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Perché c'è sempre e solo Matt


Got called an alien for being myself.
I ain't the patience for being someone else.

-Hope for the underrated youth, YUNGBLUD

Una volta Matthew gli aveva detto che preferiva essere considerato un alieno ed essere sé stesso, piuttosto che essere elogiato per qualcosa che non era. Poi aveva aggiunto anche che non avrebbe avuto la pazienza sufficiente per essere qualcun altro, quindi non c'era storia comunque. No, in effetti Matt non era un tipo paziente. Ma Jamie lo era, e questo spiega molte cose.

Prima di Matt, la sua vita era perfetta. Non c'erano tutte 'ste paranoie. Anche se in realtà non c'era niente, prima di Matt.

Ci pensava spesso, non poteva farne a meno.

Prima di Matt aveva una ragazza che vedeva ogni pomeriggio, dopo i compiti. Era una brava ragazza, Marie, era intelligente e simpatica. Era la sua migliore amica. Un po' troppo timida forse. Ma è questo che si ottiene quando si finge, si esagera. Perché a Jamie sarebbe davvero piaciuta anche quella timidezza, se non fosse stata che mera finzione. Ma lo era, e quindi era l'unica parte che detestava di Marie: la sua maschera. Un'effimera maschera imposta dalla società, per cui le ragazze dovevano essere timide e delicate e i ragazzi spavaldi e coraggiosi. Jamie non la biasimava, anzi la capiva appieno. Anche lui portava la stessa maschera, quando faceva apprezzamenti sulle ragazze, quando doveva guardare le partite di football invece che leggere quel nuovo romanzo che aveva visto in libreria. Tutti i ragazzi, lì, lo facevano e lo doveva fare anche lui. Perché lui era normale, non era un frocio, lì in quella cittadina non dovevano esserci tali abomini.

Era una cittadina perfetta, quella dove vivevano. Una di quelle che vedevi in quelle commedie romantiche che Marie doveva fare finta di amare, e che lui invece amava davvero. Jamie ricordava che le vedeva solo per farlo felice, e in cambio lui le faceva vedere i film d'azione salvati nel suo computer. Sotto sotto, però, Jamie sapeva che le odiava solo perché non avrebbe mai potuto viverle.

A volte guardavano degli horror, e ridevano come pazzi per la stupidità dei personaggi. Gli piaceva ridere con lei. Gli piaceva tantissimo.

Erano totalmente opposti, quei due. Jamie era alto, biondo e con gli occhi verdi, mentre Marie era bassa, mora e i suoi occhi erano castani. Jamie era stronzo, molto ironico e a tratti irascibile, ma sapeva essere divertente e adorabile, non era coraggioso, né spavaldo. Marie era davvero carina e gentile, ma non era timida, né tanto meno delicata. Lei era forte, coraggiosa, tosta e difficile da piegare.

E non era innamorata di lui, come lui non lo era di lei.

Era un altro tipo di amore quello che la legava al ragazzo, uno totalmente platonico e fraterno. Niente a che vedere con quello che provava per Alice, una sua compagna di classe, che però non avrebbe mai potuto amare come voleva e come aveva voluto fare in quei due anni. Non in quella vita almeno. Aveva scritto questo, nella lettera d'addio, Marie. Perché lei era difficile da piegare, e allora l'avevano spezzata, tagliata in due. Aveva scritto che era il suo migliore amico, e che gli voleva bene, e che era stato lui a farla restare così a lungo. Lo ringraziava di esserci stato, e gli diceva di ribellarsi, di essere forte come avrebbe voluto essere lei. Lei, che non c'era riuscita. E di scappare. Diceva questo sostanzialmente la lettera: scappa.
Ma lui non l'aveva fatto. Lui era rimasto lì, ad aspettare. Cosa non lo sapeva neanche lui. Lui che di solito sapeva tutto, non sapeva trovare un motivo per continuare a vivere, e allora lo aspettava. Lo aspettava, perché lui era Jamie, e le cose le doveva sapere. Ma in quel momento non lo sapeva ancora, quale fosse il motivo che lo spingeva a restare.

Non in quel momento.
Non da quando era stato costretto ad aprire gli occhi, ed aveva realizzato che era tutto finto; che i sorrisi, gli abbracci, i 'ti voglio bene davvero" erano finti. Tutto sembrava di plastica. Tutto era di plastica. A quanto pare l'oceano non era l'unico a soccombere sotto la plastica; c'era anche lui. C'era anche Jamie. Jamie, il ragazzo biondo, stronzo, che giocava a football invece di leggere e che tutti sembravano adorare. Cazzate, cazzate, cazzate. Erano solo cazzate. Perché sì, Jamie era biondo, ma era dolce, amava leggere e di giocare a football non avrebbe voluto saperne, ma ci giocava, perché altrimenti non lo avrebbero adorato. Non avrebbero neanche finto, loro, che fingevano sempre, di adorarlo. Lo avrebbero fatto a pezzi. E allora aspettava.

Dopo la morte di Marie, era caduto in depressione. Non riusciva più a fingere, e allora non lo faceva. Aveva smesso di giocare a football, di guardare il culo delle cheerleaders, di uscire con i compagni di squadra, di andare alle feste. Aveva smesso di essere James Richards ed era diventato semplicemente Jamie. E tutt' ad un tratto, niente era più perfetto. Perché Marie, la sua migliore amica, lo aveva abbandonato. Lo aveva lasciato lì, sapendo che non avrebbe avuto il coraggio di seguirla. Stronza- aveva pensato al suo funerale, mentre piangeva e urlava e piangeva ancora più forte, che la gola sembrava sanguinare e le labbra lo facevano davvero, tanto forte le aveva morse- stronza, mi hai lasciato solo. Poi si era alzato, e aveva visto Alice piangere. Piangere, come faceva lui. Piangere davvero. E Jamie aveva pensato che forse quell'amore che l'amica tanto sognava non era così irrealizzabile. Ma poco importava ora, lei se n'era andata. E Jamie urlava; e Alice piangeva. Poi tutto era finito. Lui non era più Jamie, era l'ex della suicida. Lui non era più Jamie, era quello depresso. E i suoi genitori perfetti lo odiavano, perché non riusciva ad essere come loro. Che poi, Jamie non voleva essere come loro. Non voleva essere un alcolizzato che da ordini a chiunque, tratta sua moglie come un oggetto, e poi prende due pasticche per il mal di testa ed esce con il suo completo e la ventiquattrore tutto sorridente, fingendosi l'uomo, il padre, l'amico, perfetto. Suo padre non era niente di tutto ciò, era una merda. E neanche sua madre, che non sapeva ribellarsi- perché non è quello che fanno le brave mogli- per poi sfogarsi sopra i figli, era una merda. Perché poi usciva tutta bella imbaccuccata, che sembrava una Barbie, e fingeva. Almeno prima c'era Marie, che con lui non fingeva, e con cui lui era libero di fare lo stesso. Perché loro non fingevano. Loro erano veri.
Loro non erano perfetti, erano esseri umani.
Loro non volevano essere perfetti, volevano essere sé stessi.
Loro, loro, loro, loro...loro non esistevano più. Perché Marie non c'era, lo aveva abbandonato, e nonostante questo Jamie non riusciva ad odiarla, quella sorella che gli avevano strappato via dalle braccia. Loro non esistevano più, perché c'era solo Jamie. E Jamie si sentiva solo. Marie gli aveva lasciato un biglietto; non lo aveva aperto, non ci era riuscito.

Leggere la lettera era una cosa, non era stato l'unico a farlo, non era indirizzata solo a lui, era indirizzata a tutti. Scappa, Marie si riferiva a tutti i loro coetanei, ai compagni più piccoli, ai bambini, soprattutto i bambini, perché per loro c'era ancora speranza.
C'era speranza per Jacob, il fratellino di Jaime; per Laura, la sua nipotina; per Mila e Norman, i due figli dodicenni della loro professoressa di fisica. E, forse, forse c'era speranza anche per Clara, che aveva trovato la lettera della sua sorellona e l'aveva letta per prima, bagnando la carta con le lacrime che aveva versato. Aveva urlato Clara, dopo aver dispiegato quel pezzo di carta piegato a metà.

Quando troverete questa lettera, sarò già morta. Iniziava così, il monologo di Marie. Una frase senza speranza, angosciante. Il sapere che sarebbe rimasto per sempre un monologo, che non ci sarebbe potuta essere una risposta, non una che sarebbe stata ascoltata, letta, almeno, era ancora più senza speranza. E allora dov'era, quella speranza?

E non so se sia la cosa giusta, so solo che è quello che voglio. E forse una delle poche cose che desidero davvero. Ci sono più cose che non voglio, in realtà, come il fatto che non voglio che nessun altro finisca come me. Non provateci nemmeno. Dovete andarvene, ragazzi, dovete correre e correre e correre, e non azzardatevi a fermarvi prima di essere lontani kilometri e kilometri da questo posto. È tossico, nocivo, disgustoso, questo posto, e non è adatto a voi, che siete ancora troppo giovani per abbassarvi ai livelli degli adulti. Per voi non è finita, correte. Ed eccola lì la speranza, eccola lì.

Faceva quasi ridere che ci fosse così tanta speranza nella una lettera di una suicida. Faceva ridere, faceva piangere.

Non arrendetevi come ho fatto io. Si, leggere quel biglietto sarebbe stato decisamente diverso.

Prima di Matt e del suicidio della sua ragazza, Jamie aveva un migliore amico, che forse amico non era. Perché se fosse stato un vero amico, non se ne sarebbe andato mentre lui era nel bel mezzo di un attacco di panico il primo giorno di scuola senza Marie. No, Lucas non era un vero migliore amico. Era soltanto plastica. Anche questo faceva piangere.

Prima di Matt e del suicidio della sua ragazza, Jamie aveva una media scolastica decente. Decente, perché se un ragazzo maschio aveva dei voti troppo alti non era cool . Poi, quando non riusciva più a fingere, i voti sono aumentati. Perché si, cazzo, lui era bravo, e prima di Matt e del suicidio della sua ragazza, lui era costretto a sbagliare di proposito le risposte. Ma cazzo, ormai non aveva più niente, aveva solo i libri. E così si riempì la testa con nozioni di cui non gli importava niente, per non pensare continuamente a lei. Marie, Marie, Marie. La sua testa era un fottuto disco rotto, e lui cercava di coprire quella canzone ormai in loop con i compiti.
E cosi facendo, l'autunno cedette il passo all'inverno, che poi rinacque in primavera. E così facendo era passato un anno, e Jamie aveva smesso di passare tutti i suoi giorni in quello stupidissimo cimitero, davanti a quella stupidissima lapide, al cospetto di quella stupidissima foto che non rendeva giustizia sufficiente alla sua stupidissima migliore amica che lo aveva abbandonato, che piuttosto di piegarsi e vivere una vita senza amore, aveva preferito spezzarsi. Che lo aveva lasciato solo. Che lo amava come un fratello. Che lui amava come una sorella. Solo poche ore.

Poi era arrivato Matt.

Matt, con i capelli neri e rossi, le magliette a strisce e i vestiti neri. Matt, che usava l'eyliner e il rossetto nero. Matt, che se lo chiamavano frocio, sorrideva e alzava entrambi i medi, con le unghie rigorosamente laccate di nero, mentre se la rideva chiamandoli 'stupidi decelebrati'. Il fatto che lo fossero, poi, era un'altra storia.
Matt, che lo aveva visto lì in mensa da solo, con la sua solita felpa rossa e i suoi soliti jeans chiari, e si era seduto vicino a lui. Ovviamente, io non vi dirò mai che quel giorno Jamie aveva ringraziato tacitamente il cielo per essersi messo quella sua solita felpa rossa e quei suoi soliti jeans chiari, perché almeno gli stavano bene e perché Matt era un figo.
Matt, che gli aveva stravolto la vita, solo esistendo.

E Jamie non aveva saputo se essere felice o triste quando nella sua testa non c'era più Marie ma Matt. Non più Marie, Marie, Marie ma Matt, Matt, Matt, Matt, Matt...
Si era sentito dannatamente in colpa, in quel periodo. Andava al cimitero ogni giorno, e ci stava delle ore, dicendo a Marie quanto gli dispiacesse non pensare più a lei costantemente. Non aveva mai parlato ad alta voce, però era convinto che l'amica avrebbe sentito lo stesso. Avrebbe voluto farlo, ma aveva paura che qualcuno lo sentisse. E allora stava zitto, almeno apparentemente. Dentro la sua testa faceva interi discorsi, parlandole come le parlava prima di tutta quella merda. Andava lì verso le quattro, e ci rimaneva fino a quando non faceva buio. Iniziava dicendo che lei era sempre nei suoi pensieri, poi finiva sempre a parlare -beh, pensare- di Matt. Sapeva fosse stupido, capiva di apparire pazzo. Marie era morta, no? Perché sprecare il suo tempo così? Ma mettetevi nei suoi panni. Lui sapeva che Marie era stata dimenticata dagli altri, non voleva farlo anche lui. Non poteva farlo anche lui.

All'inizio si vedevano solo a mensa, lui e Matt. E parlavano, cazzo se parlavano. E a volte Jamie gli chiedeva se era sicuro di non chiamarsi Marie, e allora Matt iniziava a ridere e ridere, non capendo bene la battuta, ma Matt rideva sempre quindi non c'era da preoccuparsi. Poi rispondeva che sì, era certo di non chiamarsi Marie, ma che se gli faceva piacere avrebbe chiesto a sua madre. E allora era il turno di Jamie di ridere. E parlavano di film, di libri, di compiti, e di quanto la professoressa di matematica fosse stronza. E Jamie incominciava ad accettare la morte di Marie, anche se continuava a mancargli come l'aria, ed iniziava a capire che cosa avesse aspettato per tutto quel tempo. Chi, avesse aspettato. Poi si erano scambiati i numeri di telefono, e nessuno dei due fingeva, mai. E si chiamavano alle tre di notte, durante gli attacchi di panico, o semplicemente perché si mancavano. Nessuno dei due sembrava rendersi conto che gli amici non facevano quelle cose. Gli amici avrebbero dovuto vedersi ogni tanto, uscire la sera a rimorchiare ragazze, giocare ai videogame. Ignoravano il problema, e per ora andava bene così. Andava tutto bene, perché Jamie era di nuovo Jamie e Matt era vero. E si, il tempo passava e adesso avevano diciassette anni, Marie era morta da un anno e a Jamie mancava tanto, ma capiva che lei stava meglio. Alice era partita un mese dopo il suicidio della, agli occhi degli altri, amica. Gli aveva mandato una lettera un po' di tempo dopo, dove gli chiedeva di comprare ogni giorno una rosa e di andarla a mettere davanti alla tomba dell'amata. Lei gli mandava i soldi a fine mese, un euro a rosa. Jamie era stato più che felice di farlo. Per Alice; per Marie. Per loro, perché infondo anche il loro 'loro' meritava di essere celebrato. Soprattutto il loro. E lo faceva tutt'ora, quando oramai avevano diciassette anni ed era passato un anno. Perché voleva che gli pesasse di meno il petto alla constatazione che lui aveva diciassette anni ed era passato un anno, ma Marie ne avrebbe avuto per sempre sedici. Quando ne aveva parlato a Matt, lui non aveva detto niente. Dal giorno dopo, i ragazzi che entravano alle quattro e uscivano quando faceva buio dal cimitero, erano due. Jamie sapeva che Matt era quello che aveva aspettato per un anno, dopo che la sua migliore amica si era tagliata i polsi in una fottuta vasca da bagno. E forse sarebbe pesato il tutto di meno se la vasca non fosse stata quella di Jamie, se il bagno dove Marie aveva deciso di farla finita non fosse stato quello della sua stanza. Forse sarebbe pesato di meno, leggere quel biglietto sporco d'acqua e di sangue, un mese dopo l'accaduto, se il corpo di quella ragazza adorabile e forte e fragile e tosta non l'avesse trovato lui, che quel corpo l'aveva stretto forte solo pochi minuti prima. -Scusa per il sangue, Jamie, ma sono nata nella falsità e ho promesso a me stessa di non morirci- aveva scritto questo, Marie, in quel biglietto che lui aveva letto un mese dopo averlo trovato. E se chi lo avesse trovato non avesse letto anche la lettera, insieme a quel biglietto disgustoso, avrebbe reputato Marie una stronza egoista. Ma Jamie, che la conosceva, che aveva letto la lettera, che l'aveva stretta a sé pochi minuti prima della Fine, sapeva che Marie non meritava di morire a casa sua, ed era contento che reputasse la sua camera un posto sicuro. Si, sarebbe pesato tutto di meno, ma Jamie non sarebbe Jamie e non sarebbe con Matt, ora. E quindi forse è meglio così. Perché Matt è quello che aveva aspettato, Matt è il motivo per vivere. E ne aveva avuto la conferma quando per la prima volta Matt lo aveva invitato al cinema, per vedere il film di cui avevano parlato la mattina prima a pranzo, e lo aveva baciato. Perché era passato un anno, e loro ne avevano compiuti diciassette. Perché andava tutto bene. Perché c'era Matt. Perché c'è sempre e solo Matt.

Fine

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