Capitolo terzo *Blaire*
Derek sedeva su una poltrona al centro della stanza in penombra quando andai a trovarlo.
Teneva i piedi sul tavolino di fronte a lui e aveva una lattina di birra tra le mani affusolate.
Era dimagrito parecchio dall'ultima volta che l'avevo visto e due grandi segni scuri sotto agli occhi gli conferivano un'aria cupa ed esausta.
Appena mi vide un sorriso gli rischiarò il bel volto.
Inutile negare che fosse sempre stato un ragazzo incredibilmente attraente, di quelli che le donne guardano senza poterne fare a meno, ma io sapevo fin troppo bene quanto poco luccicava quello che all'apparenza poteva sembrare oro.
Gli occhi blu diventavano di ghiaccio quando era in preda all'ira, il suo bel viso si tendeva fino quasi a diventare grottesco e la sua bocca carnosa era capace di formulare parole che annientavano.
Lo conoscevo per il mostro che era, eppure avevo cercato di dargli tutta me stessa, sempre.
Anche quando il mio corpo era coperto di lividi e nei miei occhi erano ormai finite anche le lacrime.
Allora perché ero là? Perché avevo disubbidito a Claire in quel modo?
Senso del dovere, pensavo.
Masochismo, perlopiù.
Dovevo dirgli una volta per tutte che tra noi era finita, anche se sapevo che le conseguenze sarebbero state terribili.
"Blaire" mormorò con voce roca, chinandosi per appoggiare la lattina sul tavolino e venire verso di me.
Quando si alzò, notai che aveva una sorta di bracciale metallico alla caviglia che, non appena mosse un passo, emise un flebile 'bip'.
Un regalo degli arresti domiciliari, sicuramente.
Mi abbracciò ed io ricambiai rigidamente, trovandomi un'altra volta tra le braccia di chi avevo tanto odiato.
Volevo scrollarmelo di dosso, non sopportavo nemmeno l'odore della sua acqua di colonia nelle narici, ma sapevo che un gesto del genere l'avrebbe fatto infuriare e, siccome avevo prima delle cose da dirgli, mi distrassi a pensare a come sarebbe stato abbracciare Boyd.
Avrei sentito calore, protezione e sollievo o solamente un possesso quasi animalesco come in quel caso?
Perché diavolo stavo pensando a Boyd? Lo conoscevo solo da un giorno!
"Blaire, mi hai sentito?" mi richiamò spazientito Derek.
Oh, merda! Cosa aveva appena detto?
"No, scusami, Derek. Non ho sentito" mormorai, pregando non si arrabbiasse.
Lui sbuffò irritato e ripeté:
"Ti ho chiesto della competizione. Hai mollato vero? Mi dispiace, zuccherino, ma se testimonierai per me, tutto tornerà come prima. Noi torneremo come prima" mormorò melenso, mentre mi accarezzava la guancia con le lunghe dita.
Le stesse dita che si erano strette un'infinita di volte attorno ai miei polsi, al mio braccio, alla mia gola impedendomi di respirare.
Erano ricordi marchiati a fuoco dentro di me: ogni botta, ogni spintone,ogni insulto e ogni schiaffo.
E così sarebbe stato per sempre, che lo volessi o meno.
Quasi meccanicamente, mi scansai dal suo tocco.
Rimase interdetto e aggrottò le folte sopracciglia scure, segno evidente che si stava arrabbiando, ma quella volta non avrei rinunciato di nuovo a me stessa per lui.
Non lo amavo più da tempo, forse quello che mi aveva legato a lui non era mai stato amore, ma solo voglia di rifugiarmi in qualcosa d'altro, voglia di sentirmi viva provando delle emozioni dopo che tutto dentro di me sembrava morto e vuoto.
Dovevo dire basta alla Blaire che si annullava per Derek e lo proteggeva sempre.
Basta alla Blaire vittima e succube, perché ero molto più di quello.
Ero sempre stata una forza della natura prima che la mia vita andasse in frantumi e qualcosa dentro di me mi urlava che era ora di tornare ad esserlo.
Derek doveva sapere la verità.
"Non ti devi preoccupare. Claire mi ha trovato un partner sostitutivo, è molto bravo" dissi infatti, già iniziando a tremare.
Vidi con chiarezza le vene del suo collo ingrossarsi e il respiro che gli diveniva irregolare, ma ero pronta anche a quello.
"Derek, ascolta..." cercai di dire, ma lui mi interruppe urlando.
"Cosa cazzo... un partner sostitutivo?! Porca puttana, mentre io sono costretto tra queste quattro mura per colpa tua, te la fai con il primo che ti capita sotto tiro?!"urlò sul mio viso e il suo fiato caldo sapeva di birra e rabbia.
La paura infiammò il mio corpo, come ogni volta in cui avevo il sentore che mi avrebbe picchiata, ma quella volta mi feci forza.
In nome della mia libertà, di una mia nuova vita.
Finalmente senza di lui.
"Derek, non è così... non sono più la tua ragazza" mormorai, cercando di mantenere un tono calmo.
Lui strabuzzò gli occhi alle mie parole, mi afferrò violentemente per un braccio e strinse forte la mia pelle tra le dita, facendomi digrignare i denti per il dolore.
Emise un risolino isterico, malvagio, che mi fece accapponare la pelle.
"Credi di avere la facoltà di decidere questo? Si che lo sei, zuccherino. Non puoi venire qui e piantarmi quando ti pare e piace" urlò sulla mia faccia.
"Derek, lasciami! Mi fai male!" urlai in risposta, ma lui strinse solo più forte strappandomi un gemito.
Avrei sicuramente avuto un livido il giorno dopo.
"Non dirmi cosa devo fare, brutta troia, non in casa mia. Credevo mi avresti aiutato ad uscire da questa situazione di merda e invece scopro che te la spassi alle mie spalle! Io ti amo, Blaire!"
La rabbia gli si leggeva negli occhi e intanto affondava le dita e le unghie così forte nel mio braccio, che mi salirono le lacrime agli occhi.
Nemmeno la sua confessione finale mi aveva smosso qualcosa nel cuore: quante volte avevo sentito quelle stupide e false parole.
Sembravano così... sbagliate in tutto quell'odio, in tutta quella violenza masticata e poi sputatami addosso, che ebbero su di me come un effetto di distaccamento dal terrore cieco che solitamente provavo.
La rabbia, il dolore e la solitudine emotiva che avevo accumulato, mi salirono in gola e li vomitai con violenza, urlando più forte che potevo:
"Derek, lasciami andare subito! Non lo vedi? Non vedi quello che mi fai, quello che sei? Non testimonierò in tuo favore perché per come mi tratti meriteresti di marcire in prigione per sempre! Tu non mi ami, tu vuoi possedermi e io non voglio essere tua. Hai capito Derek? Io non ti appartengo e non ti apparterrò mai!" urlai e, vedendo che era rimasto sbalordito, approfittai per spingerlo con tutte le mie forze sul petto massiccio, in modo che mi liberasse dalla sua stretta.
Fu un gesto avventato che però servì a poco, perché Derek si riprese all'istante e mi riafferrò, assestandomi uno schiaffo che mi fece urlare dal dolore.
Nei suoi occhi passò una scintilla che mi fece paura: era odio.
Odio nella sua forma più pura.
Mi lasciò improvvisamente il braccio e mi diede un violento spintone che mi fece perdere l'equilibrio e cadere a terra.
"Ma sentiti... parli già come una puttana"
Urlai quando atterrai al suolo, perché mi salii una scarica di dolore lungo tutta la spina dorsale.
Mentre ancora ansimavo, Derek mi tirò un calcio fra le costole, lasciandomi senza fiato per qualche secondo.
Poi mi afferrò i capelli con una delle grandi mani e mi tirò violentemente verso il suo viso digrignato e ansimante.
Ero sicura che quella volta mi avrebbe ammazzato sul serio, ma per grazia di Dio, gli squillò il cellulare.
"Non ora, cazzo..." ansimò, girandosi verso il punto dove proveniva la suoneria.
Per un attimo temetti che lo avrebbe ignorato, ma dopo che lo ebbe preso ed ebbe controllato lo schermo, con un'imprecazione rispose alla chiamata.
Doveva essere un controllo da parte della prigione, ma ancora non mi capacitavo della mia fortuna.
Mentre era girato a parlare concitatamente, mi alzai tra atroci dolori e corsi verso la porta d'ingresso.
Dovevo uscire da quella maledetta casa, se tenevo alla mia vita.
Spalancai la porta e mi fiondai fuori, facendo a rotta di collo le scale, ignorando i dolori alla schiena e alle gambe dovuti ai calci.
Quando finalmente fui fuori, lasciai che l'aria fresca delle serate primaverili mi solleticasse il viso rigato di lacrime e feci alcuni respiri profondi.
Con enorme sollievo notai alcune persone che camminavano sui marciapiedi vicini: anche se Derek avesse provato a rincorrermi, fregandosene dei domiciliari, non avrebbe potuto torcermi un capello con tutti quei testimoni.
Avevo un peso sul petto che mi rendeva difficoltoso respirare e non riuscivo a smettere di tremare, indicatori evidenti di un'imminente attacco di panico, ma non credendo ancora alla grande fortuna che avevo avuto a scappare dalla collera di Derek, mi misi a correre verso quella che mi sembrava una spiaggia isolata poco distante.
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