Tre
L'aria ha un odore acre e metallico. Disgustoso. Un conato di vomito le pervade la gola, ma non può fare altro che boccheggiare e tentare di respirare quell'essenza malata, precipitando in un circolo vizioso. Non può vomitare. Non può scappare. Non può urlare. La vita è davvero così? Perché non può semplicemente morire, allora? Perché ha davanti tutto ciò che nessuno mai dovrebbe vedere, la morte nella sua manifestazione più evidente, eppure proprio lei deve continuare a vivere?
Un'ombra cala sul suo cuore e sui suoi occhi. Riesce a mettere a fuoco solo il pavimento imbrattato di caldo liquido scarlatto proveniente da una donna. È in ginocchio, curva su sé stessa davanti a un Kamidama. Sembra stia pregando.
Il sangue non si ferma; continua a zampillare dalla ferita sottile sulla schiena, dall'apertura corrispondente sullo stomaco. I piccoli sandali vengono sommersi, spruzzi tiepidi le imbrattano il viso. Si ritrova impantanata fino alle ginocchia. Trova la forza per correre via, ma il sangue è denso come fango nelle risaie e non la lascia scappare.
La donna si alza. Ride, la bocca imbrattata di rosso. Appena la apre, rivelando grossi canini appuntiti, sputa melma nera mista al vermiglio. Le si avvicina in ginocchio, smuovendo il lago in cui si trovano. In braccio ha il cadavere maciullato di una bambina, il cranio ridotto in polvere e gli occhi rovesciati. Lo lascia annegare. È il suo cadavere.
- Warui shojo da ne - si lamenta. - Sei proprio una bambina cattiva. Non vuoi giocare neanche oggi.
I denti sono tanto lunghi da sorpassare le labbra, su cui provocano profondi tagli. Hanno riflessi argentei, come pugnali. Vogliono la sua carne.
- No. No, no, no!
- Oh, ora mi rendi triste. Davvero tanto, tanto triste. Vieni un po' qui da me...
Reggendosi sulle ginocchia si avvicina pericolosamente. Identi lunghi come pugnali ora le bucano i seni fuoriuscenti dal kimono blu, da cui gronda latte acido e putrescente. È un Nogitsune, non ha dubbi. Solo una volpe malvagia sarebbe capace di nascondere quell'aspetto sotto il bel viso di una donna.
- Vattene! Smettila di tormentarmi! - grida disperata.
- Smetterò quando resterai qui - risponde maligna la volpe. - Per sempre qui, con me... A morire!
La sua velocità aumenta di colpo. I suoi movimenti, prima goffi e lenti, d'un tratto sono così veloci da sembrare che la sua figura tremi. La raggiunge, le afferra le spalle. I pugnali affondano avidi nella carne, insinuandosi fra le costole e perforandole il cuore, ma non la uccidono. Si limitano a succhiare via l'anima poco a poco, in una lenta agonia che la fa precipitare in un baratro nero.
- Basta... basta, smettila...
Il Nogitsune ride ingordo mentre ingoia sangue, emettendo versi di piacere.
- Oh? Ora mi dici di smetterla? Non era quel che volevi? - le domanda. Gli occhi dalle iridi arancioni ardono di pazzia. - Non hai desiderato, poco fa, di poter crepare anche tu? Hai cambiato idea? Beh, è troppo tardi ormai: mi hai illusa, mi hai fatto venire fame, bambina cattiva. Ora verrai con me: muori!
Natsuko urlò disperata. Delle mani forti e calde continuavano a tenerla ferma stringendole le spalle. Si dimenò, sgomitando in preda a un terrore cieco, zuppa di sudore in un luogo buio.
- Natsuko! Ti prego, ferma! Sono io.
La ragazza si bloccò, il respiro corto come quello di un coniglio in trappola I suoi muscoli si rilassarono e li scoprí incollati alla camicia da notte.
- Daichi...
- Va tutto bene - la fermò lui, stringendola a sé. - Non devi spiegare niente. Sono venuto perché mi sono preoccupato sentendoti rigirarti in continuazione. Hai fatto ancora quel sogno?
Natsuko si vergognò terribilmente per essere apparsa così debole, ma non ebbe il coraggio di districarsi dalla stretta del fratello adottivo. Tremava ancora.
- Io non so più cosa fare, Daichi. Ogni sera vado a letto tardi e cerco di stancarmi il più possibile per addormentarmi esausta, nella speranza di non sognare.
- Devi solo provare a non pensarci più. Capita a molti di soffrire di incubi.
- Questo però non alleggerisce la mia pena.
Il ladro esitò. Natsuko ne distingueva solo la sagoma scura delle braccia dalla sua posizione, ma il calore e la protezione provenienti da esse riuscirono a calmare il battito del suo cuore.
- Gli incubi non sono altro che incubi, appunto. Quella donna non è reale, non può sfiorarti nemmeno con un dito. E tu sei forte, più forte di lei.
La ragazza avrebbe voluto davvero che fosse così, ma quella scena le sembrava ogni volta più reale.
I primi tempi, quando era arrivata in casa dei Kanayama, le capitava solo raramente di avere l'incubo. Essendo una bambina, tendeva ad archiviare quel tipo di esperienze. Ma più cresceva, meno le riusciva convivere con la paura opprimente che le si incollava alla pelle e si ripresentava da lei quasi ogni volta che si addormentava.
Era sempre lo stesso sogno: una donna curva su sé stessa, morta, con in braccio una bambina a cui era stato fatto a pezzi il cranio. La donna era un Nogitsune, una volpe oscura che ingannava le persone fingendosi un'affascinante fanciulla per poi nutrirsi di loro e ucciderle, e la vittima era lei. Natsuko non sapeva se nel proprio passato dimenticato ci fosse stata davvero una volpe, ma quella donna sembrava intenzionata a non smettere di perseguitarla.
Si impedì di piangere. Daichi appoggiò la propria fronte alla sua, solleticandole il viso con i capelli scuri e trasmettendole un confortante tepore.
- Vuoi stare nella mia stanza?
Lei annuí. Il ragazzo si alzò e aprí la porta scorrevole della piccola camera.
- Metti dei vestiti puliti, dirò a Sadako di prepararti un infuso. Solo... Fai attenzione a non svegliare Okasama.
Daichi uscí. Natsuko non perse tempo, togliendo immediatamente la veste bianca e indossandone una nuova. Al contatto con il tessuto asciutto e morbido si sentí meglio.
In punta di piedi, abbandonò la propria stanza.
Chigusa-sama non doveva saperlo. Erano alcuni anni che glielo aveva impedito, asserendo che ormai non erano più bambini e che non stava bene che una signorina passasse la notte nel futon di un ragazzo che in realtà non era nemmeno suo fratello, ma loro non avevano mai obbedito a quell'ordine. Non c'era mai stata nessuna malizia in quel gesto, da parte loro. Per di più, addormentarsi nel futon di Daichi era l'unica soluzione che le permettesse di dormire serenamente dopo un incubo.
Il ragazzo la aspettava inginocchiato sul tatami. La stanza affacciava sul giardino interno e dalla sottile barriera di carta di riso delle finestre filtrava la tenue luce lunare; fu così che la giovane vide che era vestito interamente di nero, con hakama più aderenti e una giacca comoda e corta dalle maniche strette. Il suo abbigliamento da Shirogarasu.
- Devi uscire?
- Sì. Mi hanno assegnato un incarico troppo importante per questa sera, purtroppo non posso restare.
Dalla morte di Kanayama-no-Kogoro, ai due ragazzi era toccato prendere in mano le redini della famiglia e amministrarne le proprietà in quanto eredi.
I Kanayama avevano ottenuto il proprio nome di famiglia e dei terreni nella campagna circostante Kamakura tramite la sottomissione al bakufu e al terzo Shogun. Nonostante la nobilitazione, avevano scelto di espandere il piccolo appezzamento di terreno che possedevano nei fatiscenti dintorni del porto e costruire lì una dimora. Il perché avessero desiderato continuare a risiedere vicino alle baracche dei pescatori era qualcosa a cui nessuno in società era riuscito a trovare una spiegazione ragionevole.
Quale scusa il clan avesse raccontato negli incontri formali, Natsuko non avrebbe saputo dirlo, tanto più che i Kanayama, che da subito si erano circondati di un'aura misteriosa, raramente prendevano parte a eventi di quel genere o si sentivano i benvoluti. In tutte le occasioni in cui vi avevano presenziato, Natsuko aveva avvertito un'incredibile tensione. Gran parte dei clan era convinta che il motivo della loro insistenza nel risiedere vicino al porto fosse l'avere un miglior controllo dei giri di contrabbando di merci rubate.
C'erano solo poche ragioni per le quali la loro esistenza veniva tollerata senza che nessuno sollevasse dubbi. Una era che il primo membro della famiglia a ricevere il loro nome e uno stemma nobile, Kanayama-no-Yoshitaka, aveva avuto la fortuna di veder nascere dal suo matrimonio quattro figlie. Sfruttando le ricchezze e gli onori ricevuti, era riuscito a procurare alle giovani donne matrimoni solidi e che avrebbero consentito alla famiglia la stabilità necessaria. Le doti nuziali erano valse loro come ingresso in clan altolocati, più potenti e prestigiosi. Ma era sicuramente il loro coinvolgimento nella politica a giocare un ruolo cruciale.
Sadako, l'anziana donna di servizio, portò nella camera una tazza di tè fumante su un vassoio di porcellana cinese; la donna sapeva bene di contravvenire alle disposizioni della signora, ma non avrebbe detto nulla. Era a servizio presso la famiglia da molto prima che i due ragazzi nascessero, e oramai li aveva presi a cuore come i suoi stessi figli.
La ragazza ringraziò e bevve a piccoli sorsi. Daichi aspettò che terminasse prima di alzarsi.
- Tornerò fra poche ore - la rassicurò. - Tu dormi pure, ti sveglierò io quando dovrai tornare di là.
- Va bene... ti ringrazio.
I suoi occhi si erano abituati al buio abbastanza da vederlo abbozzare un sorriso: -Non c'è di che. A dopo.
-Daichi - lo chiamò un'ultima volta. - Continuo a pensare che forse... forse sarebbe il caso per me di chiedere aiuto.
Il giovane capofamiglia si raggelò.
-Ne abbiamo già parlato - rispose atono.
- Quattro mesi fa. Possono cambiare molte cose, in quattro mesi... tu stesso l'hai visto.
- Natsuko, la mia decisione non è fra queste. Sai bene quale opinione io abbia di quella sorta di santoni.
Natsuko sospirò. Le persone di cui Daichi parlava con tanta acredine non erano certo comunemente definite "santoni". Nemmeno lei sapeva in realtà cosa fossero di preciso i Kushieda. Si trattava di uno dei clan più antichi di Kamakura. Come loro, appartenevano alla nobiltà della capitale e detenevano una certa influenza.
Leggende misteriose circolavano sul clan Kushieda, tuttavia. Qualunque altro clan abbiente ne parlava con una certa soggezione.
-L'intera capitale tiene in alta considerazione il loro lavoro...
Con passo felpato, senza udirla o forse fingendo di non averlo fatto, la lasciò di nuovo sola.
Natsuko inspirò rassegnata l'aria fredda dell'inverno. Si sistemò sul morbidissimo materasso ormai impregnato dell'odore di Daichi, odore che le ricordava il bosco in cui svolgeva i suoi allenamenti appena alzato e in cui lei era solita seguirlo. Le coperte erano fredde e non poté evitare di domandarsi con una punta di rimorso da quanto fosse sveglio a causa sua.
Il nome d'arte di Daichi era quello che era stato di suo padre e del padre di suo padre prima ancora: Shirogarasu. L'addestramento che il ragazzo aveva affrontato per anni era stato non solo quello di un guerriero, ma anche e soprattutto di una spia.
Fin da bambino Daichi era stato sottoposto a ritmi massacranti. Natsuko ricordava ancora le notti in cui in famiglia tutti si sarebbero ritirati per la notte con la consapevolezza che lui, all'epoca un ragazzino di appena otto anni, non sarebbe tornato al suo futon entro l'alba. Ma nonostante fosse dotato di una destrezza e di un'agilità eccezionali e fosse in grado di andare alla ricerca di qualunque informazione, non era quasi mai lui a prestare quei servigi.
Shirogarasu, il corvo bianco, non era altro che il nome della persona detenente il comando di coloro che avevano permesso ai Kanayama di scalare la piramide sociale di Kamakura: i Corvi neri. Kanayama-no-Yoshitaka stesso ne aveva fatto parte, finché la sua capacità di imporsi come guida e le trattative con personalità di spicco non l'aveva condotto al comando.
Natsuko ricordava ancora quell'uomo. Quando era stata adottata, viveva in casa del suo unico figlio maschio, in attesa che la vecchiaia si trasformasse nell'unico avversario che fosse mai riuscita a catturarlo, lui, la spia che nemmeno i più addestrati soldati e i più furbi funzionari avevano mai colto in flagrante. A quei tempi era ancora lui a occuparsi di Daichi. Era venuto a mancare cinque anni prima.
I primi ricordi che possedeva erano di un anziano chiuso e freddo. Quando Kanayama-no-Kogoro aveva annunciato la sua adozione, aveva preteso che anche lei seguisse lo stesso addestramento di Daichi; un clan con solo due eredi, aveva detto, non poteva rischiare di lasciarne uno impreparato. Kogoro, che d tempo aveva preso di fatto ad amministrare le proprietà, aveva categoricamente rifiutato di sottoporre una bambina a quelle torture. Non aveva negato, tuttavia, che venisse istruita nelle arti marziali. Non era insolito, nemmeno per una donna di buona famiglia. Si era trattato di un compromesso che aveva messo a tacere il vecchio, che pure aveva rinfacciato al proprio erede la faccenda per anni.
Nell'ultimo periodo precedente la sua fine, tuttavia, Kanayama-no-Yoshitaka sembrava essersi rasserenato. Natsuko non aveva dubbi sulla ragione di tale cambiamento. Dopo aver sottratto Daichi all'ala protettiva dei genitori e averlo istruito personalmente lui, che si era formato in mezzo al clima violento e letale delle guerre di successione del bakufu, era finalmente riuscito a plasmare la spia perfetta.
La ragazza aveva vissuto la morte dell'anziano come se un macigno le fosse rotolato via dal petto. Non le era mai importato del destino dei Corvi: sapere che il ragazzo avrebbe potuto tirare un sospiro di sollievo e non massacrare più il proprio corpo le bastava. Inoltre, da diversi anni la situazione militare sotto il sesto Shogun sembrava essersi stabilizzata, e con lui sembrava che anche il clan Hōjō, la famiglia da cui veniva tradizionalmente scelto il reggente del bakufu, fosse meno ansioso di manovrare le posizioni di potere del palazzo militare come pedine su una scacchiera da Go.
Gli Hōjō erano l'unica famiglia cui i Kanayama non si sarebbero mai permessi di arrecare fastidio. Oltre ai matrimoni prestigiosi contratti dalle sorelle di Kanayama-no-Kogoro, la ragione principale dietro la stabilità del clan di cui faceva parte erano proprio gli Hōjō.
La famiglia era stata tra i primi a servirsi dello spionaggio dei Corvi. Fintanto che essi fossero rimasti al potere, nessuno avrebbe mai scoperto dell'identità dello Shirogarasu e della rete di spie da loro gestita; allo stesso tempo, finché i Corvi avessero seguitato a servire gli Hōjō, il loro lavoro ne avrebbe consolidato la posizione.
La ragazza diventava sempre nervosa quando pensava a quella situazione. Avrebbe davvero voluto che l'esistenza di Daichi e della sua famiglia cessassero di essere perennemente in bilico, dipendenti da quella catena di intrighi e servilismo, vacillante come un equilibrista su una corda tesa.
Natsuko si girò su un fianco, intenzionata a riprendere finalmente sonno, ma non credeva che sarebbe riuscita a farlo. Ormai era abituata a dormire pochissimo. Probabilmente il suo sonno leggero era ciò che la rendeva l'unica persona brava quanto Daichi a captare rumori nel cuore della notte. Ma quella capacità, nel suo caso, l'aveva guadagnata a caro prezzo. Di giorno era raro che si trovasse in una forma fisica abbastanza buona da prendere parte a molte attività.
Stava per chiudere gli occhi quando sul tatami, a un palmo dal suo volto, vide la sagoma di qualcosa a cui non pensava da giorni e che accese in lei un'enorme curiosità.
Accanto alla sua testa indovinò le forme della scatola; in realtà, constatò, dai piedi ben lavorati poteva dirsi piuttosto uno scrigno. Natsuko si issò su un gomito e la osservò con occhi voraci. Qualsiasi cosa ci fosse doveva servirgli spesso, se la teneva accanto al futon.
Passò un dito sulla superficie legnosa e liscia; ne studiò ogni angolo, ogni pregio o imperfezione. Nulla di tutto ciò, lo sapeva, sarebbe bastato a trattenere la sua curiosità.
Daichi non lo avrebbe mai saputo, che c'era di male? Avrebbe solo dato una sbirciata fugace e avrebbe rimesso tutto a posto.
Prese lo scrigno nero e si alzò a fatica. Era ancora debole; considerate le temperature di quei giorni, se voleva usare la luce della luna per vedere qualcosa avrebbe dovuto farlo nel più breve tempo possibile. Con la massima delicatezza, aprì la portafinestra affacciante sul porticato in legno che abbracciava l'intera casa. Uscì, e il freddo la trafisse fin nelle ossa. Si sedette, le gambe ciondoloni sul prato ghiacciato, e mise lo scrigno sulle gambe. Niente esitazioni, si ordinò.
Lo aprì di scatto.
L'interno sembrava essere imbottito e foderato di raso. Vi trovò un solo oggetto che la lasciò sbalordita: una semplice, minuscola pietra.
Si sentì presa in giro. Un sassolino? Daichi aveva accampato decine di scuse o non aveva spiccicato parola per ore per una gemma, nonostante fosse fra i possidenti più ricchi di Kamakura?
La sola pietra per cui avrebbe giustificato quel comportamento era un frammento di cielo, come li chiamava Chigusa-sama, un pezzo di stella caduto al suolo che si confondeva con i normali ciottoli, se non lo si individuava appena caduto.
Ma quella per Natsuko era solo una leggenda.
Fece per prendere in mano il sasso, ma ritrasse di scatto il braccio, spaventata. Saltò all'indietro e lo scrigno volò sul pavimento di legno, provocando un gran fracasso. Rovente. Quella pietra era rovente come quelle attorno ai falò che lei e Daichi accendevano in cortile nelle sere estive. Natsuko avrebbe creduto di aver sognato se non fosse stato per il calore. Lo avvertiva scorrerle nel corpo anche dopo quel tocco, si espandeva dal cuore fino alle estremità delle dita, il volto, perfino le punte dei capelli. Era una sensazione mai provata prima, ed era straziante.
Esitò. Con polso tremante, si avvicinò ancora alla gemma. Alla luce della luna la scoprì ovale e di una tonalità arancione, totalmente liscia. La sua mano, ancora formicolante, non sentí nulla stavolta. Il suo corpo era perfettamente normale ora. Ma cos'aveva avvertito prima allora? Non era possibile che l'avesse immaginato. Era ancora stordita, la testa le girava, come se stesse per svenire.
Non ebbe tempo per riprendersi. Per poco l'oggetto non le cadde di mano confondendosi con le erbacce e i sassi del giardino. Dal corridoio, seppure ovattato, giunse un forte e pesante rumore di scarponi sul delicato tatami. Non pensò nemmeno per un secondo che fosse Daichi.
Natsuko scattò in piedi. Briganti? Ladri? Purtroppo, però, le sue capacità di difesa sarebbero state basse in entrambi i casi. La sua intenzione era di nascondersi sotto il porticato, posto dove nessuno avrebbe mai cercato, ma quando fece per saltare giù e infilarsi tra le strutture legnose una voce le raggelò il sangue.
- Ragazzina, ferma dove sei.
Trovò il coraggio di voltarsi. Sulla soglia della camera da letto c'erano due uomini alti, uno dal fisico asciutto e magro, l'altro, quello che aveva parlato, estremamente corpulento. Proprio la stazza le fece usare prudenza. Di certo non sarebbe stata in grado di combattere fisicamente, non contro un uomo di quelle dimensioni. Scappare era un'opzione, ma non sarebbe andata lontano senza ancora essersi ripresa dal capogiro che l'aveva colta.
- Ora tu resti ferma lì e ci aiuti, hai capito? Se non farai cazzate, finiremo quanto prima di fare giustizia con voi dannati e tutta questa faccenda sarà stata solo un brutto sogno.
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