Capitolo 27
Would you rescue me when I'm by myself?
When I need your love, if I need your help
Would you rescue me?
11/07/2019
L'atmosfera del volo che ci riporta in Italia è l'esatto opposto di quella che aleggiava nell'aereo che ci ha condotti a Rangiroa.
Ora, a differenza di prima, avendo dovuto fare i bagagli e partire in tutta fretta, siamo normali passeggeri, seduti come tutte le altre persone in questi scomodi sedili, tutti in fila. Non che la cosa mi dispiaccia, in fondo non volevo attirare troppa attenzione facendomi trasportare da un elicottero o, ancora peggio, da un jet privato che Valentino ha insistito per affittare. Non voglio nemmeno immaginare lo scandalo che si sarebbe creato.
Ho preferito trascorrere un altro giorno a Rangiroa, nel totale relax, non da malata, senza pensieri ossessivi nella testa, che ho sempre cercato di reprimere.
Ma ora, seduta su questo aereo, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino ormai da ore, tutti i pensieri repressi dei giorni passati mi travolgono come un fiume in piena, ed io non posso fare altro se non lasciarmi trasportare dalla forte corrente, che so che mi trascinerà verso la tanto temuta cascata, la quale metterà fine a tutto.
Vorrei tanto dormire, o comunque fare qualsiasi altra cosa che non sia lasciarmi andare a questi pensieri opprimenti, ma non ci riesco. La loro potenza è troppo grande, e la mia forza di resistere è troppo debole.
La mano del mio ragazzo rimane appoggiata sulla mia per tutto il viaggio, e resta intrecciata alla mia anche quando scendiamo dall'aereo, entrambi a testa bassa.
Ma quando saluto tutti i ragazzi, ancora del tutto ignari della mia malattia, mi sforzo il possibile per risultare normale e felice di rivederli, come del resto è. Mi sono mancati molto, e credo che l'unica cosa felice di oggi sia rincontrarli.
Durante il tragitto che divide l'aeroporto dal Ranch, tutti mi tengono occupata con le loro chiacchiere, riguardanti principalmente le vacanze, facendomi così dimenticare pressoché del tutto la mia malattia. Mi raccontano che quasi tutti si sono concessi alcuni giorni al mare in compagnia delle proprie ragazze, mentre solo due o tre sono tornati dalle proprie famiglie, non senza passare almeno un giorno in spiaggia.
Anche quando arriviamo a destinazione e loro mi aiutano a disfare le valigie, continuano ad intrattenermi con i loro divertenti aneddoti di questi giorni passati, dai tuffi stupidi al mare alle figuracce con i bagnanti, gli ospiti dell'hotel e a volte anche i tifosi, riuscendo così a farmi ridere di gusto.
Da quando sono arrivata al Ranch non ho la minima idea di dove sia Valentino. L'ultima volta che l'ho visto è stata quando è sceso dalla macchina con la sua valigia e il suo borsone, poi più nulla. Magari è andato a casa sua per sistemarsi meglio tutto quanto, o per prendersi un po' di tempo senza di me per metabolizzare ciò che gli ho raccontato in lacrime due giorni fa.
È normale, lo capisco, e lo vorrei anch'io. Ma, egoisticamente, preferisco che i ragazzi mi distraggano. Almeno non ci penso.
Poco tempo dopo aver sistemato tutti i miei vestiti nell'armadio, i ragazzi stabiliscono che hanno fame e che devono andare a mangiare, quindi vanno tutti al piano di sotto. Tutti tranne uno.
<<Scusa se te lo dico così direttamente, ma da quando sei tornata non sei più la solita. Ti vedo strana, non sei più la nostra Fede. Non ti obbligo a parlarmene, sai che se vuoi farlo io ci sono e ci sarò sempre. Però mettiamola così: se me lo dicessi mi toglieresti un bel po' di curiosità e d'ansia di dosso.>>mi dice Nico, sogghignando leggermente a fine frase, una volta che la porta si è chiusa dietro Balda.
<<Non è nulla di grave, davvero. Non ti preoccupare, sto bene.>>mento spudoratamente, sia riguardo alla mia salute fisica sia riguardo alla mia condizione mentale.
<<Bene.>>conclude secco, sedendosi sul letto a gambe incrociate senza mai staccare lo sguardo dal mio, l'espressione cocciuta e determinata.
<<Che stai facendo?>>gli domando, stupita dal suo comportamento e dal fatto che si sia arreso così presto. Di solito insiste finché non gli racconto tutto, anche più di quanto avevo previsto di dirgli. Ha delle doti persuasive indescrivibili, e credo che purtroppo nemmeno questa volta riuscirò a sfuggirgli, sebbene sembra sia così.
<<Mi siedo qui e aspetto che ti confessi, da bravo sacerdote. O anche psicologo, pensala come preferisci.>>mi risponde disinvolto, con tanto di scrollata di spalle. Appunto, era difficile che si arrendesse così velocemente.
A quel punto vado a sedermi al suo fianco, spalla contro spalla, pelle contro pelle, solo per prelevare da lui un po' della forza necessaria per far si che io continui a negare nel modo più sincero possibile.
<<Nico, non è niente di rilevante. È solo una fase, scommetto che domani sarà già passato.>>continuo ad insistere, sebbene dentro di me sappia che non è la cosa giusta da fare.
<<Certo.>>dice tranquillo, con un tono che non tenta nemmeno di nascondere la poca fiducia che ha nelle mie parole.<<Senti Fede, se non vuoi dirmelo qui perché forse hai paura che qualcuno dei ragazzi sia una spia dell'FBI e possa sentirti, possiamo andare al solito bar qui a Tavullia. Saremo semplici turisti, probabilmente pure scambiati per fidanzati, seduti davanti a due freschi Spritz a raccontarci i nostri drammi esistenziali. Ti ci porto io, in moto o in macchina, come vuoi.>>
<<D'accordo. Lasciami solo il tempo di cambiarmi.>>cedo, ormai senza speranze e senza più voglia di discutere. Sapevo già che in un modo o nell'altro Nico mi avrebbe fatta parlare, perché lui è fatto così. Insiste, ma senza che tu te ne accorga. E le tue difese cedono prima di quanto pensi.
<<Ti aspetto fuori. Non metterci un'ora e mezza come al solito.>>mi avvisa, uscendo dalla mia stanza con un occhiolino.
Non appena la porta si chiude, mi sdraio sul letto e prendo un bel respiro profondo, cercando in ogni modo di calmarmi. Indubbiamente non sono pronta a raccontare della mia malattia a Nico, ma sono ancora meno pronta a constatare la sua reazione. Non so se reagirà con l'indifferenza, nel peggiore dei casi per me, oppure se reagirà cercando di aiutarmi e di consolarmi, di farmi sminuire il problema. Mi auguro vivamente la seconda.
<<Ti avevo detto di non metterci un'ora e mezza, sei pronta?>>mi urla Nico dall'esterno della mia stanza, probabilmente sentendo che non muovo un muscolo.
<<Sono passati a malapena cinque minuti, per la precisione. Non sono come voi maschi, che con una scrollata di capelli e un po' di gel siete presentabili. Dammi tempo.>>ribatto, sollevandomi per mettermi a sedere sul morbido letto, con un flebile sorriso che fa capolino sul mio volto rattristato.
<<Okay, okay. Ma non metterci più di un quarto d'ora, altrimenti lo Spritz me lo vado a prendere da solo.>>mi avvisa, tradendo il finto tono ammonitorio che stava usando con una debole risatina.
Mi alzo dal letto, più determinata che mai a rimettermi in sesto di modo da non sembrare uno zombie che cammina per strada, ma mettendoci il meno tempo possibile. Scelgo un abbigliamento comodo, non troppo allegro e sgargiante, con la maglia di un semplice rosa e azzurro pastello e un paio shorts neri tradizionali. Non sono dell'umore giusto per il consueto giallo fluo.
Per quanto riguarda il make up metto pochissimo mascara e una linea sottilissima di eleyner, quasi invisibile. Sulle guance applico del fard, per nascondere ogni traccia delle lacrime che hanno percorso le mie gote nei giorni passati, dopodiché infilo le scarpe, acciuffo la borsetta ed apro la porta, ritrovandomi davanti un Nico sorridente ma palesemente in procinto di perdere la pazienza.
<<Eccomi qui, sono stata più veloce di una macchina di Formula Uno. Allora, andiamo?>>dico, raccogliendo tutta la gioia che riesco a fingere e spalmandola sulla mia voce di modo da non farla sembrare quella di una persona che ha scoperto da pochi giorni di essere gravemente malata. Ma alla mia malattia ci penserò domani, giorno in cui la dottoressa mi ha detto di recarmi all'ospedale di Pesaro per iniziare le cure; ora voglio semplicemente godermi il tempo che passo col mio migliore amico.
<<Andiamo mia cara, prima le signore.>>acconsente lui, spostandosi quel tanto che basta per lasciarmi passare, con tanto di gesto da gentiluomo. Sorrido a quel suo comportamento sempre premuroso nei miei confronti, poi percorro le scale fino a ritrovarmi in salotto, nel cuore di una partita alla play station composta principalmente da spinte per distrarre gli avversari e urli degni da curva di uno stadio.
<<Noi usciamo.>>li avviso, aprendo la porta seguita da Nico.
Nessuno ci rivolge uno sguardo, e l'unico a parlare è Cele, anche lui senza mai staccare gli occhi dal grande schermo della tv. <<Appuntamento romantico?>>
A quelle parole mi blocco sulla soglia, per poi tornare indietro a passo spedito e piazzarmi esattamente davanti al televisore, le braccia incrociate e lo sguardo duro. Con un semplice e secco movimento mi volto verso la TV e con grazia e noncuranza appoggio il dito sul tasto "on/off", facendo si che lo schermo diventi completamente nero.
<<Ma vi ripigliate? Non avete manco guardato con chi sto uscendo, e in ogni caso se vi interessa esco con Nico, non con Vale. Se aveste staccato gli occhi da quel maledetto schermo anche solo per un secondo, lo avreste visto da soli.>>li ammonisco, fulminando con lo sguardo chiunque era in procinto di protestare per aver messo fine alla loro partita.
<<Fede, lo sai che sono sempre io a farmi figure di merda. Non incolpare gli altri, sono io che non ti ho detto quello. Scusami>>tenta di scusarsi Cele, con il tono dolce che usa quando deve farsi perdonare da me, ma lo interrompo subito con voce severa:<<Fai meno il leccaculo Vietti, è colpa tua come lo è degli altri, fine. Ora, se permettete, io e Nico andiamo. Ah, prenderemo una moto a caso, quindi chi non se la ritrova in garage non ne faccia una tragedia.>>
In seguito a quelle parole, mi sistemo nuovamente la borsetta in spalla e mi volto per uscire, seguita immediatamente da Nico, la cui espressione è un misto tra timore e incredulità, con un pizzico di divertimento.
<<A chi scrocchiamo la moto, compare?>>domando, arrivati di fronte alla schiera di moto parcheggiate tranquille nel garage ma già pronte a trasformarsi con un ruggito non appena si avvierà il motore.
<<Ce ne sono poche di belle qui dentro, oltre la tua, quella della Sofi e del boss, ma quelle sono escluse. Quella di Nicco è bella esteticamente ma ha il motore di uno scooter, quella di Franky va che è una meraviglia ma ha solo un posto, quella di Mig è mezza scassata, quella di...>>inizia, contando sulle dita della mano le moto man mano che le elenca.
<<Ho capito, nel dubbio prendiamo quella di Luca, che è la più veloce per eccellenza.>>lo interrompo prima che inizi ufficialmente a catalogare ogni moto presente nel garage, avviandomi verso la moto selezionata. Lui mi segue pazientemente, poi mi pone la fatidica domanda che aspettavo da quando mi ha chiesto di uscire.<<Guidi tu?>>
<<E' un po' contraddittoria come cosa, visto che tu sei in Moto2 ed io solo in Moto3, ma con piacere mio caro. Salta su.>>acconsento, già in sella alla moto con casco indossato e mano che impugna le chiavi inserite precedentemente nell'apposita serratura.
Non appena sento che il peso alle mie spalle si è stabilizzato, giro la chiave e dalla moto si libera un rombo a me tanto famigliare, oserei dire il mio suono preferito. Prima di partire, getto la borsetta alle mie spalle, che Nico prontamente afferra subito, liquidandolo con un "Tienila", poi lascio la frizione e do gas.
Sfrecciamo a lungo attraverso le strade di Tavullia e dei paesi confinanti, allungando di molto il tragitto che ci doveva condurre al bar, principalmente per divertirci come due normali giovani, un po' fuori di testa, che adorano il rischio e l'adrenalina e che non si fermano davanti a nulla, nemmeno davanti alla possibilità di impennare su una strada asfaltata ma con una consistente percentuale di ghiaia sulla sua superficie.
E quando parcheggio di fronte al bar di Tavullia, ancora su di giri così come lo era il motore del veicolo sotto di me fino a pochi secondi fa, tutto il peso che sentivo di portarmi sulle spalle prima del giro in moto si è di gran lunga ridotto, arrivando quasi al pari dei pensieri positivi.
È esattamente questo l'effetto che mi fa andare in moto, senza temere il pericolo, rischiando ad ogni metro, con l'adrenalina che mi scorre nelle vene con tanta veemenza da crearmi i brividi in tutto il corpo; e farmi dimenticare letteralmente ogni cosa.
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