Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Volano gli aquiloni

Prima dell'arrivo dei Danesi fu un altra la vicenda che fummo obbligati ad affrontare, ovvero quella che Morea avrebbe istantaneamente ribattezzato come l'avventura più divertente e assurda a cui era stata testimone. Era circa metà aprile e con l'avvicinarsi della pasqua le ordinazione di tortini crebbe ulteriormente per cui affrontammo il periodo più complesso e caotico della nostra intera avventura. Non solo fummo obbligati ad acquistare un terzo forno per stare dietro alle ordinazioni ma un giorno, poco dopo la prima settimana del mese, un paio di auto sgangherate si fermarono nei pressi del piazzale del faro. In realtà eravamo così impegnati che non ci rendemmo conto di nulla finché, dopo aver infornato l'ennesima teglia di dolci non ci voltammo, trovandoci la cucina occupata da otto loschi giovani.

- Bisogna chiudere bene le porte – disse uno dei ragazzi spingendo una planetaria a terra. - Soprattutto quando si fa qualcosa di illegale – continuò.

- Oh, ma come ti permetti stronz... - tentò di dire Morea.

- Quella è una roba che costa parecchio ragazzino – la interruppi, mettendomi istintivamente tra lei e gli otto sconosciuti.

- In realtà è molto quello che dovete dare voi a noi.

- Noi a voi? E per cosa? - ringhiò Morea alle mie spalle.

- Non permettiamo a nessuno di spacciare nella nostra zona, anche se se si tratta di tortini di merda come questi – rispose il ragazzo, facendo cenno a uno degli altri di iniziare a distruggere i dolci già cucinati.

Pur consapevole che otto giovani muscolosi ed in forze non avrebbero trovato problemi a sottomettermi, ma anche se ero solo un molle borghese non potevo comunque rimanere a guardare in silenzio.

Neppure Morea si era tirata indietro, senza perdere tempo aveva impugnato una padella ed era pronta ad entrare in azione quando la porta della cucina si spalancò e la rigida figura di Katrina non irruppe in scena.

- Che cos'è tutto questo fracasso!? - esclamò, entrando tra i giovani, immobili per la sorpresa. - Che cosa ci fate voi otto qui dentro? Non sapete che è proprietà privata? - continuò, camminando tra i ragazzi senza manifestare il minimo timore.

- Voi ci dovete... - iniziò il primo.

- Vi dobbiamo cosa, sentiamo? Quale cifra? Per quale giro di affari stimato? A quanto ammonta questo danno patrimoniale di cui ci reputate responsabili?

- Ecco... io... - mormorò il ragazzo, ora molto più simile ad un bambino messo in soggezione dall'insegnante che non al terribile criminale spacciatore che pretendeva di essere. - Diciamo ventimila.

- Ventimila cosa? Meloni? Arance? Noi non abbiamo tempo da perdere con le vostre diatribe da piccoli spacciatori – rispose Katrina, sempre più ferma e decisa seppure messa completamente in ombra da quel ragazzone che la superava di almeno una quindicina di centimetri.

- Euro ovviamente! - sbottò il ragazzo. - Non potete permettervi di spacciare nel nostro territorio senza il nostro consenso.

- E chi stabilisce che abbiamo bisogno del vostro consenso? C'è qualche legge scritta? E tu di chi hai il consenso? Di tuo padre? Fatti guardare bene, chi sei tu di preciso...? - disse Katrina, avvicinando la faccia al ragazzone per guardarlo meglio.

Questi, in visibile soggezione, cercò di sottrarsi allo sguardo indagatore della fredda donna ma, forse per non perdere la faccia davanti ai suoi compagni, alla fine fu lui a dichiararsi.

- Sono Antonio Isoardi – rispose.

- Isoardi... quindi tuo padre è quel vecchio pescatore di Giancarlo.

- Sì signora.

- Quell'uomo è un uomo onesto, se sapesse che vai in giro a spacciare e a chiedere il pizzo ti riempirebbe di calci nel culo per un mese.

- Ma... - tentò di rispondere lui ma Katrina si era già volta verso gli altri della sua comitiva.

- E voi chi siete, fatevi guardare bene... - mormorò, avvicinandosi al suo compagno più vicino il quale balzò indietro d'istinto e al grido di "sono venuto solo per caso" se ne andò a gambe levate subito seguito dagli altri ragazzi.

In un attimo la sola presenza di Katrina aveva fatto tornare il silenzio nella cucina e lei, come un'eroina, guardava la porta chiusa con un mezzo sorriso di soddisfazione ed orgoglio. - Katrina sei stata fa vo lo sa – scandì Morea, lanciandosi ad abbracciare la donna.

- Non era niente di particolare – commentò lei, - sono solo ragazzini che giocano a fare i criminali – poi, rivolgendosi a me, - lo tenga ben presente la prossima volta, non si faccia mettere i piedi in testa dai locali, sembrano minacciosi ma rimangono comunque dei provinciali.

Sollevai le braccia. - Devo ammetterlo, ti sono ufficialmente inferiore – dissi, avvicinandomi, - per questo non devi lasciarmi mai – conclusi, aggiungendomi a quell'abbraccio di gruppo.

Parlammo e ridemmo di quella storia per tutte le due settimane successive e forse lo avremmo fatto anche per i mesi a venire, se non si fosse verificata quella storia dei Danesi.

In un lampo arrivò la pasqua e con la pasqua arrivammo anche a dare fondo alle ultime riserve di erba disponibile in casa. Affrontai quelle ultime infornate con una sorta di peso sul cuore, con la sensazione che da lì a poco tutto sarebbe cambiato in maniera rovinosa, repentina e irreversibile. Morea non era mai stata chiara rispetto alle sue intenzioni finita quella storia ed io ero troppo intimorito dalle sue riposte per azzardare una qualsiasi domanda, così agivo e mi comportavo come se niente fosse, come se i nostri giorni insieme fossero destinati all'eternità.

Non avevo idea di quanto mi sbagliassi.

Nel lunedì di pasquetta, lungo la costa, si teneva l'annuale parata degli aquiloni. Benché non attirasse più gente come nelle sue prime edizioni, almeno stando ai racconti degli anziani mai comprovati da Katrina, quello rimaneva l'evento mondano più importante dell'intera termirini tanto che non solo attirava persone da tutta la costa ma riusciva addirittura a portare una discreta quantità di turisti e campeggiatori a visitare la riviera.

Quel giorno in particolare, mentre chiudevo a chiave la porta del faro, una discreta calca di persone si erano già radunati in lontananza, sul bagnasciuga, raccolti a rettangolo attorno alla pista dove, da lì a poco, i primi volatori avrebbero sollevato i propri aquiloni nell'aria riempiendo il cielo di un arlecchino di colori che avrebbe dipinto tutta la giornata.

- Avevamo proprio bisogno di una giornata di riposo, non pensi? - disse Morea, respirando l'aria fresca che spirava dal crinale.

- Ora potremo prenderci tutte le giornate di riposo che vogliamo, non ti pare? - risposi.

Morea sorrise e in quel sorriso sincero, forse per la prima volta, vidi una vera volontà di restare con me, di rimanere lì, abbarbicati nel nostro faro a fare l'amore tra l'infrangersi delle onde.

- Sì, hai ragione, finalmente possiamo rilassarci – disse, prendendomi per un braccio, - ma adesso voglio rilassarmi anche un po' insieme a Katrina e al Selvaggio, stare con te è bello ma quei due insieme mi fanno più ridere di qualsiasi sitcom.

Ridacchiai ma non risposi, con un solo sorriso Morea era riuscita far tornare il sereno nel mio cuore e in quel momento avrei fatto qualsiasi cosa, l'avrei seguita in ogni luogo, avrei venduto tutto, per lei.

Vicino al rettangolo di volo l'aria aveva gli odori della festa e presi dall'entusiasmo anche io Morea ci mescolammo alla folla per poter ammirare la parata.

Giganteschi aquiloni variopinti ci oscillavano sopra la testa, sospinti da misteriosi correnti ascensionali, invisibili a tutti tranne alle esperte mani dei volatori, le cui capacità mi lasciavano sempre sbalordito. 

Figure tridimensionali, animali fantastici, personaggi di fantasia, ciò che ci volava sulla testa era uno strano universo sospeso nell'aria, adagiato su un cielo azzurro, terso e infinito.

I giudici di gara si muovevano tra i volatori con una camminata solerte, impettiti sotto il peso di quel ruolo di responsabilità.

- Come sono tutti seriosi - commentò Morea, - non sembra neanche che stiano presenziando una gara di aquiloni, da come si pone quello sembra che stia per decidere a chi dare il nobel per la pace.

Risi. "Quello" era Alberto Amagnani, assessore comunale per la pesca e l'agricoltura con un passato da capitano di peschereccio. Era un buontempone dall'aria vissuta, i capelli brizzolati e lo sguardo sornione. Aveva passato tutto il tempo a camminare impettito da un volatore a un altro bombardando tutti di domande sull'aerodinamica del proprio aquilone o sulla fantasia con cui era stato decorato. Addirittura, in più di un'occasione, Alberto era stato tanto pedante che, distraendo il volatore, gli aveva fatto precipitare l'aquilone.

- Non puoi sorprenderti... - risposi.

- Siamo a Terminirini - mi anticipò, - lo so, sembri un disco rotto con questa storia. Visto che ti dai tante arie da uomo di mondo perché stai ancora qui insieme ai popolani? - mi punzecchiò.

Risi ancora. - Credi che non abbia più pensato a cosa mi hai detto sulla barca? 

- Quindi ti sei veramente convinto ad aprire un altro ristorante. 

- Forse - risposi con un mezzo sorriso. 

- Si parla di aprire un ristorante qui? - mi domandò il Selvaggio.

- Che razza di udito hai? - chiesi, volgendomi.

- A quanto pare Zante vuole ritornare a mettersi in gioco - rispose Morea.

- Mettersi in gioco? Di che state parlando? - intervenne Katrina, comparendo alle spalle del Selvaggio.

- Ma eravate tutti appostati lì dietro? - domandai, venendo nuovamente ignorato.

- Del nuovo ristorante di Zante - disse Morea.

- Hai già pensato a un nome? - mi chiese il Selvaggio.

- Hai già pensato al mio stipendio? - domandò Katrina. 

- Era solo un'idea che stavo confidando alla mia compagna sperando...

- Qui non esistono segreti, siamo a Termirini - mi guardò Morea, facendomi il verso. 

- Ho capito, vado a prendere qualcosa da bere per festeggiare - mi arresi, indietreggiando con le braccia alzate. 

- Finalmente hai capito - ridacchiò Morea. 

- Per me una birra ghiacciata! - esclamò il Selvaggio. 

- Non penso che abbiano altro - mormorai, ridacchiando, mentre mi inoltravo tra la folla alla ricerca del chiosco delle bevande. 

"Chissà se ho fatto bene ad espormi?" pensavo, guardando gli aquiloni librarsi sopra la mia testa in quella splendida giornata di sole, in quel giorno che si sarebbe trasformato nella fine di tutto. 

Era vero, avevo pensato a lungo all'idea di aprire di nuovo un locale, ma forse lo avevo detto solo per accontentare Morea, per farle capire che volevo cambiare, che volevo farlo per lei, per le sue parole, per il suo corpo giovane, per la sua pelle morbida, per il profumo dei suoi capelli...

- Oh, Zante, giusto lei! - esclamò l'allegra voce di un'anziana. 

- Mamma Lucia, come va? - risposi, voltandomi. - Non dirmi che vuoi farmela pagare per averti portato via un'ospite - scherzai. 

La donna rise di gusto, era una signora sulla settantina avvolta in un largo vestito a fiori che metteva in mostra due massicce gambe strette in autoreggenti color carne. Educata e gentile, Mamma Lucia era il prototipo della nonna ideale con i suoi capelli tinti di biondo ed una permanente perfetta, sempre troppo truccata, il che non sarebbe un problema non fosse per la sua pretesa di baciare tutti come se fossero suoi nipoti.

Stavolta, per fortuna, scampai al bacio.

- Lei Zante ha sempre un senso dell'umorismo... lo credo che è diventato uno chef così rinomato. 

- Di solito l'umorismo lo lasciamo agli addetti in sala, noi della cucina per lo più gridiamo e litighiamo tra di noi.

La donna rise ancora reggendosi uno dei grandi seni.

- Proprio una sagoma, veramente - disse, ricomponendosi. - In realtà ciò per cui l'ho fermata è sia per sapere come vanno le cose con la mia ex ospite sia per avere informazioni riguardo il suo lavoro.

- Con Morea le cose procedono piuttosto bene ma se lo vuole sapere non c'è nessun matrimonio in vista, del resto stiamo insieme da poco più di un mese. 

- Solo? Pensavo fosse di più, ma se ascolta me una signorina così non se la lasci scappare, con quell'abilità nel fare i dolci potrà sicuramente aiutarla qualora volesse ricominciare l'attività in cucina. 

- Ma... signora Lucia! - esclamai, sorpreso del fatto che non solo conoscesse il nostro traffico ma fosse addirittura nostra cliente. 

La donna ridacchiò di gusto nel vedere la mia espressione stupita.

- Glielo ripeto, lei mi fa morire - disse, accarezzandomi bonariamente una spalla. - L'altra cosa che le volevo dire, comunque, è di ordine un tantino più professionale. Vede ho un paio di ospiti all'ostello, due omaccioni che vengono dalla danimarca, uno non se li immagina i danesi così quando ci pensa ma effettivamente erano vichinghi, un tempo...

- Sì, e quindi? - la interruppi prima di vederla partire per la tangente del suo eterno divagare. 

- Ovviamente le ho parlato delle meraviglie di Termirini, anche di lei e del suo passato da stella della gastronomia - commentò, ammiccante, - loro si sono dimostrati desiderosi di fare un giro dei suoi, il suo tour alle grotte delle sirene. Normalmente non siamo proprio in stagione, poi con la compagnia della signorina... non sapevo bene cosa rispondere. 

- Gli dica che non c'è nessun problema, le basta prenotare con Katerina come al solito e sarò ben disposto a portarli in barca fin laggiù.

- Oh, perfetto, allora dirò loro di chiamare domattina, va bene?

- Va benissimo - risposi con un sorriso forzato: più perdevo tempo a chiacchierare con lei più la fila di fronte al chiosco sembrava allungarsi e a forza di sentir parlare della mia relazione con Morea mi era venuta voglia di tornare da lei, stringerla a me e non lasciarla più andare via.

Liberatomi di Mamma Lucia mi mesi pazientemente in coda ma anche con tutta la buona volontà del mondo non tornai se non dopo una buona mezz'ora quando oramai l'atmosfera si era stemperata.

- Come mai ci hai messo tanto? - domandò Morea, sorseggiando la sua birra mentre osservava il volare leggiadro degli ultimi aquiloni, i più belli essendo appartenuti ai vincitori degli anni precedenti. 

- Ho incontrato la tua vecchia padrona di casa - risposi.

- Mamma Lucia? Come sta? Ho adorato quella vecchietta.

- Sai che si mangiava le nostre torte?

Morea sbottò in una risata che gli fece andare la birra per traverso.

- Stai scherzando? - domandò, sghignazzando.

- No.

- Questo posto non smette mai di sorprendermi - commentò Morea.

- Voleva anche sapere se facevo ancora le visite guidate alle grotte delle sirene, dice che ha due turisti danesi molto interessati alla... - mi zittii. 

Morea era impallidita ed aveva lasciato cadere il bicchiere a terra ancora mezzo pieno.

- Due danesi? - mi domandò con un filo tremante di voce. 

All'improvviso mi sembrò che i colori avessero perso di consistenza, che i rumori si ovattassero, che il cielo stesso si ricoprisse di sinistre nubi. L'aria di gioia, l'odore della festa, tutto all'improvviso si era acquietato, annullato dall'espressione di terrore ed angoscia che si era dipinta sul volto di Morea.

- Va tutto bene? - domandò il Selvaggio, guardandoci insieme a Katrina con aria preoccupata.

- Sì, tutto bene... io... - balbettò Morea, - sono solo dolori da ciclo, ho bisogno di andare a casa, scusate ragazzi - concluse, volatilizzandosi.

Rimasi interdetto scambiandomi qualche sguardo confuso con Katrina ed il Selvaggio prima di rendermi conto che dovevo seguirla, che dovevo capire cos'era quell'improvviso cambio di umore.

La raggiunsi, o meglio, la trovai a casa, impegnata ad andare da una stanza all'altra in cerca degli oggetti più disparati, in preda ad una strana eccitazione che si mescolava al terrore profondo che le avevo letto nello sguardo solo pochi minuti prima.

- Morea, mi vuoi spiegare cosa succede? - le domandai, andandole appresso. 

- Non posso spiegarti - rispose di sfuggita, infilandosi in camera da letto.

La seguii.

- Ti prego, fammi capire, cosa è successo all'improvviso? Cosa ho detto di sbagliato?

Morea si fermò e non potei non notare che sul letto c'era già il suo zaino, fatto e pronto per un'eventuale partenza.

- Tu non hai detto niente di sbagliato, sono io... sono io che mi sono fermata qui per troppo tempo - rispose, prendendo ad armeggiare con lo zaino per aggiungere qualcosa.

- Cosa vuol dire per troppo tempo? Stai dicendo che vuoi andartene così? All'improvviso? - domandai, irritato.

Morea si immobilizzò, rivolta allo zaino, dandomi le spalle, con l'immenso mare di fronte che oscillava indifferente a noi, alle nostre misere tragedie.

- Io non volevo andarmene - mormorò.

- E allora spiegami perché all'improvviso stai facendo le valigie - risposi, ma era quasi un ringhio, un verso di rabbia, di angoscia, della disperazione. All'improvviso la stavo perdendo e non mi era neppure dato di capire il perché, come potevo accettarlo? Come potevo abbracciare un'idea del genere con un sentimento diverso dalla rabbia?

Morea trasse un sospiro e sempre dandomi le spalle guardò verso il mare, oltre i vetri dell'appartamento, nel punto esatto in cui quel giorno, solo un mese prima, ci siamo parlati la prima volta.

- Io... io devo farlo - disse, riprendendo ad armeggiare con lo zaino.

- No! - esclamai, prendendola per un braccio, obbligandola a guardarmi. Ma appena mi trovai di fronte i suoi occhi arrossati e le guance rigate di pianto tutta la mia rabbia evaporò come neve al sole e tutto ciò che riuscii a fare fu abbracciarla. 

- Io ti amo, piccola testa di cazzo - mormorai, stringendola.

- Anche io ti amo - rispose lei, singhiozzando una risata, con il volto affondato nel mio petto.

Era strano far l'amore con la consapevolezza che sarebbe stata l'ultima volta. Cercarsi nell'ombra del cuscino, baciarci avvolti dalle coperte. I nostri corpi nudi, caldi come supernove, i nostri movimenti lenti, i baci eterni, l'umano disperato tentativo di rallentare il tempo, di far scivolare quel pomeriggio verso l'infinito allontanando il tramonto con la brezza del nostro respiro unito, con il fuoco dei nostri corpi accesi.

Lei, sirena dagli occhi piangenti, schiava del proprio stesso destino. 

Io, marinaio dai desideri effimeri, destinato ad essere consumato da lei, dalle sue mani candide, dal morbido della sua bocca. 

Alla fine ci accasciammo uno sull'altro, stretti nell'abbraccio dello sfinimento, ammutoliti nella tristezza di quella sera, di quel mare lontano che diventava una coltre di inchiostro scuro, mormorante sotto l'immensità di un cielo cianotico, ricoperto di nubi improvvise.

Anche il mare piangeva la partenza di Morea, anche il mare salutava con tristezza l'ultima sirena.

- Sapevo che prima o poi te ne saresti andata, sei troppo bella per durare - mormorai.

Le accarezzavo la testa dolcemente, cercando di imprimere sui miei polpastrelli la sensazione di quei capelli, di quella guancia calda. 

- Troppo bella per durare - ridacchiò. - Come vorrei che fosse vero.

- Perché non vuoi darmi spiegazioni?

- Hai veramente bisogno di tutte queste spiegazioni? Perché non smettiamo di parlarne per un po' e non rimaniamo qui sdraiati al buio a goderci il fruscio del mare?

Tacqui qualche istante, il ciondolare delle onde ci faceva da sottofondo mentre un gabbiano distante gracchiava qualcosa nel vento. Silenzio. Possibile che tutto dovesse concludersi così? Con un immenso silenzio? Ma non un vero silenzio, un silenzio ipocrita, riecheggiante dell'eco di mille dubbi, di mille domande che non si sarebbero mai estinte.

- No - risposi, - io devo sapere.

Morea accolse le mie parole con un sospiro e prese ad attorcigliarsi i capelli. 

- Ricordi che ti ho detto che sono partita dopo che mio fratello è morto di overdose, vero?

- Sì.

- Nemmeno io ti ho detto tutto: lui era solo il motivo iniziale. Dopo il funerale ricordo che ero arrabbiata col mondo e volevo farla pagare a qualcuno, così cercai il tipo che vendeva la droga a mio fratello, era un trafficante di Amsterdam che si occupava anche di prostituzione. All'inizio volevo ucciderlo ma poi mi sono resa conto che mi mancavano sia le armi che il coraggio, così ho optato per svaligiarlo.

- Quanto gli hai rubato?

- Più o meno settecentomila - rispose.

- Accidenti.

- Amad, così si chiama il tizio, aveva sempre questi due danesi che facevano i lavori sporchi per lui, due armadi di muscoli e cattiveria con l'intelligenza di molluschi...

- Pensi che siano loro i danesi che stanno da Mamma Lucia.

- Io non ne ho idea, veramente, non so nemmeno cosa possa averli portati a trovarmi qui, so' solo che ho paura e voglio andarmene ma allo stesso tempo non ce la faccio, vorrei rimanere qui per sempre e dimenticarmi di tutto, di mio fratello, di Amad, dei Danesi, ricominciare da capo come se la vecchia me non fosse mai esistita, diventare anche io una sirena, libera in quel mare grande senza più nessuno che mi insegua, che mi obblighi a nascondermi sul fondo.

Rimasi in silenzio ascoltando i singhiozzi di lei e le sue lacrime che mi bagnavano il petto: non avrei mai immaginato che la giovane Morea, quella ragazza avventurosa, fosse anche uno spirito così combattivo, così coraggioso, così imprudente. In fondo era solo giovane e forse anche io, nella sua situazione, avrei schiumato di rabbia e cercato una sorta di rivalsa verso quel mondo crudele che mi aveva portato via una persona tanto amata. Anzi, un po' invidiavo tutto quello così come invidiavo tutto ciò che era.

In quel momento mi resi conto che non l'amavo perché era giovane, bella o desiderabile, la amavo per il suo coraggio, per la sua indipendenza, per il suo lanciarsi nelle situazioni senza paura, armata di una padella. La amavo perché era una guerriera ma nessuna guerriera può vincere una guerra se combatte da sola.

- Ti proteggerò io - mormorai, sfilandomi da sotto di lei.

- Come? Cosa...? - disse Morea, guardandomi infilare mutande e pantaloni nella penombra.

- Ho detto che ti proteggerò io - ripetei. - Non ti lascio andare via così - le dissi, ancora a petto nudo. - Io non posso lasciarti andare, non voglio che un'altra persona che amo se ne vada via per non tornare mai più. Non questa volta.

- Aspetta, spiegami, cosa vuoi fare? - mi domandò preoccupata, raggiungendomi fuori dal letto. 

- Affronterò i Danesi - le dissi, guardandola negli occhi. - Affronterò i Danesi e tu smetterai di scappare.

In me sentivo crescere, anzi divampare, una forza immensa ed una decisione smisurata, sentimenti che erano sempre stati in me solo che li avevo dimenticati, li avevo sedati sotto strati e strati di etichetta, di obblighi, di doveri. Anche io volevo essere un guerriero e quella notte lo sarei stato.

- No, Zante, ti prego lascia perdere, è una pazzia. Quelli sono armati, non ti immischiare in questa storia, posso scappare ancora e poi quando sarò libera tornerò da te. 

- Quando sarai libera? Quando smetterai di scappare? Tra un anno? Due? Tre? E anche se smettessero di cercarti tu come vivresti se non con la paura di essere nuovamente rintracciata o braccata? Vuoi veramente vivere così? Con lo zaino sempre pronto per la fuga? Perseguitata dal fantasma dei tuoi errori?

Morea ammutolì stringendomi le mani e distogliendo lo sguardo.

- Hai ragione - mormorò, - anche se non mi inseguissero più loro mi inseguirebbe per sempre la paura - ammise, - ma allo stesso tempo non voglio che tu abbia a che fare con questa storia, non voglio che tu rischi la vita per una come me. Sono stata stupida sono...

- Una come te cosa? Sei la cosa più bella che mi sia mai capitato e nulla in questo mondo vale quanto te.

Morea abbozzò un mezzo sorriso ed io ne approfittai per asciugarle le guance con la mano.

- Io non posso cambiare il passato, ma sono disposto anche a morire pur di stare un altro giorno insieme a te. Non voglio obbligarti a rimanere qui ma tu non puoi obbligarmi a guardarti partire senza fare nulla. Io ora uscirò da quella porta ed andrò ad affrontare quelle persone, spero di ritrovarti qui quando sarò tornato: mi aspetterai?

Morea rimase in silenzio, guardandomi nella penombra con quegli occhi lucenti che mi avevano fatto innamorare fin da subito, fin da quel giorno in cui scendemmo la scogliera per raggiungere la cassa. Ma stavolta ciò che vi lessi fu un verdetto avverso. 

- Non posso promettertelo - rispose, prima di darmi un bacio che sapeva di salsedine. 

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro