CAPITOLO TREDICESIMO - parte 1
Asya si svegliò.
Aprì gli occhi lentamente e non appena ebbe recuperato un pò di coscienza si rese conto di essersi addormentata; non voleva farlo, voleva essere sempre pronta a soccorrere Tim se ne avesse avuto bisogno.
Ma di cosa poteva mai aver bisogno, infondo?
Era in coma.
E forse non si sarebbe mai più risvegliato.
La ragazza mosse la testa e si accorse di averla appoggiata accanto al collo di Tim, e di avere ancora la mano stretta nella sua.
Il suo calore, il suo odore, in qualche modo la facevano sentire cullata. Riusciva a trovare nella vicinanza quel poco di conforto chele serviva per andare avanti.
Pochi minuti dopo, la porta si aprì lentamente, e qualcuno si sporse all'interno della stanza.
Era ancora Berto; aveva un volto fortemente dispiaciuto e sembrava essere molto a disagio, cosa per nulla usuale per lui.
-Hemm, Asya...- disse entrando, con movimenti lenti ed impacciati -Sono tornato per dirti di non preoccuparti per il lavoro, quando tornerai il tuo posto sarà sempre lì-.
La ragazza si limitò ad annuire. Non le importava niente, in realtà. Come poteva preoccuparsi del suo posto di lavoro in un momento del genere?
Tutto ciò che riguardava la sua sfera privata adesso era passato completamentein secondo piano, perdendo quasi totalmente la sua importanza.
-E...ti ho portato questa- disse ancora l'uomo, porgendole un oggetto. Asya la riconobbe subito: era la maschera di Tim.
-L'ho trovata sulla strada, quando...beh...quando è successo- continuò accennando un sorriso -Credo sia di Tim...ho....beh, ho pensato di darla a te-. Berto balbettava e distoglieva continuamentelo sguardo, pareva incapace di mantenere il contatto visivo.
La ragazza afferrò l'oggetto con la mano che tremava. Le faceva un effetto orribile tenere quella maschera in mano, dopo tutto quello che era accaduto in quegli ultimi giorni d'inferno. -Grazie- farfugliò.
Berto annuì e sorrise in modo palesemente forzato, prima di uscire dalla stanza.
Asya lo guardò in silenzio mentre se ne andava via, poi abbassò la testa e si girò la maschera tra le mani, osservandola attentamente. Non sembrava avere nulla di strano, se non si considera strano il fatto che qualcuno la indossi per poi girovagare in un bosco.
Nella parte incavata vi erano ancora delle evidenti traccs di sangue, e nel vederle non poté far altro che rabbrividire.
Che cosa rappresentava quella maschera, per Tim?
Perché la indossava quando si addentrava nel bosco?
Forse non avrebbe mai avuto una risposta per quelle domande.
Tuttavia, il fatto che aveva più volte sorpreso Tim ad uscire dal locale a strani orari, era sicuramente collegato alla maschera.
Si chiedeva tuttavia in che modo.
Pensò a lungo, e si disse che forse valeva la pena recarsi ancora in quel bosco e cercare di capire; forse non avrebbe trovato né capito niente, o forse avrebbe svelato il mistero che si celava dietro a quello strano oggetto.
Avvicinò una mano al volto del ragazzo e lo accarezzò delicatamente, allargando un lieve sorriso. Non avrebbe affatto voluto lasciarlo lì da solo, ma se voleva mettere chiarezza su quella maledetta storia doveva farlo.
Con i dottori, comunque, sarebbe stato in buone mani, e lei sarebbe certamente rientrata presto.
Allacciò le scarpe e si alzò in piedi, lanciando un altra occhiata preoccupata a Tim. Si disse che avrebbe fatto più presto possibile, e che al suo ritorno lo avrebbe abbracciato tutto il tempo.
Dovette trattenere a stento le lacrime; avrebbe fatto qualunque cosa in quel momento, pur di vederlo riaprire gli occhi.
Si diresse verso la porta ed uscì. Si incamminò lungo il corridoio, e si fermò davanti al banco accoglienza. -Esco per un paio d'ore. Vi prego, assicuratevi che Tim stia bene-.
L'infermiera sorrise e disse: -Non si preoccupi, i macchinari ci avvertono subito se qualcosa non va-.
La ragazza annuì e si diresse verso l'uscita, a pugni stretti.
Torno presto, Tim.
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