2) L'Angelus
David sgranó gli occhi. Suo padre aveva rivolto la parola al Guardiano Nero come se fosse un cliente qualunque. La sua voce non era affatto smorzata dalla paura.
Il Guardiano alzò il capo e fissò il bancone. Il mantello gocciolava d'acqua e bagnava il pavimento, l'armatura scura era lucida e umida.
Avanzò lentamente.
David ingoiò la saliva rumorosamente e guardò suo padre, sudava. Ora la sua paura si riusciva a percepire anche se poco, ma l'avrebbe notata il Guardiano?
Il soldato continuava ad avanzare. Si sentivano solo i suoi passi, il tonfo sordo dell'armatura d'acciaio nero sulle assi del pavimento. La porta si chiuse lentamente senza che nessuna la toccasse e a pochi centimetri dallo stipite sbattè forte facendo sussultare il padre di David il quale allargò il sorriso ancora di più.
-Ho sentito un gran trambusto fuori- cominciò il bottegaio, -E giustizia è stata fatta!- concluse.
David diede una gomitata al padre il quale non si girò nemmeno. I Guardiani Neri non parlavano mai, o per lo meno David non li aveva mai sentiti.
Il guerriero arrivò al fondo della stanza, posò le mani sul bancone e tra lo stupore e la paura rispose:
-Aveva commesso un furto. La legge è chiara.-
David si sentì gelare il sangue. La voce del soldato era fredda e pungente come lame di ghiaccio e ronzava nelle orecchie.
Il guardiano fissò il ragazzo. David si rizzò dritto e sentì un brivido lungo la schiena. Sudava anche lui. Fissò la fessura dell' elmo, ma non riuscì a vedere il volto del guardiano.
-Forse indossano una maschera.- pensò lui. Il soldato continuava a guardarlo tenendo le mani posate sul bancone. David era immobile. Aveva paura di muovere anche solo un muscolo. Il soldato respirava piano. Si voltò verso il padre di David. Mise una mano guantata in una sacca di stoffa nera che aveva appesa a tracolla e ne estrasse una pergamena arrotolata, sigillata con il marchio imperiale. La sbattè sul bancone. Fissò il bottegaio che ancora sorrideva come un ebete.
-Per domani!- tuonò il guardiano. Si voltò di scatto e uscì rapido dalla porta del negozio.
David fissò la pergamena. Era nuova, una cosa rara da vedere in città, dove gli unici pezzi di carta su cui si scriveva erano piccoli ritagli stropicciati e consunti. Suo padre la fissava con lui.
-Che c'è scritto?- chiese balbettando il ragazzo interrompendo il silenzio.
-Non ne ho idea.- rispose secco il bottegaio.
Prese un piccolo coltellino dalla tasca e spaccò lo stemma imperiale di cera rossa che sigillava il rotolo. La aprì e cominciò a leggerla. Rabbrividì, il suo volto si dipinse di paura, lasciò cadere la carta sul bancone e corse sul retro, dalla fornace.
David si sporse per leggere l'ordine dell'imperatore: aveva richiesto 1000 vasi di terra cotta per l'indomani.
Suo padre tornò di corsa dietro il bancone per prendere i sacchi di segatura per la fornace, "rendono i vasi più lucidi" sosteneva lui.
David gli sbarrò la strada,
-Cosa devi fare io?- chiese.
Lui lo guardò un attimo.
-Ti lascio la giornata libera- disse veloce, sputando rapido una parola dopo l'altra, -Vai a casa e oggi pomeriggio esci pure con i tuoi amici. Ricordati solo di non fare tardi che poi tua madre si preoccupa. E dille che non faccio pranzo a casa oggi.-
David sorrise, annuì, prese la giacca e uscì fuori dalla bottega. una giornata libera era ciò che ci voleva per evitare di morire di noia.
Pioveva ancora. La frenesia sulle strade non era cessata dalla mattina: innumerevoli carri continuavano a correre avanti e indietro portando persone o sassi per i muratori. L'uomo che era incappato nel guardiano era, ora, nudo in mezzo al fango. Le persone erano così povere in città che gli avevano rubato tutto, persino i vestiti. David rabbrividì. Si incamminò verso casa nascondendo il naso nel colletto del mantello per proteggerlo dal freddo. Arrivò a casa in fretta, perché il il gelo lo aveva costretto a mettersi a correre per riscaldarsi.
Entrò in casa tutto bagnato e subito andò ad asciugarsi davanti alla stufetta in cui sua madre aveva acceso un caldo fuocherello.
-Ciao ma'- salutò David, -Papà non viene a mangiare oggi. Un guardiano nero è piombato in negozio e ha ordinato 1000 vasi da parte dell'imperatore per domani.-
La madre fece una smorfia di sconforto. Lui continuò:
-Quel guardiano è arrivato con un cavallo e ha ucciso un uomo. Ci ha detto che aveva rubato. Ma ti sembra corretto?- il tono si fece più alto, -L'imperatore dovrebbe rinchiuderli, nessuno è al sicuro con quei cosi in giro!-
Sua madre sospirò. Poi mise in tavola una ciotola di zuppa per David. Lui si sedette e cominciò a mangiare a grosse bocconate. L'appetito non gli mancava.
Il minestrone era molto buono e i sapori si intrecciavano tra di loro come dei nastri. Con la bocca piena lui continuava a borbottare. Trovava anche ingiusto avere il timore di uscire di casa durante il coprifuoco solo perché quei soldati se ne giravano per la città. Beh, lui e i suoi amici non avevano paura di nulla, ma volevano la libertà di uscire e rientrare quando gli pareva.
Ma mentre David navigava nei suoi pensieri la madre lo interruppe:
-David, smetti di parlare e mangia.- il volto era cupo. Aveva alzato la voce.
Lui non capiva la sua reazione. Sua madre era sempre stata tranquilla e mai aveva rimproverato qualcuno che si lamentava dell'imperatore. Nemmeno lei lo sopportava.
-Ma', tutto ok?- chiese David.
-Scusa- rispose lei, -È solo che non voglio che alla tua età pensi certe cose-.
Lui finse di capirla e tornò a mangiare. Era ovvio che il problema era un altro, ma se sua madre non voleva dirglielo significava che era qualche cosa di davvero importante.
Finì di mangiare, si rimise il mantello in spalla e uscì di nuovo sotto la pioggia battente.
Erano le due di pomeriggio, era ancora presto per incontrare Bukh e gli altri. Nonostante la presenza di Rebecca, David, si era rassegnato ad uscire con loro, poiché le cose da fare quel giorno erano davvero poche.
Passò di fianco al fabbro della città e vide venirgli in contro un mendicante. Era il solito Bullh. Vestiva sempre con degli stracci e non lavorava mai, puzzava, aveva una lunga barba grigia che non curava da anni e che insieme ai lunghi capelli unti gli copriva la faccia.
Gli passò di fianco guardandolo storto. David non fece caso a quell'occhiataccia, continuando sereno per la sua strada. Per fortuna Bullh non gli aveva chiesto soldi che tanto non gli avrebbe dato. Spesso faceva la carità, prendendosi serie minacce e alle volte addirittura botte dai guardiani grigi che spesso lo beccavano a mendicare. Forse, finalmente, aveva smesso con l'assillare la gente.
David passò davanti al tempio del dio Cosmo, il creatore dello Zomic: il cielo sul quale stanno tutti gli dei. Ogni paese aveva il tempio dedicato alla loro divinità protettrice e l'imperatore nella capitale aveva fatto erigere quello dedicato al dio Cosmo. David si fermò. Era una struttura enorme: alta almeno una decina di metri e larga altrettanto, il tetto era spiovente e ricoperto di brillanti tegole rosse che contrastavano con il marmo nero delle pareti che l'imperatore aveva fatto arrivare dalla cittadina di Fui, famosa per le sue cave di marmo d'ombra. Al fondo della struttura era collegata un'ampia cupola nella quale stava un'enorme statua del dio Cosmo, con il corpo da uomo, la testa da serpente e le ali d'aquila. David si fermò d'avanti al portone del tempio. Non aveva nulla da fare, poteva pure entrare, almeno sarebbe stato all'asciutto fino alle quattro di pomeriggio. Spinse lentamente la maniglia ed entrò.
Nel tempio c'era un silenzio assordante e l'interno era illuminato da candele graduate che segnavano l'ora e lasciavano il locale nella penombra.
David si tolse il mantello e si scrollò via l'acqua di dosso.
C'erano un sacco di panche vuote, solo su una stava seduta un'anziana signora intenta a pregare. Si sentiva solo il sibilo sommesso della sua voce, probabilmente alla vecchia scappava la "S".
David entrò nella cupola e vide la colossale statua di Cosmo che reggeva il libro del sapere, nel quale stavano scritte le cinque leggi fondamentali della vita:
-Non disubbidire agli ordini;
-Non rubare;
-Portare rispetto al sovrano;
-Onorare gli dei;
-Non negare l'esistenza degli dei.
David le rilesse in mente nonostante le sapesse tutte e cinque a memoria. Ai piedi della statua stava una cassetta piena di piccole candele rosse. Ne prese una. L'accese e la posizionò su un piccolo altarino dove stavano un sacco di candele ormai consumate e spente.
Sentì una voce che si univa al sibilo dell'anziana signora. Si voltò. Un monaco di Cosmo ora stava seduta di fianco a lei e parlavano. Lei era in lacrime, lui aveva il volto nascosto sotto il cappuccio a punta della tunica nera ornata con fiamme bianche.
David passò di fianco a loro lentamente cercando di capire cosa dicevano.
-Che devo fare?- continuava a chiedere lei tra i singhiozzi.
-Devi andare a dire la verità all'imperatore...- rispose il monaco, -E farti giustiziare in piazza, solo così Cosmo avrà pietà della tua anima e...- s'interruppe. Si voltò verso David che sorrise fingendo di averli guardati solo in quel momento, poi in fretta si sedette su una panca poco distante da li.
Il monaco si alzò invitando la signora a fare lo stesso e poi, entrambi, sparirono dietro una porticina che portava alla sagrestia. Nel tempio tornò il silenzio. David sbuffò piano. La cosa lo aveva interessato e sperava solo che il monaco non riuscisse a convincere la donna. Ormai era chiaro che pure loro erano dalla parte dell'imperatore, corrotti dal denaro riempivano la testa dei colpevoli che si recavano li sperando nella redenzione con una marea di menzogne.
David stette seduto sulla panca avvolto nel silenzio per un po', fingendo di pregare quando entrava qualcuno per accendere una candela e dire qualche preghiera.
Alle quattro si alzò dalla panca ed uscì dal tempio. Se non si ricordava male Bukh gli aveva detto di andare al melo storto.
Tirò su il cappuccio del mantello e si incamminò verso le campagne per trovarsi con i suoi amici. Quando arrivò al melo erano già tutti li e lo salutarono con calorosi abbracci e pacche sulle spalle, poi Rebecca lo prese per una guancia e lo strattonò così forte che a David sembrò tentasse di strapparla.
-Ciao pidocchietto- lo salutò lei.
Lui si divincolò e la spinse via.
-Ma perché devi sempre toccarmi?- le urlò lui.
Rebecca fece un passo indietro e fece una faccia come se fosse stata appena offesa.
-Tu non mi parli così- tuonò lei. Bukh tentò di fermarla ma lei lo spinse via e saltò addosso a David che si sbilanciò e cadde indietro. Scoppiò una piccola rissa. Finalmente gli amici riuscirono a dividerli. Schiumante di rabbia David balzò in piedi e si tolse il fango dai vestiti e dalla faccia.
-Avevo ragione a non voler venire,- disse, -Sei un'animale Rebecca e dovresti stare nella stalla- concluse con tono provocatorio. Lei urlò di rabbia, ma i gemelli Rot e Tor riuscirono a tenerla. David si voltò e se ne andò. Bukh lo rincorse cercando di scusarsi con frasi come "lo sai", "è permalosa", oppure "David, non prendertela", ma lui non lo ascoltava più e l'amico si scoraggiò e tornò dagli altri.
La pioggia non cessava e l'erba alta era bagnata. David si fermò su una collinetta di fianco ad una casa abbandonata di un vecchio fattore che si era trasferito in città nella speranza di fare fortuna.
Sulla collina, tra l'erba alta stava un albero secco, con la corteccia rovinata e i rami spogli. David prese la rincorsa e gli si avventò contro per sfogare la rabbia. Lo prese a pugni violentemente aprendosi le nocche. Improvvisamente, con grande stupore, nel punto in cui l'albero era stato colpito si scaturì una fiamma che si fece alta e in pochi istanti consumò l'albero.
Ora un filo di fumo si levava alto dal ceppo che oramai era l'unico segno dell'esistenza del vecchio albero. L'odore di legna bruciata gli era entrata nel naso e lo scoppiettio del fuoco gli aveva riempito le orecchie. Aveva le mani calde e si sentiva più sereno, come se la collera fosse stata sfogata in quella fiamma.
-Per Cosmo, allora sei tu!- una voce comparve dietro le spalle del ragazzo che si voltò di scatto. Era Bullh che lo fissava sbigottito da due fessure tra i capelli unti e la barba folta. Si avvicinò a David e lo prese per il mantello trascinandoselo dietro.
-Ma che vuoi da me?- urlò arrabbiato il ragazzo dimenandosi.
-Zitto e seguimi, dobbiamo parlare a tuo padre- rispose il mendicante, -Oggi è un giorno importante!-.
Il sole era ormai calato, le candele nei lampioni erano accese ed illuminavano le strade. Bullh e David passarono davanti alla bottega del padre che ormai era chiusa e gli scuri erano stati posati sulle finestre. Arrivarono davanti a casa e il mendicante accelerò il passo tirando sempre di più il ragazzo che non vedeva l'ora di essere libero. Bullh bussò forte alla porta. Ci fu un istante di silenzio dove si sentiva solo la pioggia che cadeva. La porta si aprì. La madre di David stava sull'uscio e aveva il volto preoccupato. Bullh la spostò ed entrò rumorosamente in casa precipitandosi in cucina dove il padre di David aveva cominciato a cenare.
-Papà,- fece il ragazzo -Bullh ti deve parlare-
Il mendicante allargò un sorriso mostrando i suoi denti sporchi.
-Karl, tuo figlio... è l'Angelus!-.
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