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1 - Should I apply for a G-Lad?

Print. Print. Print. Il rumore acuto e fastidioso della stampante aleggiava nella stanza, quella piccola stanza che Louis aveva adibito come studio per lavorare quando ce ne fosse stato bisogno. Che poi, tutta fatica sprecata. Peccato che di lavoro non ce ne fosse e ormai non solo lui si era stancato di stampare copie di curriculum da distribuire in giro, ma anche il suo aggeggio super tecnologico che aveva preso in offerta al negozio di elettronica sotto casa. Non chiedeva molto in realtà, solo un impiego, anche il più misero e screditato, per mettere da parte qualche soldo e finalmente potersi iscrivere all'università.

Il suo sogno più grande era sempre stato quello di laurearsi in psicologia ed aprire un suo studio, perché più di una volta si era trovato ad ascoltare le confessioni di un sacco di suoi amici alle superiori e sempre era riuscito a dare i consigli migliori. Non sapeva come avesse guadagnato quel potere, eppure amava capire le persone e scavare a fondo nelle loro menti. In fondo, la mente dell'uomo nasconde segreti che nessuno è in grado di scoprire senza sapere dove mettere le mani. E poi, il fatto che fosse gay, e di sicuro più sensibile di un qualunque ragazzo etero alla ricerca costante di una vagina da penetrare, era un punto in più a suo favore.

Sta di fatto che per realizzare quel sogno doveva per forza fare almeno un anno di lavoro e mettere via tutti i soldi di cui aveva bisogno. Gli era andata bene che la casa a Londra l'aveva ereditata dalla sua adorata nonnina, deceduta l'anno prima per un cancro degenerativo. Si ricordava ancora la sua voce, le sue ultime parole, quando, sdraiata nel letto della sua casa natale, gli disse, "Nipotino mio, la casa è tua...vai, e realizza i tuoi sogni! Voglio vederti dall'alto essere quello che veramente sei, il mio unico e perfetto genietto!". Gli scese una lacrima su una guancia, la quale fu un misto di tristezza e gioia, ma la asciugò subito e si riconcentrò sulla stampa di quei fogli di carta che sperava in questa tranche sarebbero serviti a portare a termine qualcosa di concreto e concludente.

Aveva spedito una miriade di essi in un'altrettanto miriade di posti, dei quali aveva trovato gli annunci su internet. Alcuni via posta, altri direttamente online. Sta di fatto che non sapeva se avesse speso più in corrente elettrica o più in francobolli. Però sapeva benissimo di aver contattato qualsiasi azienda, qualsiasi negozio, qualsiasi cosa ormai. Per fare il commesso, per fare l'impiegato, addirittura per fare il lavapiatti. Ma nessuno di loro si era fatto risentire, nemmeno facendo finta di chiamarlo per un colloquio e dargli almeno per qualche minuto un barlume di speranza. I ragazzi diplomati da poco, in effetti, non li consideravano particolarmente. Preferivano quelli con un età superiore ai vent'anni, e Louis, dal basso dei suoi diciannove, non aveva ancora raggiunto la soglia stabilita da quella regola che lui trovava inutile. Ed effettivamente, non era nemmeno così frequente trovare un ragazzo di quell'età che vivesse già da solo. Ma la voglia di libertà aveva preso il sopravvento su di lui in modo precoce, presumibilmente parlando.

Si alzò dalla sedia, affranto e stanco, e andandosene in camera si buttò di schiena sul letto, portando un braccio a coprire gli occhi, perché la luce di quelle lampadine led gli dava un fastidio immenso. Sembrava che il mondo ce l'avesse con lui, sembrava che tutti ce l'avessero con lui, eppure non gli sembrava di aver mai fatto niente di male nella vita. Aveva sempre frequentato la scuola, senza mai un'assenza se non per motivi indiscutibili, aveva sempre aiutato la madre in casa, aveva accudito la nonna in vita e in fin di vita. Un figlio e un ragazzo modello, ma per il mondo del lavoro forse queste cose non bastavano. Cosa doveva fare? Doveva per caso dedicarsi a vendere il proprio corpo? No, non gli sembrava il lavoro adatto, impacciato e mingherlino com'era.

Il cellulare squillò mentre il turbine di pensieri gli continuava ad infastidire il cervello. Si girò a pancia in giù e si allungò per afferrarlo dal comodino, dove lo aveva lasciato qualche ora prima.

"Pronto?", rispose Louis portandosi il cellulare all'orecchio e rigirandosi supino, con la faccia rivolta verso il soffitto.

"Buongiorno, parlo con il signor Tomlinson?", disse una voce metallica e con un accento strano, non inglese di sicuro.

"Sì, sono io...chi parla?", la sua voce annoiata diceva tutto. Non aveva voglia di parlare con nessuno, soprattutto con qualche signorina che voleva convincerlo ad usufruire dello sconto mensile di qualche catalogo che aveva richiesto per posta.

"La chiamo dalla MusicEntertainment&Co (NB= INVENTATO), sono la segretaria del capo, lei ovviamente saprà di sicuro di che impresa sto parlando, non è vero?", rispose sorniona, facendo retoricamente quella domanda. Perfetto, Louis aveva di sicuro qualche volta ordinato qualche catalogo di vinili, che collezionava assiduamente e meticolosamente, quindi di sicuro era proprio come pensava lui. Mormorò accondiscendente e la signorina continuò.

"Bene, la chiamavo perché ci è pervenuto il suo curriculum e vorrei fissare con lei un appuntamento per un colloquio...sarebbe disponibile?", chiese la donna e a Louis venne un colpo. Si sollevò di scatto dal letto sbarrando gli occhi, e grazie al cielo la donna non poté vederlo. Lo avrebbe rimbalzato in men che non si dica.

"S-si si, ce-certo...i-io...", iniziò a balbettare, poi si diede mentalmente uno schiaffo per riprendersi, "Certo, sono disponibile...mi dica lei quando andrebbe bene..."

"Le andrebbe bene, ehm...dunque...", Louis sentì la donna girare delle pagine di un'agenda, "Domani pomeriggio? Verso le due? Alla sede centrale ovviamente"

"Ci sarò sicuramente...lei è...? Per trovare il suo ufficio...", chiese Louis alla donna, cercando di essere professionale al massimo.

"Hannah Browning...chieda di me...arrivederci a domani, Tomlinson...", senza aspettare che Louis ricambiasse il saluto, chiuse la chiamata. Probabilmente aveva del lavoro da fare, o degli altri colloqui da fare, di certo non era la persona più simpatica con cui Louis avesse avuto a che fare. Ma sta di fatto che, in quel momento, a Louis interessava solamente il suo di colloquio. Qualcuno si era finalmente fatto sentire, le sue preghiere erano state esaudite, qualcuno dall'alto aveva vegliato su di lui. Insomma, per i miracoli non si era ancora attrezzato, ma ciò che era appena successo era vicino all'essere simile ad uno di essi.

Lanciò il telefono sul letto e cominciò a ballare casualmente. Si avvicinò al giradischi e cautamente, estraendolo dalla sua custodia di cartoncino, inserì e fece girare il suo 33 giri di Elvis, uno di quelli a cui teneva di più.

...The warden threw a party in the county jail, the prison band was there and they began to wail, the band was jumpin' and the joint began to swing, you should've heard those knocked out jailbirds sing, let's rock, everybody, let's rock, everybody in the whole cell block was dancin' to the Jailhouse Rock...

Colpo di fianchi di qua, braccia di là, e facendo finta di suonare una chitarra elettrica, Louis cominciò a saltellare per tutta la casa. Andò nello sgabuzzino, acchiappò lo spazzolone antipolvere e cominciò a pulire il parquet del salotto, sempre ballando, quasi facendo addirittura cadere il vaso cinese che gli aveva regalato la madre quando si era trasferito, e che odiava a morte. L'unico motivo per cui non l'aveva ancora rotto era perché appunto sua mamma ci sarebbe rimasta male.

La cucina fu l'ultima stanza che toccò. Ancora con la musica in corpo cominciò a prepararsi la cena, affettando il pollo in cubetti perfetti, condendolo con del curry e della panna da cucina. Il tutto accompagnato da una birretta fresca da frigorifero. Non poteva dire di non essersi riempito al meglio lo stomaco quella sera, ma di sicuro lo fece andare a letto felice. Non vedeva l'ora fosse il giorno dopo, si sarebbe svegliato presto quella mattina e si sarebbe fatto di sicuro un bel bagno di bellezza. Avrebbe scelto l'abito più elegante e avrebbe provato un discorso di presentazione almeno una ventina di volte. Forse la ruota cominciava a girare dalla sua parte.

∞ - ∞ - ∞

Non era mai riuscito ad aprire gli occhi e scattare in piedi alla prima nota della suoneria fastidiosa della sveglia, di solito ci volevano le granate per svegliarlo. Eppure, quella mattina si alzò addirittura prima che suonasse, con ancora il sorriso a trentadue denti che sfoggiò quando si era coricato la sera prima.

Si stiracchiò e si scrocchiò la schiena, le gambe, le dita delle mani e dei piedi. Andò verso la finestra e spalancò le persiane quasi come se fosse Cenerentola, risvegliata alla mattina dal pigolare degli uccellini. Il sole gli evidenziava i lineamenti del viso e gli schiariva ancora di più gli occhi, che già per conto loro erano di una sfumatura rilucente. Sprimacciò il cuscino – rituale che aveva preso l'abitudine di fare ogni mattina, perché diceva che senza una buona sprimacciata non si poteva dormire decentemente – poi preparò i vestiti che avrebbe indossato sul letto.

Si fece una doccia calda, per lavare via il suo stato da rincoglionito totale appena sveglio, e quando uscì, legandosi una salvietta in vita, si sistemò i capelli e si spruzzò sei litri di profumo addosso. Avrebbe fatto svenire chiunque e soprattutto avrebbe fatto invidia alla miglior zoccola di strada del paese.

Tornò in camera e si piantò davanti al letto, mettendosi ad osservare di nuovo l'outfit che aveva scelto, sia mai ci fosse stato qualcosa di malamente abbinato o di troppo sciupato. Aveva scelto un paio di skinny neri aderenti, che avrebbe risvoltato alla caviglia, una camicia bianca ed una giacca dal taglio particolarmente femminile, ma alla quale non aveva resistito, né lui, né il suo portafoglio. Si diede un'altra sistemata al ciuffo spostato sulla destra, come lo teneva sempre, poi allentò l'asciugamano e lo fece cadere a terra, rimanendo nudo come un verme.

Si girò verso lo specchio e si osservò come tutte le mattine, o quasi tutte. Gli piaceva ammirarsi quando era nudo, non credeva affatto di essere un brutto ragazzo e con un brutto corpo, solo forse era troppo basso per la sua età e per essere un uomo. Ma del suo corpo, delle sue forme, non disdegnava nulla. Si accarezzò le braccia, le portò dietro la schiena unendole e tirandole per far apparire i muscoli ed ammirare pure quelli. Si girò dando le spalle allo specchio e si guardò il sedere, un gran bel sedere, pensò. Tondo, sodo, alto e muscoloso. In pochi avevano resistito, ma anche in pochi erano riusciti a soddisfare quelle belle chiappe. Chissà se prima o poi avrebbe trovato l'uomo che gliel'avrebbe sfondato come si doveva, o almeno, come voleva lui. Si rigirò poi sul davanti e si guardò il gioiello reale, sfiorandolo leggermente col dito per farlo ballonzolare.

"Giuro che se questo colloquio va bene, stasera ti faccio esplodere, caro mio", e sì, ogni tanto si ritrovava a parlare proprio con il suo pene. Il suo migliore amico, quello che più lo ascoltava e quello che gli aveva fatto provare le sensazioni migliori del mondo, esplodendo appunto, come aveva appena detto.

Ci mise ben poco a vestirsi, ma sempre con lungimiranza e cautela, per non risultare poi con qualcosa fuori posto, o peggio, con magari ancora l'etichetta del prezzo attaccata. Fece una colazione abbondante ma leggera, per evitare un brontolio dello stomaco improvviso durante il colloquio. O peggio ancora, un rutto colossale per aver mangiato pesante. No, non poteva permetterselo. I rutti facevano parte solo della sua vita privata, al massimo delle serate passate a bere birra e a guardar partite di calcio con il suo migliore amico Zayn, serate in cui si poteva tranquillamente pensare che Louis non fosse esattamente gay. Oh, e invece lo era, eccome se lo era.

Afferrò chiavi, portafoglio, cellulare e la busta con il curriculum stampato, se mai ce ne fosse stato bisogno, chiuse l'appartamento e scese le scale, già consapevole del fatto che avrebbe di sicuro incontrato la portinaia all'ingresso del palazzo.

Ed eccola, puntuale come un orologio svizzero, là all'ingresso, con in mano scopa e paletta per raccogliere quelle foglie fastidiose delle piante che giacevano nel giardino interno. Louis la adorava, non c'era niente da dire, ma ogni tanto lo faceva impazzire. Gli faceva sempre un miliardo di raccomandazioni, inutili a volte, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine. La donna si era affezionata a lui non appena aveva messo piede nel palazzo, arrivando addirittura a mettergli via una porzione dei meravigliosi manicaretti che cucinava, ogni giorno, pranzo e cena.

"Louis, tesoro...dove corri a quest'ora del mattino?", disse la donna, appoggiando la scopa al muro e portando le mani sui fianchi, come se volesse rimproverarlo. Louis le si avvicinò tutto di fretta, le lasciò un bacio leggero sulla guancia, poi corse verso la porta, ma già consapevole che la donna lo avrebbe riempito di domande, "Sto andando a fare un colloquio, Arianne! Augurami buona fortuna!"

"Louis, dove corri? Sai che mi devi ascoltare...", disse la donna girandosi, "Hai preso tutto? Ce l'hai il telefono? Mi devi avvisare se non torni per pranzo, così non ti metto via nulla...vieni qua, non scappare!"

Louis sospirò rassegnato e tornò verso la donna, "Che c'è? Sono in un ritardo spaventoso!"

"Ti svegliavi prima!", lo rimproverò spalancando gli occhi, proprio come se fosse arrabbiata, "Allora, la posta te la do stasera, adesso non sapresti dove metterla, e poi, tieni...prendi...", Arianne le allungò una bustina rosa, "Ieri sera, mentre rientravi a casa, ti ho sentito starnutire...prendi questa medicina, sia mai che ti venga la febbre, tesoro bello...e poi, smettila di fumare che ti fa male!"

Altro sospiro per Louis, che roteò anche gli occhi, ma accettando la bustina e il rimprovero, perché di farla rimanere male proprio non gli andava, "Grazie, Arianne...ora scappo!", le diede un altro bacio, poi scappò urlando un ultimo ciao. La donna lo volle interrompere di nuovo per altre raccomandazioni, ma non fece in tempo, perché Louis corse via chiudendo il portone d'ingresso. Arianne sospirò, poi sorrise tra sé e sé, scuotendo anche il capo. Si era davvero affezionata a quel ragazzo, lo vedeva proprio come un figlio. Era per quel motivo che faceva tutto quello per lui, per gli altri condomini non si era mai azzardata, neanche se gliel'avessero chiesto. Louis era il suo bimbo, la sua gioia. Gli voleva davvero un gran bene.

∞ - ∞ - ∞

L'imponenza dell'edificio dove vi erano gli uffici e le maggiori sale di registrazione della MusicEntertainment&Co faceva quasi paura a Louis. Assomigliava ad un grattacielo, ma propriamente un grattacielo non era, anzi era molto più allungato alla base. Eppure, le finestre non riuscivi a contarle nemmeno con un pallottoliere. Erano distribuite equamente e simmetricamente su tutti i lati, e dal tanto che erano lucide e tenute bene, il sole ci si specchiava magnificamente. L'ingresso era particolare. Per terra vi era srotolato un tappeto verde di panno e la porta era quella girevole. Sembrava più un grand hotel piuttosto che una casa discografica.

Louis quasi volle vomitare per l'ansia che gli era salita in corpo. Mancavano cinque minuti al suo appuntamento e quasi voleva scapparsene a casa e rintanarsi sotto il piumone del suo letto, evitando di uscirne per almeno due mesi. Fece un respiro profondo, chiuse gli occhi e cercò di calmarsi, poi si avviò all'interno.

Davanti a lui c'era una grande scrivania, che faceva da postazione per la reception. Vide una ragazza mora con una coda di cavallo stretta, le sembrò la più affabile, così si avvicinò.

"Buongiorno", disse titubante. La ragazza alzò il capo e sorrise lievemente.

"Buongiorno, posso esserle utile?", chiese gentilmente. Louis annuì, "Si, grazie. Ho un appuntamento con Hannah Browning, un colloquio..."

"Il suo nome?", chiese di nuovo la ragazza, afferrando un foglio da una cartelletta rossa di plastica.

"Louis Tomlinson"

La ragazza fece scorrere il dito sulla lista, fino a che non sorrise di nuovo, probabilmente perché aveva trovato il nome, "Certo, prego da questa parte...", disse la ragazza, spostandosi da dietro la grande scrivania e raggiungendolo. Gli fece segno di seguirla e Louis ubbidì, standole però qualche passo dietro. La ragazza si fermò davanti ad un ascensore, "Ecco qua...ultimo piano, primo ufficio sulla sinistra...c'è la targhetta con il nome, non dovrebbe sbagliarsi...bussi e aspetti che le venga dato il permesso di entrare...buona fortuna, signor Tomlinson...", dopo tutte le indicazioni, a cui Louis annuì semplicemente con un movimento secco del capo, la ragazza tornò al suo lavoro, mentre Louis salì su quell'ascensore di lusso, con gli interni in legno di mogano e specchi.

Arrivò all'ultimo piano, girò a destra ed effettivamente il primo ufficio portava sulla porta la targhetta con il nome della donna che l'aveva chiamato per il colloquio. Hannah Browning. Un nome molto familiare, come quello della sua prima fidanzatina all'asilo, prima di aver scoperto del tutto la sua sessualità, quando ancora credeva che gli piacessero le donne. Ed inoltre un cognome importante, quasi da letterata. Bussò ed aspettò che gli venisse dato il permesso di entrare, "Avanti..."

Louis aprì cautamente la porta, come se avesse paura di romperla, e fece sbucare la testa all'interno, "Signora Hannah Browning? Sono Louis Tomlison..."

La donna alzò il capo dal pc e lo guardò seria, "Signorina, prego...comunque, si accomodi signor Tomlinson...", disse, quasi scocciata, e Louis avrebbe voluto impiccarsi in quel momento, utilizzando la sedia di rovere che lei gli aveva indicato. Si sedette composto, con le gambe unite, ed aspettò che la donna rialzasse lo sguardo dal pc e che lo interpellasse.

"Allora, Tomlinson...", disse, cercando dei fogli e trovando quello di cui aveva bisogno, "...come mai è qua?", che domanda era quella?

Louis incrociò le mani e le strinse, quasi fermando il suo proprio sangue, ma davvero, in quel momento era la persona più agitata di quella terra, "Sto cercando lavoro...", disse, sembrandogli la risposta più ovvia, "...mi sono diplomato lo scorso anno..."

"E come mai ha mandato il curriculum proprio qua? Insomma, dal suo foglio di carta vedo che lei non ha mai avuto esperienze nel settore discografico...", disse la donna, unendo le mani ed appoggiando i gomiti sulla scrivania.

"No, infatti no...", rispose Louis titubante, "Ma non era richiesto nell'annuncio"

"Lo so, certo...ma avrebbe lo stesso aiutato, che dice?", sorrise beffardamente la donna, "Sa usare il computer?", chiese poi.

"Si, certo", disse Louis, come se la risposta non fosse già ovvia di suo.

"Lingue straniere?"

"Francese e spagnolo", rispose ancora. Si stava innervosendo, ma che domande erano? E poi, il tono della donna lo irritava non poco. Mai si era immaginato che quella donna così gentile al telefono, potesse essere una serpe dal vivo.

"A che livello, mi scusi?"

"Francese abbastanza bene...", cercò di rispondere ed argomentare ciò che stava per dire, ma la donna lo interruppe di nuovo, "Abbastanza bene? Oh, insomma, quella è una lingua che si deve conoscere alla perfezione..."

"Stavo per argomentare la mia risposta...", disse sempre meno agitato e sempre più irritato, "Volevo dire bene, soprattutto lo scritto..."

La donna si sdraiò sulla poltrona girevole del suo ufficio, "E lo spagnolo? Bene, male, così così?"

"Così così...", rispose Louis.

"Quindi non lo sa, mi pare di capire...", bofonchiò, "E' fidanzato, sposato, etero, gay...?", chiese la donna.

Louis sbarrò gli occhi, "Gay...ma che c'entra?"

"Mi creda, niente di personale, era solo per conoscerla meglio...", rispose la donna, "Si considera una persona che sa stare in mezzo agli altri senza problemi?"

"Sono un ragazzo normale, credo proprio di sì...", gli stava fumando il cervello per l'ira, non avrebbe resistito ancora a lungo. Quella megera...si vedeva benissimo che non era propensa ad assumerlo, ma solo a fargli perdere tempo. Si voleva semplicemente prendere gioco di lui perché era un ragazzino di soli diciannove anni, al quale un posto di lavoro del genere non gli sarebbe mai calzato a pennello.

"E senta, nel caso venisse assunto, sarebbe disposto a cambiare il suo look?", chiese ancora la donna, guardandolo dall'alto al basso, nel limite delle sue facoltà visto che era seduto.

Louis davvero impazzì a quella domanda, ma decise di darle un'ultima possibilità, "Perché, il mio attuale non va bene?"

"Direi proprio di no...", disse la donna risollevandosi con la schiena e mettendosi più comoda.

"Senta, lei non vuole, o non ci riesce, a farmi delle domande pertinenti, mi sembra di vedere...per cui...", Louis si alzò dalla sedia, "Si tenga il suo lavoro, non ho bisogno di avere a che fare con persone meschine come lei nella mia vita...", si diresse verso la porta, non ancora del tutto soddisfatto. Si sarebbe giocato qualsiasi referenza, ma doveva farlo.

Girò il capo prima di uscire del tutto dalla porta, "Mi dia retta, lei ha bisogno di una sana dose di cazzo...se scopasse di più, non sarebbe così intrattabile...arrivederci a mai più!", e la chiuse definitivamente, tornando verso l'ascensore, scendendo al piano terra e lasciando quell'edificio di cui non voleva più sentire mezza parola.

Insomma, nemmeno quella volta da lassù avevano buttato un occhio di riguardo per Louis. Il colloquio peggiore che si potesse mai immaginare. Aveva ancora lo stomaco sottosopra, proprio come quando era arrivato, così pensò di nuovo che la sua vita fosse davvero una tragedia circolare. Come iniziava, finiva. Sperava davvero che però non fosse proprio tutta così, fino a che non sarebbe invecchiato.

∞ - ∞ - ∞

Entrò dal portone del palazzo la sera stessa, non era voluto tornare subito a casa, aveva anzi preferito schiarirsi le idee andando a farsi una passeggiata. Fu subito accolto da Arianne, che gli andò in contro uscendo dal suo solito gabbiotto, "Tesoruccio di Arianne tua, che succede? Come mai sei mogio mogio?", chiese la portinaia, stringendosi nel golfino di lana grossa e pruriginante, "Mamma che aria! Louis, non hai freddo solo con 'sta giacchetta leggera? Sta arrivando l'inverno!", chiese afferrando un pezzo di stoffa della giacca per incalzare il suo esser contraria a quell'indumento striminzito, "Aspetta qua..."

Andò nel gabbiotto, poi tornò con due strani aggeggi in mano, "Tieni, ti ho fatto una cuffia e una sciarpa a maglia, per l'inverno...tienili eh, che non si sa mai che nevichi!"

Louis la guardò grato, sorridendo, poi le si fiondò addosso e la abbracciò, "Grazie Arianne!", disse, e quando spostò il viso dalla sua spalla gli scese una lacrima, "Che succede, tesoro? Perché piangi?"

"Il colloquio è andato male, Ari", singhiozzò impercettibilmente, "Quella stronza mi ha rimbalzato facendomi delle domande assurde...sono destinato a fallire..."

Arianne strinse il ragazzo nelle sue braccia, avvolgendolo nel suo cardigan di lana, sfregandogli la schiena per riscaldarlo, "Non sei destinato a fallire, Lou...la ruota gira per tutti, forse non è ancora arrivata a te...dai, ora vai a casa a scaldarti e dormici sopra, vedrai che domani mattina starai meglio..."

Louis annuì e sciolse l'abbraccio, e dopo averla ringraziata di nuovo, estrasse le chiavi dell'appartamento e salì al piano. Entrò in casa, lasciò le sue cose nel portaoggetti all'ingresso, poi si spogliò e si andò a fare una doccia calda. Il momento migliore per lui per rimuginare sulla giornata. Era stata una vera merda, su questo non c'erano dubbi, però forse aveva ragione Arianne, forse non era ancora il momento per lui di essere indicato dalla freccia della ruota. Si insaponò il corpo e si massaggiò le parti doloranti, si lavò i capelli per sciacquare via del tutto le delusioni della giornata, poi uscì dalla doccia e si asciugò con una morbida salvietta, che conservava per quelle peggiori.

Uscì dal bagno ed andò in camera, lasciandosi cadere sulla sedia girevole della sua scrivania e portandosi le mani sul viso, sfregandoselo. Fissò poi lo schermo, ancora accesso dalla sera prima, del computer, accorgendosi di aver lasciato aperta la pagina di Google Chrome. Un'idea gli balenò nella testa, ma poi scosse il capo per farla uscire. Non era il momento adatto, era già stata di per sé una giornata troppo difficile. Eppure...

Eppure qualcosa gli diceva che era giusto, il diavoletto nel suo cervello gli diceva che non gli sarebbe successo niente se l'avesse fatto davvero. Una cosa che Louis non aveva mai detto a nessuno, l'unico che lo sapeva era il suo migliore amico Zayn, era la sua recente passione coltivata per il porno. Attenzione, non il porno per quello che veramente era, ma per altri motivi. Credeva che dietro a certe espressioni sessuali ci fosse nascosta dell'arte. Per cui, si era sempre più appassionato, cercando le migliori compagnie o industrie pornografiche che gli potessero dare delle grandi soddisfazioni. E le aveva trovate, queste soddisfazioni, nei G-Lads (NB = INVENTATO).

Erano una compagnia di bei ragazzoni prestanti, che scambiandosi, facevano uscire delle scene di sesso meravigliose, in cui appunto non c'era solo sesso, ma anche qualcosa in più. Come la passione, era convinto che lo facessero per passione, non solo per lo stipendio cospicuo che prendevano con questo lavoro.

Il suo preferito era Harry Styles. Un ragazzo meraviglioso, alto, magro ma in forma, con dei ricci color cioccolato che gli cadevano sulle spalle e degli occhi verdi che ti avrebbero potuto ipnotizzare in un nano secondo. Senza dimenticare la meravigliosa asta che aveva in mezzo alle gambe. Grande, grossa, lunga e rosa. Bellissima. Da bravo ragazzo gay quello era un particolare che non tralasciava mai, in nessun uomo, e in Harry aveva trovato il paradiso.

Aprì e si collegò al sito, al quale aveva dedicato l'abbonamento speciale, per non perdersi mai nessun nuovo video del suo chiamiamolo eroe. Sorrise soddisfatto quando vide che il ragazzo aveva appena girato una scena nuova. Il partner che lo accompagnava quella volta era Ansel Stone (NB=INVENTATO), un ragazzo latino americano molto bello, e con un membro troppo grande per essere vero e passivo.

Fece partire il video e il suo stesso membro cominciò ad indurirsi lentamente, creando una cunetta visibile da sopra l'asciugamano. Sciolse il nodo e lo aprì, portandosi la mano sopra il pene per cominciare ad accarezzarlo lentamente. Harry gemeva ed ansimava, sfondando letteralmente il ragazzo che stava facendo sesso con lui nel video, facendolo ringhiare per il piacere e per la violenza che ci stava mettendo. Louis all'udire quel suono lanciò la testa indietro. Raccolse col dito un po' di liquido pre seminale e lo usò come lubrificante, non avendo voglia ed intenzione di alzarsi, e quindi interrompere quel piacere estremo che si stava dando da solo, per andare a prendere la sua bottiglietta di liquido rosa scivoloso.

Andò avanti per tutta la durata del video, fino a che non venne sulle sue mani, in sincronia con il suo attore preferito. Harry era sudato e stanco, Louis era sudato ed ansimante, ma di sicuro era il miglior orgasmo che avesse avuto, parlando anche di quelli in autonomia.

Alla fine del video, comparve una schermata gialla fosforescente, che quasi lo accecò in quella stanza buia. Ci buttò l'occhio, pensando che fosse la solita inserzione pubblicitaria. E invece no, quella non era la classica pubblicità, quella era una signora pubblicità.

I G-Lads stavano cercando un nuovo ragazzo che entrasse a far parte della loro compagnia. Louis quasi cominciò ad iperventilare, facendosi aria con la mano, poi si calmò e ragionò. Perché non fare il provino? Il giorno dopo tanto non avrebbe avuto nulla da fare, e provare non costava niente. Del resto era un bel ragazzo, il suo pene era di dimensioni notevoli, e il porno era la sua passione.

Forse la ruota era quasi arrivata dalla sua parte.

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