompagnatrice e la trovò intenta a scendere con calma sul molo. Un soldato la stava aiutando tenendole la mano. Nonostante avesse indossato un paio di comodi pantaloni al posto di uno dei suoi deliziosi kimono, quella ragazza sembrava essere sempre sul punto di rompersi. Il suo fascino così tipicamente orientale non poteva essere nascosto da dei semplici vestiti scuri, tanto che la sua pelle color porcellana sembrava brillare alla luce delle lampade ad olio accese per loro. Cercava di comportarsi come una donna coraggiosa e sicura, ma rimaneva sempre la sua piccola, sbadata Kiyomi. Le sorrise incoraggiante quando incontrò i suoi occhi.
"Così questo è casa tua?", gli chiese guardandosi intorno.
"Siamo in Italia, più a sud del mio Paese.", le rispose lui nel suo traballante giapponese.
La ragazza mosse qualche passo in direzione della riva senza smettere di osservare ogni cosa. Quelle terre non sembravano piacerle.
"Sapevo non ti sarebbe piaciuto. Era meglio rimanere a casa, non credi?"
"Non dire sciocchezze! Non mi pentirò mai di averti seguito."
"Toccherà a me pentirmi anche per te. Ora stammi vicino a meno che non ti dica il contrario. Dovrebbero essere abbastanza intelligenti da non darti fastidio, se capiscono che sei con me."
Una voce severa lo interruppe: "Bentornato tra noi, Tenente Huber..."
Theodolf si girò contento di sentire di nuovo la sua amata lingua e vide l'uomo che, più di due anni prima, lo aveva iniziato a quel lavoro.
"Ora mi dovrete chiamare Maggiore Huber, Colonnello."
"Se lo dici tu, ragazzo..."
L'uomo scoppiò a ridere e Theodolf lo imitò.
"Come si vive oltreoceano?"
"Bene, Colonello, bene. Se non fosse per tutto quel pesce, potrei anche trasferirmi..."
"Sei sempre nella squadra Python?"
"Sì, anche se non conosco gli altri membri... Mi sembra di essere l'unico in questo gruppo fantasma!"
"Non fare l'errore di crederci! Mai! Potrebbe costarti la vita abbassare la guardia, ragazzo..."
"Lo so, me lo avete insegnato voi..."
"Piuttosto, chi è questa signorina?"
"È una storia lunga. Che ne dite di parlarne davanti ad una tazza di tè?"
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