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1. io, tu, noi

~Winterwidow~

Una donna camminava da sola lungo la strada buia, illuminata fiocamente solo da alte lanterne. Avanzava in silenzio in mezzo alla neve candida, stretta nel suo cappotto proseguì ignorando gli sguardi incuriositi dei senzatetto che osservavano la donna passare. Un auto rallentò e costeggiò il marciapiede, seguendola silenziosamente.

"Natalia?" chiamò una voce rauca dall'auto. La donna si irrigidì a sentire il suo nome venire pronunciato da qualcuno di così familiare da farle dolere il cuore. L'auto si fermò e da essa scese un uomo, abbastanza giovane, imponente, teneva uno sguardo austero che andò ad addolcirsi quando si posò sulla donna.
"Natalia! Che fai in giro con questo freddo a quest'ora di notte? Non è un bel quartiere, non è sicuro per una donna" disse avvicinandosi. Lei sorrise amareggiata.
"So come difendermi, non ho bisogno di nessuno a proteggermi o dirmi cosa devo fare, James" lo schernì lei.
"Scusami, hai ragione, posso almeno offrirti un passaggio fino a casa?" Natasha lasciò uscire una risata sardonica scuotendo la testa.
"Cosa ti fa pensare che io voglia tornare a casa?"
"è tardi" disse semplicemente "sali in macchina per favore". Natasha non rispose, piuttosto riprese a camminare in silenzio, James la inseguì e la afferrò per un polso dolcemente.
"Mi dispiace ma non ti lascio qui da sola, o vieni con me o io verrò con te" la lasciò andare e lei emise un sospiro.
"Va bene" disse alzando lo sguardo per incontrare quello dell'uomo "verrò con te, purché tu non mi riporti a casa".

***

All'interno del veicolo, il tepore emanato dal riscaldamento dell'auto creava una bolla di calore che proteggeva i due dalle dure temperature al di fuori di quell'ambiente.
Natasha fissava in silenzio il finestrino annebbiato, teneva il mento appoggiato sul palmo della mano, le palpebre che minacciavano di chiudersi, trascinandola in un sonno profondo, cercava di rimanere sveglia mentre l'uomo di fianco a sé guidava, forse voleva dire qualcosa. Natasha portò lo sguardo sul suo volto e vi individuò un velo di preoccupazione. L'oscurità e la neve che cadeva fitta li circondavano, nonostante i fari del veicolo illuminassero per un breve tratto la strada davanti a loro, la luna era la loro unica fioca fonte di illuminazione in quella notte.

"Dove stiamo andando?" La voce della donna risuonò più rauca di quanto si aspettasse. James abbozzò un sorriso, continuando a guardare fisso la strada.
"Hai detto che a casa non vuoi andare" rispose semplicemente.
Natasha si girò ad osservarlo: le labbra corrucciate in un sorriso trattenuto, gli occhi fissi davanti a sé. Incrociò le braccia al petto tornando nuovamente a guardare con occhi spenti il vuoto fuori dal finestrino.

"Mi dispiace" furono le parole pronunciate dall'uomo che spezzarono il silenzio creatosi ormai da qualche minuto. La donna non batté ciglio, rimase immobile, quasi come se quelle parole le scivolassero addosso come un sottile velo d'acqua. Non ricordava l'ultima volta che le aveva sentite e si domandava se le pensava veramente o le avesse pronunciate con il solo scopo di infrangere quel sacro silenzio.
"Non avrei dovuto fare quello che ho fatto" proseguì, Natasha fece spallucce "è tutto okay" rispose in un sussurro, quasi un soffio.
"Se non vuoi parlare di quello che è successo va bene, ma non mentire dicendo che è tutto apposto" Natasha si ricompose sul sedile del passeggero e rivolse uno sguardo fulgido all'uomo che rilassò le spalle, lasciando uscire l'aria che tratteneva incerta in un sospiro.

"Me lo avresti mai detto?"
Ci fu un momento di incertezza, James non sapeva bene come rispondere, o forse, semplicemente, non voleva rispondere per non ferirla ancora. Lei si lasciò sfuggire una risata sommessa, nervosa. Scosse la testa e tornò a guardare fuori dal finestrino.

"Non è stata una cosa semplice... non aveva altro posto dove andare, dovevo fare qualcosa, anche se lo so di aver sbagliato, non avrei dovuto nascondertelo e mi dispiace, non sai quanto".
Natasha non rispose, si strinse nel cappotto come fosse uno scudo protettivo, una bolla che l'avrebbe tenuta lontana dall'ascoltare altre parole pronunciate dall'uomo, ma sfortunatamente per lei, non funzionava in quella maniera.

"Natalia, dì qualcosa per favore!" Stanco del silenzio della donna, James sbottò. Strinse il volante tra le mani e schiacciò senza accorgersene il pedale dell'acceleratore. Natasha sussultò aggrappandosi istintivamente alla maniglia della porta, lo guardò tentando di nascondere il timore che stava lentamente crescendo in lei. Vide il volto corrucciato dell'uomo.

"Cosa dovrei dirti?"
Natasha non aveva veramente nulla da dire, non aveva pensieri, non riusciva a formularli: un velo di dolore glielo impediva, velo che adesso le annebbiava gli occhi formando le tante temute lacrime.
"So di averti ferita e non ho alcun diritto per dirti questo ma... Natalia io ti amo". Sentendo quelle parole la donna sentì le lacrime abbandonarle gli occhi e ricadere sulle guance candide.

Tutti i ricordi di ogni volta che l'uomo le aveva ripetuto quelle ultime parole riaffiorarono con violenza, risuonando come cazzotto nello stomaco. Cercò di fare finta di nulla, di lasciare che il dolore passasse come se fosse stato davvero un cazzotto, ma non potè impedire, nemmeno con tutte le smorfie che invano cercavano di farlo, alle lacrime di fuoriuscire più copiose, riuscì però a nascondere i flebili singhiozzi.
James sospirò: un'espirazione prolungata che estrinsecava tutta la frustrazione del momento. Oh se solo avesse potuto abbandonare quel corpo, la sua anima sarebbe fuggita da quel luogo ristretto. Dopo aver pronunciato parole tanto forti, non vi è nulla di peggiore del silenzio, che soffocante, stringe nella sua morsa i petti dei presenti che si sentono oppressi, vorrebbero scappare eppure rimangono, immobili, statici, come salici in un giorno privo di vento, come le mura di una casa d'inverno: fredde ma inamovibili.

E mentre l'uomo perdeva ogni più piccola speranza, Natasha schiuse le labbra, le parole le morirono però in gola, era incapace di rispondergli, una semplice risposta non sarebbe bastata questo lo sapeva bene. Anche se dal più profondo punto del suo cuore, una voce gridava disperata il suo amore, cercando di sovrastare pateticamente le dure parole che la malinconia e la rabbia continuavano a mormorare, confondendole la mente, annebbiandola con mesti imperativi.

L'auto fermò nel vialetto buio di uno chalet in mezzo al bosco. La donna guardò fuori dal finestrino con sguardo meravigliato, portò una mano ad asciugare una guancia. Ricordava quel luogo: un tempo le fu così caro. Riaffiorarono i ricordi felici di Natali spensierati e capodanni di gioia, di estati in gioventù quando l'unica preoccupazione era decidere quale attività si sarebbe svolta dopo una lunga giornata trascorsa tra una risata e una battuta fuori luogo.
James uscì per primo per andare ad aprire la portiera della donna che ci aveva già pensato da sola e che ora scendeva con grazia, stretta nel suo cappotto scuro, in mezzo al freddo glaciale della notte. L'aria si condensava ad ogni suo respiro mentre osservava l'imponente dimora che si ergeva di fronte ai suoi occhi. Sorrise senza nemmeno farci caso. Infilò le mani fredde tremolanti nelle tasche e seguì l'uomo verso la porta d'entrata dello chalet.
Una volta dentro, James accese le luci. La dimora non era cambiata di una virgola dall'ultima volta che Natasha vi aveva messo piede. Il tepore della casa li avvolse, togliendo loro di dosso il gelo della notte. Natasha se ne accorse, si tolse il cappotto senza però dire niente, come se evitando di esprimere quel pensiero, esso non esistesse. Appesero i cappotti sull'appendiabiti e si diressero nell'enorme salotto. James la seguiva in silenzio mentre la donna si accomodava sul divano chiaro davanti al caminetto incorniciato da alte finestre coperte da grosse e pesanti tende.
Sedettero in silenzio, lui la guardava, ma la donna evitava il suo sguardo come fosse stato un carbone ardente, alla fine si arrese e incrociò gli occhi con i suoi. Rimasero così: sguardo inchiodato a sguardo, Natasha ricordò una frase "è più facile staccare una calamita dal metallo, che convincere due che si piacciono a non cercarsi con gli occhi", non ricordava dove l'aveva letta, forse in un libro, forse in un giornale, ma le era rimasta impressa.

Uno scricchiolio proveniente dalle scale li distolse dalla loro lotta di sguardi. Natasha si girò nella direzione del suono per poi riposare il suo sguardo annoiato su James.

"Ѐ qui vero?"

James rispose con un cenno del capo e Natasha sospirò esasperata.

"Cristo santo, James. L'hai fatto apposta vero?"
"Nat per favore, dalle un'opportunità, prova a parlarle"
"Non dirmi cosa devo fare, mi hai portata qui per questo, dimmi un po' mi hai pedinata per caso? Sapevi che non sarei tornata a casa, dopo quanto ti ho urlato lo sapevi. Eppure mi hai trovata e mi hai praticamente costretta a venire con te! Non hai avuto nemmeno la decenza di ottenere il mio perdono prima di..." Non concluse la frase. Si alzò tenendo stretti i pugni lungo il corpo, si girò mormorando qualcosa, probabilmente un'infamia, e varcò la soglia del salotto in direzione dell'uscita. James la seguì. Continuava a ripeterle scusa, ma senza successo.

"Natalia non lo fare" disse infine giunto davanti a lei, la prese per i polsi e la guardò negli occhi. Con uno strattone si liberò e in quel momento una bambina con dei lunghi capelli bianchi scese uscì fuori dal buio delle scale nel quale si era nascosta e si avvicinò a passo esitante ai due. Guardo la donna con gli occhioni blu colmi di lacrime e Natasha distolse lo sguardo, incapace di sostenerlo.
"Natalia... ti prego resta a casa".
Ci fu un tentativo da parte dell'uomo di abbracciarla, ma lei si scansò, strinse i pugni e sorrise, una smorfia di dolore e rammarico, forse di rabbia.

"Casa? E dove sarebbe casa?"
James comprese cosa intendesse e le sorrise con dolcezza mentre poggiava una mano sulla sua spalla per farla voltare a guardarlo: leggere lacrime le bagnavano le guance, il suo sguardo incendiario si intenerì e si lasciò stringere tra le braccia dell'uomo.

"Casa è dove siamo solo io, tu, noi".

note:
Sarebbe stato molto più lungo, ma ho deciso di eliminare delle riflessioni perchè di base troppo filosofica e profonda, ho pensato potesse annoiare e deconcentrare.

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