Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Mater Redemptoris

«Eva, non posso tenere il bambino di notte!»

«Mamma ti prego, ho bisogno di dormire...»

«Mi dispiace, ma te lo tengo già quando sei al lavoro.»

«Mamma non riesco a dormire, piange tutte le notti. Ti supplico!»

«Sta mettendo i dentini, è normale. Però non lo sento, dov'è?»

«Si è addormentato, siamo in auto.»

«Perché?»

«Sono uscita a prendere le sigarette.»

«Non fumare vicino al bambino!»

«No, mamma, no. Stai tranquilla. Mamma... sono già fuori, in cinque minuti potrei portartelo lì. Solo questa notte...»

«Io sono anziana Eva. Non ho più l'età! E poi, hai un marito. Tienilo un po' a casa, sant'Iddio!»

«Lo sai che se non va a calcetto, almeno il venerdì, impazzisce!»

«Dovevate pensarci prima! È una vita così: di sacrifici!»

«Si tratta di una notte. Quanto la fai lunga...»

«Io ho cresciuto tre figli da sola. Mi sono arrangiata. La tua povera nonna se ne era già andata!»

«Tu non lavoravi!»

«Non ti azzardare! Sai quante case ho pulito per farti studiare? Una mano ve la do già, ma poi dovete cavarvela voi!»

La conversazione cadde. Eva stringeva il cellulare nella mano sudata anche se, quella notte era così fredda che, alla luce del lampione il fumo che usciva dalle sue labbra pareva così denso da poterlo plasmare. Infilò la mano sotto l'ascella per mantenerla calda e fece su e giù a fianco dell'auto parcheggiata. Sua madre era stata l'ultima. Aveva vagliato tutte le possibilità: prima le due sorelle di cui una aveva troppi figli e l'altra troppi amanti.

«Beata lei!», le sfuggì.

Quello stronzo di Carlo l'aveva incastrata per bene con le sue promesse
di famiglia unita, per poi farsi assegnare la rappresentanza dei mercati oltreoceano e starsene in viaggio la metà del tempo.

«Lo faccio per noi» aveva detto, «per il bambino in arrivo. Ci servono più soldi».

A pensarci, tutto si era incasinato per quell'esserino. Stavano bene prima. Uscivano ogni venerdì. Partita di calcetto, pizzata in compagnia, birra e sesso. Tanto sesso. Avevano inaugurato tutte le stanze di casa: il pavimento della cameretta, il tavolo della cucina e pure la lavatrice del bagno.

Ora gli slip nuovi del marito li conosceva solo perché li lavava. Carlo giurava di non avere un'amante, ma lei faticava a crederlo.

Portò la sigaretta, con le dita tremanti, alle labbra. La guardò incrociando gli occhi e aspirando a fondo, con la nuca all'indietro. La sigaretta si illuminò di rosso e si consumò rapidamente. Aprì le labbra e rigettò il fumo lentamente, fino a che i polmoni furono vuoti e si sentì mancare. Gettò la sigaretta a terra e raggiunse l'auto a falcate.

Mise le mani sul vetro umido e appoggiò la fronte per sbirciare l'interno. Il bambino dormiva ancora sul seggiolino, avvolto nella sua copertina. Aveva le piccole braccia scoperte. Le dita erano bianche come la porcellana e le punte delle unghie blu. Ma le guance paffute erano rosse, come i pochi capelli sudati. Il respiro pareva lieve e tranquillo.

Un giorno, quando erano ancora fidanzati, Carlo le aveva chiesto, guardando un documentario, se avesse preferito morire di caldo o di freddo. Lei aveva risposto: «di freddo».

Aveva letto Zanna bianca nelle scuole medie.
"Addormentarsi al gelo, è una dolce morte "pensò, guardando il suo bambino.

"Ora tace." Eva scosse la testa.
"Ma appena sarò rientrata a casa ricomincerà".

Era stanca, troppo stanca. Nessuno che capisse quanto; pure il suo capoufficio si era lamentato di come fosse l'unica a balzare* gli straordinari del sabato.

«L'unica ad avere figli!», aveva precisato.

La risposta non si era fatta attendere: ridimensionamento.

Quel piccolo coso da quando era arrivato, si era portato via tutta la sua vita!

Girò intorno all'auto e salì. Inserì la chiave. Il quadro si illuminò: meno due gradi. Non faceva abbastanza freddo. Abbassò il finestrino e guardò fuori.

I lampioni, a distanza regolare l'uno dall'altro, illuminavano il marciapiede. La leggera foschia umida di prima era diventata condensa sulle superfici. Le piccole gocce brillavano immobili sulla carrozzeria. Il cielo era scuro, privato delle stelle anche per via dei led del vicino campo da calcetto.

Si volse verso i sedili posteriori. Allungò la mano e accarezzò la copertina. Era in ciniglia morbidissima di alta qualità. Anni or sono, aveva lavorato per una azienda che la produceva. Aveva conosciuto i passaggi di realizzazione. Quanta precisione per cimare il pelo alla giusta altezza! E quanta delicatezza nel finissaggio Tumbler per migliorarne il tatto. Quel mostriciattolo non meritava tanto!

Gliela strappò via in un colpo secco. Per un istante, l'aria profumò di latte e olio di mandorle. Eva l'aspirò e si carezzò il volto con il soffice tessuto.

Cosa stava facendo? Un barlume di lucidità l'attraversò.

Il bimbo nel dormiveglia boccheggiò come un pesciolino. Eva con le mani vacillanti, si affannò nel cercare a terra il ciuccio. Lo ripulì nella propria bocca e lo passò al figlio che lo risucchiò avidamente.

«Amore mio, scusami», sussurrò spaventata. Con il dorso dell'indice sfiorò la gota rigonfia. Lo guardò. Quel movimento delle labbra, ad occhi chiusi, lo aveva ammirato molte volte, nei primi mesi durante l'allattamento. Quanto le era spiaciuto rinunciarvi per rientrare al lavoro!

«Ma il tuo papà e io volevamo darti una casa tutta nostra, con un bel giardino per metterci una piscinetta d'estate. I soldi servono amore e tanti!»

Eva piegò la coperta in due strati e gliel'appoggiò di nuovo.

«Hai le dita gelate» osservò, e si tolse anche il giubbino per coprirlo. «Ora starai bene. Passerà tutto», ripeté per convincersi.

Tornò a rimirare la notte, sfregandosi gli avambracci per riscaldarsi. Le giunsero delle urla concitate: «Goal!». Vibravano nel vuoto delle strade, oltre il muro di cinta del campetto dell'oratorio. Alzò lo sguardo fino al filo spinato tra le lance a punta.

Ridevano e urlavano, loro ridevano e urlavano, lei invece aldiquà del muro si sentiva in gabbia. Avrebbe dovuto essere a casa anche quella sera: da sola. Anzi, non proprio da sola, ma con qualcuno che non ascoltava i suoi bisogni.

Quel terribile pasticcio di Dna, ce l'aveva messa tutta per umiliarla, per farla sentire in colpa di aver smesso troppo presto di nutrirlo al proprio seno. Sì, perché quando aveva cominciato la lallazione, aveva accennato un pa-pa-pa.

Carlo aveva subito rimarcato, orgoglioso: «Ha detto papà, la sua prima parola è papà».

Ma Eva aveva risposto: «Ti sbagli è pappa», ed era corsa a preparare un biberon pur di dimostrarlo.

«Questo solo volevi da me. Moccioso piagnucolone! E guarda il tuo papà dove sta? Con gli amici, mentre urli e piangi, e dice che solo con me ti calmi. Siete proprio due uomini!» e continuò a voce più bassa: «pensate solo a voi stessi!».

Un coro di voci femminili, riempì l'aria con un altro: «Goooal!».

Eva sorrise da un lato. Con gli occhi stretti e sottili, pose il dito sul comando dei finestrini e li abbassò tutti quanti. Afferrò il giubbino e la coperta in un solo scatto. Scese dall'auto. Avvolse ogni cosa attorno al braccio, con un gesto nevrotico, e camminò fino a incontrare una panchina in ferro. Si sdraiò su un fianco, con il braccio imbottito sotto la testa e l'altra mano tra le cosce, alla ricerca di un po' di calore.

Dormire al freddo non era poi tanto facile come aveva creduto. I denti iniziarono a battergli. Ma si strinse ancora di più in posizione fetale. Era così stanca, che il sonno la colse ugualmente.

***

L'acqua fredda del soffione a pioggia della doccia, le rinfrescò il volto, i seni turgidi e i capelli appiccicati alla schiena.

«Amore, sono arrivato!»

La voce allegra di Carlo, l'aveva sorpresa.

«A che punto sei? Devo lavarmi anche io», si era lamentato.

«Ho finito! Ho fatto l'ultimo risciacquo freddo per tonificarmi.»
Eva aveva abbassato la leva del rubinetto.
Aveva appoggiato i palmi sul vetro bagnato e accostato le labbra per appannarlo con il suo respiro. Con l'indice vi aveva disegnato un cuore e stampato un bacio al centro.

Un brivido di freddo, percorse deciso la schiena.

Si risvegliò. Non era in doccia. Stava dormendo sull'umida panchina di un parcheggio. Si guardò intorno spaesata, sbadigliò un paio di volte a ripetizione. Si girò supina, allungò le braccia verso l'alto. Doveva aver dormito profondamente, perché stava molto meglio. Si accarezzò una guancia. Il bagnato che aveva percepito era neve. Si mise seduta.

"Ci saranno zero gradi".

Ripensò serena a quante volte suo padre glielo aveva spiegato. Se ne era andato così presto, neanche aveva conosciuto Carlo. Le sarebbe piaciuto vederlo reggere tra le braccia il piccolo Davide, lui che aveva avuto solo femmine.

"Davide..."

Improvvisamente si ricordò di lui.

L'angoscia la colse. Si schiaffò le mani aperte sul viso e gli parve che il rumore secco rimbombasse estraneo in quel candido vuoto silenzio.

La bocca si spalancò e a fatica trattenne un urlo. Era impazzita! Che aveva fatto? Che aveva fatto?

Cercò di alzarsi e correre, ma le gambe intorpidite non le risposero. Cadde in ginocchio con un tonfo sordo. Con la forza delle dita si appese alla gelida panchina e cercò di far leva sulle braccia per rialzarsi. Si massaggiò le cosce: "Vi prego, vi prego. Fatemi camminare!".

Un formicolio pungente risalì lento dai piedi: la circolazione stava ritornando. Camminò più veloce che poté. La neve leggiadra era scivolata lungo il finestrino bloccato a metà corsa, dalla sicura dell'auto. Appoggiata al vetro, intravide la manina paffutella di Davide. Doveva essersi svegliato e aver cercato di sfiorare la neve.

Trattenendo il fiato, Eva aprì la portiera posteriore. Il braccino ricadde. Gli occhi chiusi, le ciglia distese, il ciuccio incastrato in un sorriso innocente tra le labbra violacee e rigide.

Quelle di Eva iniziarono a sfarfallare.

Slacciò il bambino e lo tolse dal seggiolino. Se lo strinse al petto. Avvolse la nuca nel palmo e gli parve di coglierne ancora il tepore.

Passò alla guida, girò le chiavi che aveva lasciato nel quadro e richiuse i finestrini. Schiacciò la frizione e avviò il motorino. Le luci del quadro elettrico lampeggiarono e tremolarono, ma il motore non partì.

«Maledetta batteria!» imprecò.

Aveva scordato i fari accesi. Si guardò attorno. Le luci del campo erano spente, non c'era più nessuno. Era sola in un parcheggio, al freddo, sotto la neve. Avvolse il piccolo nel giubbino e nella copertina che aveva con sé, e lo avviluppò nel suo abbraccio.

Ritornò con la mente alla notte in cui aveva assistito all'incessante invocazione delle litanie mariane, accanto al letto di suo padre morente. Il palmo teso a sfiorare il telo dell'ossigeno, era stato l'ultimo ricordo vivo di lui.

Allora prese a ninnarlo, piegandosi ritmicamente avanti e indietro, e intonò in preghiera:

«Mater misericórdiae, Mater amábilis, Mater divínae grátiae, Mater Christi, Mater redemptoris...»

«Eva, Eva. Aprimi!»

Carlo stava lottando con la maniglia della portiera, una mano a far leva sul finestrino bagnato. La neve si era mischiata a una debole pioggia.

Eva lo guardò rossa in volto. Aprì tremante la portiera, le sopracciglia raccolte al centro verso l'alto.

«Ti cerco da ore! Tua madre mi ha chiamato per farmi la predica. Potevi dirmelo che stavi tanto male. Mi occupo io di Davide. Imparerà a stare anche con me! Ma...perché non accendi l'auto? Fa freddo. Eva? Eva? Che c'è? Non è un problema se piange un po' perché non sono te. Dammelo su! Andiamo a casa.»

Gli occhi di Eva parevano cadere dalle orbite tanto erano sgranati, serrò ancora di più il piccolo, quasi a stritolarlo.

All'improvviso un colpo di tosse e il ciuccio cadde. Davide scoppiò a piangere. Eva allentò la presa per esaminarlo. Il suo sguardo si appannò, mentre una manina fendeva l'aria a scatti.

«Piange...», riuscì solo a sussurrare.

«Sì, piange, ma adesso ci sono io. Non preoccuparti» ripeté Carlo, raccogliendo il ciuccio dal suo ventre per restituirlo al proprietario.

«Andiamo a casa, qui ci pensiamo domani. Così puoi dormire in un letto comodo.»

Prese il neonato in braccio per riporlo nell'altra auto.

«Pa-pà, pa-pà, è qui», ripeté per calmarlo.

Davide scaraventò a terra il ciuccio e strillò: «Mam-ma!», allungando l'indice oltre la sua spalla.

*balzare= saltare, evitare

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro