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Nuovi orizzonti

5 gennaio 1939

La stazione di Berlino era sempre affollata. In un caffè da cui si potevano vedere i treni in arrivo un gruppo di uomini discutevano di politica; su una panca una mamma con due bambini biondi come il sole attendeva il marito che era andato a comprare i biglietti; due fidanzati si salutavano divisi da un finestrino sporco.

Nessuno, in tanto caos, notò la ragazza bionda che trascinava una piccola valigia e uno zaino. Salì su un treno diretto a Monaco e si sistemò in uno scompartimento a metà del vagone. Si sedette accanto ad una signora intenta a lavorare a maglia e aprì un libro sperando così di scoraggiare eventuali domande. Si immerse nella lettura e non si accorse nemmeno della partenza.
Quando il capotreno fischiò per avvertire i passeggeri che il treno era giunto all'ultima stazione si alzò dolorante e trascinò i suoi bagagli.
Appena scesa dal treno si diresse verso la biglietteria dove comprò un biglietto per l'estero e poi entrò nel bagno pubblico, fortunatamente vuoto.

Si tolse il cappello e con attenzione sfilò le innumerevoli forcine dai capelli. Quando ebbe finito fece scivolare la parrucca nel cestino sotto al lavandino e si pettinò i capelli rossi. Li riavviò con le dita e infine rimise il cappello. Si cambiò l'elegante cappotto con una giacca più informale e si tolse del tutto il trucco. Non sembrava più la giovane donna che aveva incantato con la sua voce i clienti di una sconosciuta locanda di Berlino.
Si mise lo zaino in spalla e trascinò la valigia con più energia di prima. Kristina Dietrich non c'era più e non ne avrebbe più avuto bisogno. Ora poteva tornare ad essere semplicemente Dalila Wolff.

Aspettò a lungo il treno per Milano. I treni internazionali stavano diventando sempre più radi, ma fortunatamente l'Italia era uno dei paesi con cui la Germania intratteneva più rapporti.
Come le aveva spiegato sua cugina nella lettera, avrebbe dovuto prendere un treno che andava verso Bologna o Roma ma che passasse da Milano. Castello non aveva una propria stazione e avrebbe dovuto scendere in una delle città vicine e prendere un autobus. Le indicazioni erano piene di nomi incomprensibili. Ripassò mentalmente il poco italiano che sapeva.
Sarebbe stato difficile abituarsi ad una nuova vita, in un paese straniero.

Era da sola nello scompartimento e si addormentò, non accorgendosi dei soldati che sembravano cercare qualcuno. Quando si risvegliò, un ragazzo della sua età era seduto accanto a lei, con le gambe sollevate sul sedile di fronte. Leggeva un libro, il suo libro!

"Buon giorno...", cominciò sottovoce. Erano passati anni dalla sua ultima lezione di italiano.

Il ragazzo la squadrò e tornò al libro, prima di rispondere: "Ormai è sera."

"Dove siamo?"

"A pochi chilometri da Lodi. Dove scendi tu?"

Lodi? Era prima o dopo Milano?

"Dovrei scendere a Piacenza."

"Piacenza? Anche io scendo a Piacenza.", richiuse il libro e lo lasciò sul sedile. Allungò la mano destra e si presentò: "Io sono Mauro, piacere."

"Dalila. Siete del posto?"

"Vivo appena fuori dalla città. E tu?"

"Vado a trovare dei parenti."

"Sei straniera."

Non sembrava una domanda ma Dalila rispose lo stesso: "Sono tedesca..."

La prima bugia detta in Italia. Non voleva tornare ad essere sé stessa? Le era diventato chiaro, all'improvviso, che non sarebbe mai più potuta esserlo. Non in quel continente e a quei tempi.


"Tenente Huber a rapporto!"
Nemmeno nella stazione di Monaco poteva avere un attimo di pace. Aveva ricevuto l'ordine di controllare i passeggeri dei treni diretti all'estero quando una giovane recluta, come lui stesso era un mese prima, lo chiamò. Cosa potevano volere di nuovo?
Uscì dal treno diretto da qualche parte in Italia e richiamò i suoi uomini.

"Controllate quelli che vanno a est. Stiamo cercando un uomo sulla cinquantina senza documenti di identità."

Diede un ultimo sguardo al vagone. Gli scompartimenti erano quasi vuoti, ad eccezione di quello centrale dove una donna dai capelli rossi sembrava addormentata. Spostò lo sguardo e si diresse verso l'automezzo militare fermo all'entrata.
"Heil Hitler!", salutò i suoi superiori alzando il braccio.
"Tenente, abbiamo una missione da affidarvi."

"Dovrei essere a Berlino domani, signore."
"Tenente, voi non tornerete a Berlino per un bel po'. La vostra squadra partirà al più presto per il Giappone. Sono in corso delle contrattazioni e finché i trattati non saranno stati firmati e messi in atto, non potrete tornare. Il vostro compito sarà proteggere gli interessi tedeschi."
"Io sono un soldato, non un ambasciatore."
"Provvederemo anche a questo. Sappiamo che volete riabilitare il nome di vostro padre. Siete un soldato fedele e contiamo su di voi. Se voi sapeste almeno la metà delle cose che so io, capireste che sia io che voi facciamo parte di un piano più grande. Il Fuhrer guiderà la razza tedesca verso la strada più illuminata. Il nostro compito è rendere le cose più semplici e veloci. Una rete di uomini alle dirette dipendenze del Fuhrer che arriva in ogni parte del mondo..."
"Signore, posso sapere quando potrò essere di nuovo in patria?"
"Nessuno può saperlo. Se scoppiasse una guerra, voi potrete tornare non appena il Giappone avrà dimostrato le sue intenzioni."

"Potrebbe scoppiare una guerra?"

"Ormai è inevitabile. Abbiate fede nei vostri superiori."

"Non è prematuro affidarmi un incarico così importante?"

"Io direi vitale, non importante. In quanto a voi, non preoccupatevi. Sarete agli ordini di uno degli uomini più vicini a Hitler. Fate un po' troppe domande, tenente Huber."

"Chiedo scusa, signore."

"Non avete nulla di cui scusarvi. Siete un soldato che usa la testa e di questi tempi è una qualità assai rara. State solo attento a come la usate. Potrebbe ritorcervisi contro."

"Signorsi, heil Hitler."

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