CAPITOLO DODICESIMO - parte 2
Asya aveva la testa poggiata sul materasso, e sfiorava appena la spalla di Tim. Sentirlo così vicino la tranquillizzava un pò, nonostante sapesse che lui non poteva sentirla.
La ragazza sollevò la testa e guardò il volto di lui, con gli occhi chiusi e la bocca coperta dalla maschera per l'ossigeno, che adesso era essenziale per garantire la sua sopravvivenza.
Non poté fare a meno di ripensare a tutte le volte che l'aveva guardato, quel volto che era quasi sempre arrabbiato o scocciato. Le tornarono in mente tutte le volte in cui al locale lei finiva per sbattergli contro attraversando il corridoio stretto della cucina, e lui si scanzava senza dire niente. Tutte le volte che tentava di parlargli, e lui abbassava il capo mostrando disinteresse. Tutte le volte che aveva creduto di conoscerlo, senza aver capito mai niente.
Non avrebbe mai immaginato di trovarsi, un giorno, seduta davanti al suo letto a pregare che si risvegliasse.
Ad un tratto la porta si aprì, ed il rumore fece sollevare la testa di Asya. Entrò un dottore, che però si fermò subito dopo la soglia e fece cenno alla persona dietro di lui di entrare. Si trattava di Berto.
Appena l'uomo vide Asya assunse un'espressione profondamente dispiaciuta.
Quell'uomo era un burbero, sì, ma non era cattivo.
-Ciao...hem... Come sta Timothy?- farfugliò.
Ecco. La peggiore domanda che avesse potuto fare.
La ragazza aprì la bocca per dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola. Con che forza avrebbe pronunciato la frase "È in coma e forse non si sveglierà mai più"?.
Abbassò lo sguardo e sospirò. Qualcosa avrebbe dovuto pur dire. Prese fiato un altra volta e parlò, ma tutto ciò che riuscì a dire fu una frase incompiuta e singhiozzante. -È...hanno detto..-.
A quel punto il dottore, ancora fermo sulla porta, disse: -Venga, le spiego io la situazione. La signorina è molto scossa-.
Berto guardò Asya, che ora aveva gli occhi puntati sul pavimento, ed annuì. Non sapeva con precisione cosa fosse accaduto la notte scorsa, ma quando era uscito attirato dal trambusto e dalle grida aveva trovato il camion contro al muro sul fondo della strafa, ed Asya che reggeva piangendo la testa di Tim. Sicuramente lei si sentiva molto in colpa, in questo momento. Poteva dedurlo dai suoi occhi vuoti.
Prima di uscire dalla stanza guardò anche Tim, mentre voltava la testa per seguire il dottore fuori dalla camera, e notò che non sembrava affatto in buone condizioni.
Già sapeva cosa il medico gli avrebbe detto.
I due uscirono e richiusero la porta dietro alle loro spalle, lasciando Asya di nuovo sola con Tim.
La ragazza allungò un braccio ed afferrò ancora la mano immobile di lui, mentre tornava ad appoggiare la testa sul materasso. Nonostante i ricordi la facessero stare ancor più male, non riusciva a smettere di pensare. E mentre ripercorreva con la memoria le innumerevoli serate in sala in cui lavorava al fianco di Tim senza scambiarci una sola parola, le si stringeva lo stomaco.
Forse avrebbe dovuto insistere di più, per creare un qualche rapporto con lui.
Era evidente che dietro a quel carattere chiuso e scontroso si era nascosta una persona molto diversa; e lei avrebbe dovuto capirlo prima.
Un'altra cosa, poi, le venne in mente. Era un dettaglio molto importante che però aveva dimenticato per via di tutto quel trambusto: la maschera.
Il tipo mascherato era Tim, ed ora lei lo sapeva.
Tim la stava indossando nel momento in cui fu investito dal camion.
Asya aggrottò la fronte, mentre intrecciava le sue dita con quelle del ragazzo. Dunque era sempre stato lui. Anche quando lo aveva incontrato nel bosco.
Ma che senso aveva tutto questo? Perché l'aveva inseguita?
Troppe domande senza risposta nacquero nella sua mente; ma forse adesso non aveva più importanza neanche questo.
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